Francesco Pansitta: "Non dimentichiamo Leone Di Lernia, dedicargli una via, perché no?"
Il poeta e imitatore trova l'appoggio di tanti tranesi sparsi nel mondo
domenica 1 settembre 2024
07.30
In un'estate in cui anche il mondo della musica è stato arroventato da polemiche e pesanti scivoloni - caso Venditti - un po' di leggerezza non guasta: e nelle performance di Francesco Pansitta, poeta dialettale dall'alter ego di Nonno Ciccio, la trasformazione in Leone Di Lernia riscuote sempre un grandissimo successo.
In uno degli ultimi spettacoli, acclamatissimi dagli affezionati fans di Francesco, attento osservatore e scrutatore di modi, mode, abitudini, vizi e virtù dei cittadini, la proposta di intitolare una strada a Leone di Lernia a dieci anni dalla sua scomparsa avvenuta nel 2017, ha riscosso una vera e propria ovazione di applausi.
"A dire il vero non è stata un'idea mia, ci racconta Francesco, ma nel mio bar io accolgo tantissimi tranesi che vengono veramente da tutto il mondo nella nostra città: vi posso assicurare che Leone Di Lernia è una figura popolare davvero amata, non voglio esagerare, in tutto il mondo. Mi piace dire che nel bene e nel male a chi è simpatico e a chi no è stato un artista che ha portato il nome di Trani davvero ovunque ".
E già, perché quella idea di tranesizzare in dialetto successi e hit internazionali negli anni '80 è stata tutt'altro che una banalità. Troppo superficialmente, e troppo spesso soprattutto dai suoi concittadini, Leone di Lernia è stato definito soltanto un cantante demenziale: perché a leggere e a tradurre quelle canzoni sfacciatamente ammiccanti e anche, diciamolo, un po' volgarotte, c'è molta più ironia, sarcasmo e intelligenza di quella che si possa immaginare. Il trash che oggi dilaga nelle trasmissioni televisive, nei social, nelle canzoni e che va tanto di moda tutto sommato in Leone di Lernia ha avuto uno dei suoi pionieri più efficaci e simpatici, tanto che Radio 105, ad esempio, gli dedica a ogni anniversario una trasmissione.
Leone era diventato celeberrimo grazie anche alle sue apparizioni domenicali a "Quelli che il calcio" e in radio, proprio 105 era davvero amatissimo.
Una analisi efficace la ritroviamo un un pezzo che il giornalista Camillo Langone gli dedicò alla sua morte, e di cui riportiamo una parte. "C'è una Puglia molto più vera nella scelta di dialettizzare quarant'anni di successi internazionali, rispetto a quanta ce ne sarebbe stata nel tentativo di dedicare una musica alta alle ossessioni popolane delle sue origini: dai figli che se ne vanno (Chille ca soffre, parodia di Killing Me Softly) all'usura del lavoro (Ra-ra-ri ra-ra, da Gipsy Woman) passando per il desiderio smodato di cibo, una fame atavica che è sigillo della povertà e per questo torna come leitmotiv in canzoni a decine; soprattutto nella più celebre, l'indimenticabile Te sì mangiate la banana, col suo accumulo rabelaisiano di pietanze difformi e potenzialmente letali. L'unica canzone che abbia mai conferito, credo, dignità poetica al citrato lenitivo. I testi delle canzoni di Leone di Lernia fanno ridere ma non sono allegri. Lo si deduce dal fatto che siano stati appiccicati sempre a motivi spensierati, con intento corrosivo: specie nella seconda parte della carriera, quando a partire dai primissimi anni Novanta s'è dedicato quasi esclusivamente alla riscrittura della musica house, il criterio di Leone di Lernia è stato – non so quanto sottinteso e nemmeno quanto consapevole – di utilizzare le hit ballabili come un contenitore, da svuotare ben bene del vuoto pneumatico dato dalla ripetitività e dalla superficialità di testi consolanti per riempirlo di testi altrettanto ripetitivi e superficiali ma che trascinassero verso il basso. Il suo metodo è stata una sistematica applicazione della più micidiale arma dell'umorismo, il bathos: spingere cinicamente verso un precipizio di senso ciò che è fatto per elevare l'uomo o, quanto meno, per distrarlo e alleviarlo. Il bathos non fa ridere alleggerendo ma zavorrando; un po' sgomenta, un po' esorcizza, un po' è la confessione mascherata di una sofferenza intrinseca agli atti primari della vita".
In uno degli ultimi spettacoli, acclamatissimi dagli affezionati fans di Francesco, attento osservatore e scrutatore di modi, mode, abitudini, vizi e virtù dei cittadini, la proposta di intitolare una strada a Leone di Lernia a dieci anni dalla sua scomparsa avvenuta nel 2017, ha riscosso una vera e propria ovazione di applausi.
"A dire il vero non è stata un'idea mia, ci racconta Francesco, ma nel mio bar io accolgo tantissimi tranesi che vengono veramente da tutto il mondo nella nostra città: vi posso assicurare che Leone Di Lernia è una figura popolare davvero amata, non voglio esagerare, in tutto il mondo. Mi piace dire che nel bene e nel male a chi è simpatico e a chi no è stato un artista che ha portato il nome di Trani davvero ovunque ".
E già, perché quella idea di tranesizzare in dialetto successi e hit internazionali negli anni '80 è stata tutt'altro che una banalità. Troppo superficialmente, e troppo spesso soprattutto dai suoi concittadini, Leone di Lernia è stato definito soltanto un cantante demenziale: perché a leggere e a tradurre quelle canzoni sfacciatamente ammiccanti e anche, diciamolo, un po' volgarotte, c'è molta più ironia, sarcasmo e intelligenza di quella che si possa immaginare. Il trash che oggi dilaga nelle trasmissioni televisive, nei social, nelle canzoni e che va tanto di moda tutto sommato in Leone di Lernia ha avuto uno dei suoi pionieri più efficaci e simpatici, tanto che Radio 105, ad esempio, gli dedica a ogni anniversario una trasmissione.
Leone era diventato celeberrimo grazie anche alle sue apparizioni domenicali a "Quelli che il calcio" e in radio, proprio 105 era davvero amatissimo.
Una analisi efficace la ritroviamo un un pezzo che il giornalista Camillo Langone gli dedicò alla sua morte, e di cui riportiamo una parte. "C'è una Puglia molto più vera nella scelta di dialettizzare quarant'anni di successi internazionali, rispetto a quanta ce ne sarebbe stata nel tentativo di dedicare una musica alta alle ossessioni popolane delle sue origini: dai figli che se ne vanno (Chille ca soffre, parodia di Killing Me Softly) all'usura del lavoro (Ra-ra-ri ra-ra, da Gipsy Woman) passando per il desiderio smodato di cibo, una fame atavica che è sigillo della povertà e per questo torna come leitmotiv in canzoni a decine; soprattutto nella più celebre, l'indimenticabile Te sì mangiate la banana, col suo accumulo rabelaisiano di pietanze difformi e potenzialmente letali. L'unica canzone che abbia mai conferito, credo, dignità poetica al citrato lenitivo. I testi delle canzoni di Leone di Lernia fanno ridere ma non sono allegri. Lo si deduce dal fatto che siano stati appiccicati sempre a motivi spensierati, con intento corrosivo: specie nella seconda parte della carriera, quando a partire dai primissimi anni Novanta s'è dedicato quasi esclusivamente alla riscrittura della musica house, il criterio di Leone di Lernia è stato – non so quanto sottinteso e nemmeno quanto consapevole – di utilizzare le hit ballabili come un contenitore, da svuotare ben bene del vuoto pneumatico dato dalla ripetitività e dalla superficialità di testi consolanti per riempirlo di testi altrettanto ripetitivi e superficiali ma che trascinassero verso il basso. Il suo metodo è stata una sistematica applicazione della più micidiale arma dell'umorismo, il bathos: spingere cinicamente verso un precipizio di senso ciò che è fatto per elevare l'uomo o, quanto meno, per distrarlo e alleviarlo. Il bathos non fa ridere alleggerendo ma zavorrando; un po' sgomenta, un po' esorcizza, un po' è la confessione mascherata di una sofferenza intrinseca agli atti primari della vita".