«La satira? Sta sempre bene». Parola di Sergio Staino
Il disegnatore toscano in un'intervista esclusiva per i lettori di TraniViva
domenica 17 maggio 2015
7.37
Il fine settimana che si concluderà oggi avrà portato alla città un illustre ospite: si tratta di Sergio Staino, disegnatore e vignettista toscano, classe 1940, giunto per prendere parte all'incontro organizzato dal Circolo del Cinema "Dino Risi" in suo onore, svoltosi venerdì sera con il titolo "Satira, sogni e cinema". Staino, che mancava a Trani dal '61, tornerà a casa serbando un buon ricordo della città. Ai nostri microfoni, si è concesso per una chiacchierata informale sulla propria carriera.
Qual'è, secondo lei, lo stato della satira oggi?
«La satira sta sempre bene. Non ci sono problemi da questo punto di vista. È un moto dell'anima che cerca, in un modo non violento, di rifarsi contro le ingiustizie che patiamo, le stupidità e le ipocrisie. Siccome sono cose che non spariranno mai, ci sarà sempre la satira. Cambiano ed entrano in crisi i media attraverso cui far conoscerla. Anche nelle dittature e in situazioni fortemente oscurantiste, resiste sotto forma di barzelletta, di scritto allegorico. Al momento, è in crisi la satira sui giornali, poiché configurandosi come politica ha bisogno di una passione alla base. Al momento, il sentimento comune sta sfociando, nel migliore dei casi, in una cattiveria colma di indignazione. Attraverso questi canali risulta difficile alla satira esprimersi».
C'è una vignetta, in particolare, che le ha creato diversi grattacapi?
«La vignetta che mi ha creato più contraddizioni l'ho fatta alcuni anni fa su l'Unità, il giorno in cui cadde l'aereo a Smolensk, in Russia, per imbecillità dell'allora presidente della Polonia: sparirono, in un sol colpo, 90 esponenti della sua nomenclatura. Feci una vignetta, ampiamente condivisa dalla direttrice Concita De Gregorio, alludendo al fatto che cotanti morti sarebbero potuti essere meglio distribuiti su tutto il territorio europeo. Il giorno dopo, Il Giornale, allora ancora diretto da Feltri, uscì con una prima pagina occupata interamente dalla mia vignetta, con sopra scritto "Vogliono Berlusconi morto". Fu una forzatura, nella ridistribuzione sarebbe potuto capitare dentro, ma anche D'Alema ci sarebbe potuto finire. Accanto, fu ingrandito anche il mio indirizzo mail, che allora apponevo accanto alla firma. Fui subissato da centinaia di messaggi di protesta. Ho risposto a tutti. Uno dei più violenti, che mi accusava di vilipendio al popolo polacco e che mi augurava la stessa fine di quei diplomatici, mi disse poi "in tanti anni di mail di protesta, lei è il primo che mi risponde. Già per questo è un grande, signor Staino". Decisi di inserire questa come prefazione di "A chi troppo e a chi niente. Bobo colpisce ancora", edito da Rizzoli».
Come lo studente universitario Staino è diventato il disegnatore Staino?
«Disegnatore lo sono sempre stato. Fin dall'età di tre anni, con mia madre, finiti i pochi libri di favole in nostro possesso e con mio padre lontano, richiamato in guerra, giocavamo a riprodurre le illustrazioni di quei volumi. Cavalli, cavalieri e quant'altro. La cosa mi deve essere piaciuta così tanto, devo aver legato così fortemente il disegno alle sicurezze materne, che non ho più smesso. Nel corso dell'adolescenza, sfogavo le paure (esami, parenti malati, etc.) disegnando. L'ho sempre fatto con un piacere tale da non aver mai pensato di farne un lavoro. Anche con una maggiore maturità, alle riunioni politiche, invece che prendere appunti come faceva Gramsci e come avremmo dovuto fare tutti, io disegnavo i volti dei presenti, delle caricature, magari immergendoli in situazioni paradossali. Il giorno in cui decisi di farne un vero e proprio fumetto e di inviarlo a Linus, che me lo prese subito, provai la più bella soddisfazione della mia vita. È una cosa che auguro a tutti, di ricevere un assegno in cambio di una propria passione, di qualcosa che per me fino a quel momento era poco più di un gioco».
Qual'è, secondo lei, lo stato della satira oggi?
«La satira sta sempre bene. Non ci sono problemi da questo punto di vista. È un moto dell'anima che cerca, in un modo non violento, di rifarsi contro le ingiustizie che patiamo, le stupidità e le ipocrisie. Siccome sono cose che non spariranno mai, ci sarà sempre la satira. Cambiano ed entrano in crisi i media attraverso cui far conoscerla. Anche nelle dittature e in situazioni fortemente oscurantiste, resiste sotto forma di barzelletta, di scritto allegorico. Al momento, è in crisi la satira sui giornali, poiché configurandosi come politica ha bisogno di una passione alla base. Al momento, il sentimento comune sta sfociando, nel migliore dei casi, in una cattiveria colma di indignazione. Attraverso questi canali risulta difficile alla satira esprimersi».
C'è una vignetta, in particolare, che le ha creato diversi grattacapi?
«La vignetta che mi ha creato più contraddizioni l'ho fatta alcuni anni fa su l'Unità, il giorno in cui cadde l'aereo a Smolensk, in Russia, per imbecillità dell'allora presidente della Polonia: sparirono, in un sol colpo, 90 esponenti della sua nomenclatura. Feci una vignetta, ampiamente condivisa dalla direttrice Concita De Gregorio, alludendo al fatto che cotanti morti sarebbero potuti essere meglio distribuiti su tutto il territorio europeo. Il giorno dopo, Il Giornale, allora ancora diretto da Feltri, uscì con una prima pagina occupata interamente dalla mia vignetta, con sopra scritto "Vogliono Berlusconi morto". Fu una forzatura, nella ridistribuzione sarebbe potuto capitare dentro, ma anche D'Alema ci sarebbe potuto finire. Accanto, fu ingrandito anche il mio indirizzo mail, che allora apponevo accanto alla firma. Fui subissato da centinaia di messaggi di protesta. Ho risposto a tutti. Uno dei più violenti, che mi accusava di vilipendio al popolo polacco e che mi augurava la stessa fine di quei diplomatici, mi disse poi "in tanti anni di mail di protesta, lei è il primo che mi risponde. Già per questo è un grande, signor Staino". Decisi di inserire questa come prefazione di "A chi troppo e a chi niente. Bobo colpisce ancora", edito da Rizzoli».
Come lo studente universitario Staino è diventato il disegnatore Staino?
«Disegnatore lo sono sempre stato. Fin dall'età di tre anni, con mia madre, finiti i pochi libri di favole in nostro possesso e con mio padre lontano, richiamato in guerra, giocavamo a riprodurre le illustrazioni di quei volumi. Cavalli, cavalieri e quant'altro. La cosa mi deve essere piaciuta così tanto, devo aver legato così fortemente il disegno alle sicurezze materne, che non ho più smesso. Nel corso dell'adolescenza, sfogavo le paure (esami, parenti malati, etc.) disegnando. L'ho sempre fatto con un piacere tale da non aver mai pensato di farne un lavoro. Anche con una maggiore maturità, alle riunioni politiche, invece che prendere appunti come faceva Gramsci e come avremmo dovuto fare tutti, io disegnavo i volti dei presenti, delle caricature, magari immergendoli in situazioni paradossali. Il giorno in cui decisi di farne un vero e proprio fumetto e di inviarlo a Linus, che me lo prese subito, provai la più bella soddisfazione della mia vita. È una cosa che auguro a tutti, di ricevere un assegno in cambio di una propria passione, di qualcosa che per me fino a quel momento era poco più di un gioco».