Legambiente, presentato il rapporto annuale sulle cave

In Puglia ce ne sono 339 attive e 550 dismesse o abbandonate. «Si passi subito alla tariffe proporzionali alla quantità di materiale estratto »

giovedì 7 luglio 2011
Perfino in un periodo di crisi dell'edilizia, l'Italia, con oltre 34 milioni di tonnellate e una media di 565 chili per ogni cittadino, continua a detenere un vero e proprio primato europeo nel consumo di cemento. Nel 2010 dalle 5.736 mila cave attive nel Bel Paese sono stati estratti quasi 90 milioni di metri cubi di inerti di cui circa la metà (43 milioni di metri cubi) in Lombardia, Lazio e Piemonte. Una ferita rilevantissima al paesaggio che riguarda 2.240 Comuni, a cui vanno aggiunte più di 13mila cave dismesse nelle regioni in cui esiste un monitoraggio, che arrivano facilmente a 15mila sommando quelle abbandonate di Calabria, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia.

«Con il Rapporto annuale sulle cave, Legambiente - dichiara Francesco Tarantini, Presidente Legambiente Puglia - vuole fornire un quadro aggiornato della situazione nelle diverse Regioni italiane sull'attività estrattiva, un settore dove i guadagni sono miliardari a fronte di pochi euro lasciati al territorio».

In Puglia, sono presenti 339 cave attive, mentre ammontano a 550 quelle dismesse o abbandonate. Sabbia e ghiaia sono i materiali principalmente estratti per un totale di 7,3 milioni di metri cubi, seguiti da calcare con 4,2 milioni di metri cubi, pietre ornamentali quasi un milione di metri cubi e argilla con 755 mila metri cubi. «Dal Rapporto emerge che la Puglia - continua Tarantini - è l'unica regione del Mezzogiorno ad avere il piano regionale delle attività estrattive che permette di programmare e quantificare i veri fabbisogni dei volumi cavati. Di contro non c'è ancora nessun piano di recupero per le aree di cave dismesse».

In Puglia si sono estratti nel 2010 di soli inerti 7,3 milioni di metri cubi che fruttano un guadagno di 91,5 milioni di euro per i cavatori che nulla dovevano alla regione fino a qualche mese fa. «Finalmente, dopo una lunga battaglia di Legambiente, - continua Tarantini - è stato fatto un passo in avanti nella nostra regione con la pubblicazione sul Bollettino ufficiale della tabella che stabilisce gli oneri che i cavatori dovranno per il momento versare in base alla superficie occupata dalle attività estrattive. Auspichiamo che si passi, nel più breve tempo possibile, a tariffe proporzionate alla quantità di materiale estratto». Se, per esempio, si introducesse il canone di concessione del 20% del prezzo di vendita, così come stabilito in Gran Bretagna, considerando solo sabbia e ghiaia, la Regione Puglia potrebbe ottenere un'entrata pari circa a 22 milioni di euro ogni anno.