La decrescita infelice

L'isola di Ogigia 1 - di Silvia Abbruzzese

giovedì 17 settembre 2009
Tra gli sbocchi occupazionali delle - un tempo - prestigiose facoltà di Lettere e Filosofia italiane è da molto tempo citata la possibilità di rivestire un ruolo (s'intende lavorativo) nei musei. Lo stesso vale per i master post lauream - ovviamente a pagamento - che formano studenti e addetti ai lavori circa le norme che regolano il sistema museale italiano, le abilità da raggiungere per essere un buon curatore di mostre ed eventi e, non da ultimo, una conoscenza dettagliata dei beni culturali e dei moderni sistemi di catalogazione informatica. Sparsi copiosamente sul territorio nazionale, i musei raccolgono in molti casi dei veri e propri tesori, peraltro non sempre noti al grande pubblico, o semplicemente fungono, o dovrebbero fungere, da luogo di aggregazione culturale su più livelli. Suddivisi in diverse tipologie - archeologico, antropologico, d'arte moderna, d'arte contemporanea, ecc.- i musei sono gestiti da Comuni e Province, indirettamente quindi dallo Stato, per salvaguardare, tutelare, catalogare e promuovere l'ormai tanto decantato patrimonio sacrosanto e culturale del nostro bel Paese.

Bene, questi musei non hanno (da Palermo a Milano, da Pescara a Napoli) a tutt'oggi un soldo bucato da investire nell'assunzione di nuovo personale, nemmeno per quei poveri illusi formatisi ai sudati tavoli di Università, master e corsi di ultima generazione, pubblicizzati in ogni dove a lettere cubitali come aggiornatissimi sulle nuove tendenze, da ultimo il Master appena promosso dallo IED di Roma, "Come diventare curatori di eventi per musei, gallerie e festival". Come se i musei, le gallerie e i festival fossero oggi in grado di assumere i "masterizzati" appena sfornati.
I musei, oggi, non solo non sono in grado di assumere, ma non possono nemmeno giovarsi di collaborazioni esterne (per l'allestimento di mostre temporanee, catalogazione materiale permanente, organizzazione di laboratori, ecc.) retribuite con un contratto a progetto, ex co.co.co., che fino a qualche anno fa era visto come la bestia nera che toglieva le certezze del lavoro fisso e che oggi campeggia più di un miraggio tra le fila dei destini lavorativi dei laureati in lettere, fila tenute dai direttori dei musei.

Dunque, in estrema sintesi: mi iscrivo alla facoltà di Lettere affinché gl'intoccabili docenti -profumatamente pagati dallo Stato - mi istruiscano fin nei più sottili dettagli sui beni archeologici e culturali, sulle Lettere ecc.. Mi iscrivo perchè è quello l'indirizzo di studi per lavorare nei musei. Mi laureo e devo fare pratica, però, perchè l'Università mi ha dato tante nozioni teoriche ma nessuna possibilità di misurarmi con l'aspetto pragmatico (come da sempre invece succede nelle Università europee). Mi iscrivo ad un master a pagamento, ma ancora non basta. Quindi devo svolgere un periodo di stage presso qualche museo o struttura simile, ma pare sia così difficile e devo accontentarmi di lavorare – sottopagato - in altri luoghi.

Mi informo, mi formo, e magari imparo anche alla perfezione i sistemi di catalogazione informatica dei beni culturali che, se non hai, prontamente ti richiedono. Ancora manca qualcosa, devi conoscere almeno una lingua estera, e così mi reco all'estero. Faccio esperienza lì, torno, deciso a restare nel mio Paese. Vado dal direttore del museo di turno e cosa mi risponde? "Spiacente, non abbiamo fondi per assumerla. Non posso nemmeno interpellarla per una collaborazione saltuaria esterna. Stesso motivo, non abbiamo fondi. Non possiamo farla collaborare gratuitamente. Ma se vuole effettuare un periodo di stage - non retribuito - lasci il suo curriculum. Se avremo necessità in futuro la contatteremo". Ogni direttore, ogni museo, la stessa musica. Ma non prendiamocela con questi poveri direttori dalle mani legate.

La domanda è: quanto può essere stupido uno Stato che investe nella formazione di studenti che non potrà mai assumere? Benvenuti nel mondo dei musei, benvenuti nel mondo della decrescita infelice.

Silvia Abbruzzese