Il futuro dell’ospedale di Trani? Una casa della salute
Il direttore Gorgoni: «Così non ha ragion d'essere». No al Trani-Bisceglie-Andria: manca un suolo idoneo
sabato 15 ottobre 2011
«L'ospedale di Trani e più in generale tutti gli ospedali della Bat hanno dei costi di mantenimento troppo alti, non possono garantire standard ottimali di assitenza, hanno un numero esiguo di risorse umane. A causa della forte contrazione di risorse pubbliche dobbiamo farci bastare quelle che abbiamo per garantire l'assistenza ai cittadini. Ciò sarà possibile solo con un alleggerimento delle sedi ospedaliere». Giovanni Gorgoni, direttore generale della Asl, ospite del forum organizzato a San Luigi, lascia poco spazio alla fantasia. Pur ribadendo a chiare lettere di non essere venuto a parlare di chiusure e di decisioni già prese, Gorgoni è piuttosto esplicito. «Voglio parlare di evoluzione e di proposte. Voglio concentrare l'attenzione sul concetto di opportunità, quella di pensare, programmare e progettare adesso un nuovo modello e un nuovo luogo di salute e non di sanità».
Le domande dei cronisti, che lo intervistano pochi minuti prima dell'inizio del dibattito nell'auditorium, sono dirette e precise sui temi tanto declinati negli ultimi giorni. Gorgoni, di professione manager, sciorina numeri e costi: «Nessuna decisione è stata presa, non c'è nessuna chiusura programmata. Dal mio punto di vista ritengo sia giunto il momento di affrontare delle sfide, magari rischiose e poco condivise. Il bilancio della Asl Bat tutto sommato mi può soddisfare. Chiudueremo l'anno con un pareggio, ma ritengo si possa fare di più soprattutto dal punto di vista del livello dell'assitenza, attestato oggi su livelli minimi. Serve realismo. Nell'arco di dieci anni ho forti dubbi che gli ospedali di Trani, Bisceglie e Canosa possano restare in piedi se concepiti così come lo sono oggi». Allora che fare? «Oggi dobbiamo pensare un modello di assistenza in grado di produrre salute e rispondere a quell'80 per cento di domanda che si definisce territoriale e non ospedaliera. Quello che proponiamo è un luogo di cura integrato la cui organizzazione vogliamo condividere con la comunità, le amministrazioni comunali e i rappresentanti del terzo settore. Abbiamo in mente un luogo in grado di offrire servizi, dare spazio agli apparati comunali di assistenza sociale e che possa essere anche uno spazio di aggregazione. Le aree rappresentate saranno quelle delle strutture residenziali, della continuità assistenziale con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, delle strutture semiresidenziali, dell'accoglienza amministrativa, delle attività socio-sanitarie e delle prestazioni specialistiche. Saranno inoltre presenti i servizi dedicati all'emergenza-urgenza».
Gorgoni si affida al modello toscano. Il nome (Case della salute) a lui non piace, ma di questo si parla: «La proposta che facciamo oggi ha il senso di scongiurare il rischio assai concreto di subire ridimensionamenti imposti da una situazione di crisi che è regionale e nazionale. Dobbiamo pensare ora una ridistribuzione dei posti letto, modelli di assistenza sanitaria territoriale che poi dovranno essere applicati anche in tutti gli altri comuni della provincia. Ovunque i servizi sono dispersi sul territorio: è necessario creare degli spazi unici che possano e debbano essere un punto di riferimento per i cittadini utenti. Quando mi sono insediato ho parlato di de-ospedalizzazione, di medicina territoriale, di produzione di salute e non di sanità, di riorganizzazione dei modelli di assistenza: quello che stiamo proponendo è in linea con gli intenti dichiarati, è il primo passo di una fase progettuale a cui dedicheremo attenzione e costanza. Se le comunità locali avranno il coraggio di lanciarsi nella definizione e nella organizzazione di un modello assistenziale moderno, creeremo tavoli di lavoro operativi per definire le idee e dettagliare i contenuti. Le attività sarebbero gradualmente trasferite, la continuità assistenziale per i cittadini di Trani sarebbe sempre garantita».
Nonostante le domande dei presenti siano piuttosto dirette, Gorgoni nel corso del suo intervento, non parla dei paventati trasferimenti di reparti che dovrebbero interessare le strutture di Trani e Bisceglie in quella che ormai può essere definita una guerra tra poveri. Sui nuovi ospedali, ai cronisti, spiega che nella Bat se ne realizzerà solo uno. «Non ne possiamo prevedere altri perché i soldi per un secondo non ci sono». Sull'ubicazione, Gorgoni fa decadere ogni possibilità di un'individuazione sulla direttrice Andria-Bisceglie-Trani: «Detto che non ci sono i soldi, per costruire un ospedale degno di tal nome, con almeno 400 posti letto, serve un'area di almeno 7 ettari e mezzo. L'unico sito teoricamente idoneo sulla direttrice Andria-Bisceglie si trova in un'area oggetto di vincoli idrogeologici».
Le domande dei cronisti, che lo intervistano pochi minuti prima dell'inizio del dibattito nell'auditorium, sono dirette e precise sui temi tanto declinati negli ultimi giorni. Gorgoni, di professione manager, sciorina numeri e costi: «Nessuna decisione è stata presa, non c'è nessuna chiusura programmata. Dal mio punto di vista ritengo sia giunto il momento di affrontare delle sfide, magari rischiose e poco condivise. Il bilancio della Asl Bat tutto sommato mi può soddisfare. Chiudueremo l'anno con un pareggio, ma ritengo si possa fare di più soprattutto dal punto di vista del livello dell'assitenza, attestato oggi su livelli minimi. Serve realismo. Nell'arco di dieci anni ho forti dubbi che gli ospedali di Trani, Bisceglie e Canosa possano restare in piedi se concepiti così come lo sono oggi». Allora che fare? «Oggi dobbiamo pensare un modello di assistenza in grado di produrre salute e rispondere a quell'80 per cento di domanda che si definisce territoriale e non ospedaliera. Quello che proponiamo è un luogo di cura integrato la cui organizzazione vogliamo condividere con la comunità, le amministrazioni comunali e i rappresentanti del terzo settore. Abbiamo in mente un luogo in grado di offrire servizi, dare spazio agli apparati comunali di assistenza sociale e che possa essere anche uno spazio di aggregazione. Le aree rappresentate saranno quelle delle strutture residenziali, della continuità assistenziale con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta, delle strutture semiresidenziali, dell'accoglienza amministrativa, delle attività socio-sanitarie e delle prestazioni specialistiche. Saranno inoltre presenti i servizi dedicati all'emergenza-urgenza».
Gorgoni si affida al modello toscano. Il nome (Case della salute) a lui non piace, ma di questo si parla: «La proposta che facciamo oggi ha il senso di scongiurare il rischio assai concreto di subire ridimensionamenti imposti da una situazione di crisi che è regionale e nazionale. Dobbiamo pensare ora una ridistribuzione dei posti letto, modelli di assistenza sanitaria territoriale che poi dovranno essere applicati anche in tutti gli altri comuni della provincia. Ovunque i servizi sono dispersi sul territorio: è necessario creare degli spazi unici che possano e debbano essere un punto di riferimento per i cittadini utenti. Quando mi sono insediato ho parlato di de-ospedalizzazione, di medicina territoriale, di produzione di salute e non di sanità, di riorganizzazione dei modelli di assistenza: quello che stiamo proponendo è in linea con gli intenti dichiarati, è il primo passo di una fase progettuale a cui dedicheremo attenzione e costanza. Se le comunità locali avranno il coraggio di lanciarsi nella definizione e nella organizzazione di un modello assistenziale moderno, creeremo tavoli di lavoro operativi per definire le idee e dettagliare i contenuti. Le attività sarebbero gradualmente trasferite, la continuità assistenziale per i cittadini di Trani sarebbe sempre garantita».
Nonostante le domande dei presenti siano piuttosto dirette, Gorgoni nel corso del suo intervento, non parla dei paventati trasferimenti di reparti che dovrebbero interessare le strutture di Trani e Bisceglie in quella che ormai può essere definita una guerra tra poveri. Sui nuovi ospedali, ai cronisti, spiega che nella Bat se ne realizzerà solo uno. «Non ne possiamo prevedere altri perché i soldi per un secondo non ci sono». Sull'ubicazione, Gorgoni fa decadere ogni possibilità di un'individuazione sulla direttrice Andria-Bisceglie-Trani: «Detto che non ci sono i soldi, per costruire un ospedale degno di tal nome, con almeno 400 posti letto, serve un'area di almeno 7 ettari e mezzo. L'unico sito teoricamente idoneo sulla direttrice Andria-Bisceglie si trova in un'area oggetto di vincoli idrogeologici».
Giovanni Gorgoni non prescinde dai numeri per fotografare la situazione della nostra Asl. I costi annuali si aggirano intorno ai 687 milioni di euro, il 48% (329,80 milioni di euro) per l'assistenza ospedaliera, il 44% (305,50 milioni di euro) per l'assistenza distrettuale. I costi di esercizio degli ospedali solo nel 2010 sono stati di 225milioni di euro: Barletta costa 67 milioni, Andria 60,3 milioni, Trani 32,2 milioni, Bisceglie qualcosina in meno (32,1 milioni), poi c'è Canosa (25,9 milioni). Spinazzola e Minervino (ormai chiusi) costavano insieme 8,2 milioni. I livelli di assistenza sono garantiti da 3620 unità, ma il saldo del personale è decisamente in rosso. Un esempio per tutti: per avere dei centri operatori efficienti servirebbero complessivamente 90 anestesisti. In tutta la Asl ce ne sono 61. All'appello ne mancano 29, «praticamente introvabili» spiega Gorgoni.