Nell'inchiesta I.da.pro. coinvolti 13 veterinari e 5 macelli
Venivano miscelati sottoprodotti alimentari di categorie diverse. La ricostruzione fatta dagli inquirenti
mercoledì 18 aprile 2012
10.14
Una faccenda che puzza in tutti i sensi quella della I.da.pro. Per una miglior comprensione del geniale e complicato piano criminale posto in essere, è doveroso esporre alcuni concetti fondamentali su cui si incentra tutta l'attività illecita, il cui unico fine è quello di approdare a tutti i costi al maggior illecito profitto.
I sottoprodotti di origine animale (detti soa), secondo la normativa sanitaria comunitaria, sono divisi in due gruppi: i soa di categoria 3 quali scarti derivanti dalla lavorazione delle carni, cosiddetto spolpo, dopo la macellazione di ogni specie animale, considerati a basso rischio infettivo (ossa, ritagli di carne, organi non commestibili, pezzi di grasso), e soa di categoria 1 identificabili nelle carcasse di animali di ogni specie morti per cause diverse dalla macellazione, unitamente ai cosiddetti materiali specifici a rischio costituiti da alcuni tessuti e parti anatomiche delle specie ruminanti (bovini e ovi-caprini), quali gran parte dei crani e gli organi dell'apparato digerente (intestini), considerati dalla comunità scientifica mondiale ad alto contenuto infettivo rispetto al rischio del morbo della mucca pazza (Bse). Premesso ciò, la legge consente il solo utilizzo della categoria 3, con ben determinate caratteristiche di qualità, legate in particolar modo alla conservazione, per la produzione di grasso fuso (il "colato") quale elemento di base indispensabile per la formulazione dei mangimi destinati ai polli; per farine animali, destinate in minima parte come pet-food (cibo per cani) e, per la restante, alla produzione di fertilizzanti che, in quanto di origine organica, sono a loro volta utilizzati in particolare nell'agricoltura biologica.
Invero, per i sottoprodotti di origine animale di categoria 1 è prevista, con tassativa esclusione dagli usi riferiti alla categoria 3, la sola eliminazione, benché anche da questi si ricavino, analogamente, sia grasso che farine da destinarsi al solo smaltimento, destinazione che porta alla classificazione degli stessi come rifiuti speciali a norma del testo unico ambientale. Si presume essere elevato, difatti, il rischio per la salute derivante dall'introduzione di questi ultimi materiali sia direttamente che indirettamente (tramite mangimi e fertilizzanti) nella catena alimentare, la cui piena consapevolezza è stata raggiunta a seguito dell'emergenza manifestatasi della Bse quale encefalopatia spongiforme trasmissibile, di cui ancora oggi risuona l'eco e che ha ispirato l'attuale normativa comunitaria e nazionale del settore.
Appare evidente l'elevato interesse rivolto dagli operatori del settore verso gli scarti di categoria 3 in quanto riutilizzabili e fonte di cospicui guadagni, cosa che non avviene per quelli di categoria 1 che hanno un mercato alquanto deficitario, all'attualità destinati all'incenerimento. Ma affinché i materiali di categoria 3 conservino il prezioso requisito della riutilizzabilità, va assolutamente scongiurato il rischio di contaminazione degli stessi con quelli di categoria 1: miscele di soa di categoria 1 e categoria 3, agli effetti di legge, sono, difatti, da considerarsi di categoria 1, in forza del potere inquinante dei primi sull'intera massa che si tramuta anch'essa in rifiuto da destinare alla sola eliminazione.
Essenziale, al fine di garantire la salubrità dei prodotti commerciabili derivati dal trattamento degli scarti di categoria 3, è quanto prescritto dalla legge: l'asettica separazione delle linee di gestione e trasformazione delle due distinte categorie. Ciò significa che ogni operatore del settore, deve utilizzare mezzi e impianti di trasformazione dei prodotti esclusivamente dedicati ad una o l'altra categoria di prodotti trattati: diversamente, dalla reiterata violazione di questi elementari principi, posti alla base della sicurezza delle materie reintrodotte nella catena alimentare, si fonda il sistema architettato dall'organizzazione, protesa, con tale espediente, al risparmio sui costi di gestione nella fase di trasporto e al far confluire, nella catena del riutilizzo, il maggior quantitativo di soa, indipendentemente dalla categoria di appartenenza con la produzione di sempre maggiori quantità di colato e farine da immettere in commercio con lauti e continui crescenti guadagni.
I promotori dell'organizzazione gestivano nel medesimo stabilimento (I.da.pro) due distinti complessi impianti di trasformazione, uno dedicato alla categoria 1 e uno destinato alla categoria 3, apparentemente, asetticamente separati come prescritto; qui sarebbero dovuti pervenire gli scarti di entrambe le categorie secondo due linee distinte di raccolta. Di fatto, tale separazione veniva solo artatamente rappresentata nei documenti previsti per legge (documenti di trasporto e registri di tracciabilità) con la complicità dei produttori e conferitori dei soa che, oltre a prestarsi alla compilazione di tutta una serie di documenti falsi, approntavano sin dalla fonte trasporti promiscui (miscele di soa di entrambe le categorie), al fine del risparmio delle spese di trasporto. Pertanto, i soa di categoria 3 unitamente a buona parte dei soa di categoria 1 (ad esclusione delle sole carcasse di grosse dimensioni) venivano tutti avviati alla trasformazione nell'impianto di categoria 3, per la produzione, previa cottura degli scarti e successiva centrifugazione, di grasso e farina, rispettivamente per uso mangimistico e fertilizzante, in spregio alla normativa sanitaria e ambientale, e puntualmente, come materie prime, immessi in commercio, spacciati fraudolentemente agli ignari acquirenti, come di categoria 3, con notevole rischio per la salute e l'ambiente derivante dall'alta presenza e contaminazione di rifiuti di categoria 1.
Per attuare il tutto, gli artefici contavano sull'ampio parco mezzi della I.da.pro e sulla Fratelli Cavaliere s.r.l., oltre che su un articolato e capillare connubio creato sul tutto il territorio regionale ed extra regionale e su ben 5 macelli che fornivano gli scarti originatisi dal ciclo di mattanza, tutti giornalmente direttamente prelevati dai mezzi delle due società andriesi.
Sono quindi indagati per partecipazione all'associazione per delinquere, diretta al falso e all'attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, configurato nella pratica di miscelare gli scarti al fine di produrre materie prime da commercializzare illegalmente, gli amministratori di altre quattro società che nel periodo di indagine hanno gestito gli impianti di transito (Ecospano snc di Bovino, Tsa Sud srl di Francavilla Fontana, Fratelli De Carlo snc di San Pietro in Lama, Adriagrass srl di Silvi Marina) nonché i macelli di Foggia, Noicattaro, Conversano e Fasano che approntavano carichi di soa promiscui scortati fino a destinazione da documenti falsi abilitando, in tal modo, l'intera massa contaminata alla trasformazione nell' impianto di categoria.
Di particolare gravità è la situazione dei macelli, ove i veterinari ufficiali preposti per legge al controllo della separazione degli scarti e del corretto loro smaltimento si presume abbiano permesso, omissivamente e reiteratamente, l'innesco di queste condotte sin dalla fonte e quindi la contaminazione da rifiuti di tutte le materie prime con conseguente rischio sanitario. Il tutto attraverso un sistema impeccabile di tracciabilità dipinto nei documenti ufficiali e attraverso la consulenza di un biologo esterno, anche esso indagato, venivano certificati e immessi nel mercato come di alta qualità e soprattutto di categoria 3. Per ben 13 di questi sanitari l'ipotesi di reato contestata è l'omissione in atti d'ufficio.
I sottoprodotti di origine animale (detti soa), secondo la normativa sanitaria comunitaria, sono divisi in due gruppi: i soa di categoria 3 quali scarti derivanti dalla lavorazione delle carni, cosiddetto spolpo, dopo la macellazione di ogni specie animale, considerati a basso rischio infettivo (ossa, ritagli di carne, organi non commestibili, pezzi di grasso), e soa di categoria 1 identificabili nelle carcasse di animali di ogni specie morti per cause diverse dalla macellazione, unitamente ai cosiddetti materiali specifici a rischio costituiti da alcuni tessuti e parti anatomiche delle specie ruminanti (bovini e ovi-caprini), quali gran parte dei crani e gli organi dell'apparato digerente (intestini), considerati dalla comunità scientifica mondiale ad alto contenuto infettivo rispetto al rischio del morbo della mucca pazza (Bse). Premesso ciò, la legge consente il solo utilizzo della categoria 3, con ben determinate caratteristiche di qualità, legate in particolar modo alla conservazione, per la produzione di grasso fuso (il "colato") quale elemento di base indispensabile per la formulazione dei mangimi destinati ai polli; per farine animali, destinate in minima parte come pet-food (cibo per cani) e, per la restante, alla produzione di fertilizzanti che, in quanto di origine organica, sono a loro volta utilizzati in particolare nell'agricoltura biologica.
Invero, per i sottoprodotti di origine animale di categoria 1 è prevista, con tassativa esclusione dagli usi riferiti alla categoria 3, la sola eliminazione, benché anche da questi si ricavino, analogamente, sia grasso che farine da destinarsi al solo smaltimento, destinazione che porta alla classificazione degli stessi come rifiuti speciali a norma del testo unico ambientale. Si presume essere elevato, difatti, il rischio per la salute derivante dall'introduzione di questi ultimi materiali sia direttamente che indirettamente (tramite mangimi e fertilizzanti) nella catena alimentare, la cui piena consapevolezza è stata raggiunta a seguito dell'emergenza manifestatasi della Bse quale encefalopatia spongiforme trasmissibile, di cui ancora oggi risuona l'eco e che ha ispirato l'attuale normativa comunitaria e nazionale del settore.
Appare evidente l'elevato interesse rivolto dagli operatori del settore verso gli scarti di categoria 3 in quanto riutilizzabili e fonte di cospicui guadagni, cosa che non avviene per quelli di categoria 1 che hanno un mercato alquanto deficitario, all'attualità destinati all'incenerimento. Ma affinché i materiali di categoria 3 conservino il prezioso requisito della riutilizzabilità, va assolutamente scongiurato il rischio di contaminazione degli stessi con quelli di categoria 1: miscele di soa di categoria 1 e categoria 3, agli effetti di legge, sono, difatti, da considerarsi di categoria 1, in forza del potere inquinante dei primi sull'intera massa che si tramuta anch'essa in rifiuto da destinare alla sola eliminazione.
Essenziale, al fine di garantire la salubrità dei prodotti commerciabili derivati dal trattamento degli scarti di categoria 3, è quanto prescritto dalla legge: l'asettica separazione delle linee di gestione e trasformazione delle due distinte categorie. Ciò significa che ogni operatore del settore, deve utilizzare mezzi e impianti di trasformazione dei prodotti esclusivamente dedicati ad una o l'altra categoria di prodotti trattati: diversamente, dalla reiterata violazione di questi elementari principi, posti alla base della sicurezza delle materie reintrodotte nella catena alimentare, si fonda il sistema architettato dall'organizzazione, protesa, con tale espediente, al risparmio sui costi di gestione nella fase di trasporto e al far confluire, nella catena del riutilizzo, il maggior quantitativo di soa, indipendentemente dalla categoria di appartenenza con la produzione di sempre maggiori quantità di colato e farine da immettere in commercio con lauti e continui crescenti guadagni.
I promotori dell'organizzazione gestivano nel medesimo stabilimento (I.da.pro) due distinti complessi impianti di trasformazione, uno dedicato alla categoria 1 e uno destinato alla categoria 3, apparentemente, asetticamente separati come prescritto; qui sarebbero dovuti pervenire gli scarti di entrambe le categorie secondo due linee distinte di raccolta. Di fatto, tale separazione veniva solo artatamente rappresentata nei documenti previsti per legge (documenti di trasporto e registri di tracciabilità) con la complicità dei produttori e conferitori dei soa che, oltre a prestarsi alla compilazione di tutta una serie di documenti falsi, approntavano sin dalla fonte trasporti promiscui (miscele di soa di entrambe le categorie), al fine del risparmio delle spese di trasporto. Pertanto, i soa di categoria 3 unitamente a buona parte dei soa di categoria 1 (ad esclusione delle sole carcasse di grosse dimensioni) venivano tutti avviati alla trasformazione nell'impianto di categoria 3, per la produzione, previa cottura degli scarti e successiva centrifugazione, di grasso e farina, rispettivamente per uso mangimistico e fertilizzante, in spregio alla normativa sanitaria e ambientale, e puntualmente, come materie prime, immessi in commercio, spacciati fraudolentemente agli ignari acquirenti, come di categoria 3, con notevole rischio per la salute e l'ambiente derivante dall'alta presenza e contaminazione di rifiuti di categoria 1.
Per attuare il tutto, gli artefici contavano sull'ampio parco mezzi della I.da.pro e sulla Fratelli Cavaliere s.r.l., oltre che su un articolato e capillare connubio creato sul tutto il territorio regionale ed extra regionale e su ben 5 macelli che fornivano gli scarti originatisi dal ciclo di mattanza, tutti giornalmente direttamente prelevati dai mezzi delle due società andriesi.
Sono quindi indagati per partecipazione all'associazione per delinquere, diretta al falso e all'attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, configurato nella pratica di miscelare gli scarti al fine di produrre materie prime da commercializzare illegalmente, gli amministratori di altre quattro società che nel periodo di indagine hanno gestito gli impianti di transito (Ecospano snc di Bovino, Tsa Sud srl di Francavilla Fontana, Fratelli De Carlo snc di San Pietro in Lama, Adriagrass srl di Silvi Marina) nonché i macelli di Foggia, Noicattaro, Conversano e Fasano che approntavano carichi di soa promiscui scortati fino a destinazione da documenti falsi abilitando, in tal modo, l'intera massa contaminata alla trasformazione nell' impianto di categoria.
Di particolare gravità è la situazione dei macelli, ove i veterinari ufficiali preposti per legge al controllo della separazione degli scarti e del corretto loro smaltimento si presume abbiano permesso, omissivamente e reiteratamente, l'innesco di queste condotte sin dalla fonte e quindi la contaminazione da rifiuti di tutte le materie prime con conseguente rischio sanitario. Il tutto attraverso un sistema impeccabile di tracciabilità dipinto nei documenti ufficiali e attraverso la consulenza di un biologo esterno, anche esso indagato, venivano certificati e immessi nel mercato come di alta qualità e soprattutto di categoria 3. Per ben 13 di questi sanitari l'ipotesi di reato contestata è l'omissione in atti d'ufficio.
Presso la I.da.pro. venivano trattate tutte le carcasse di animali morti provenienti da tutto il territorio regionale e del Molise in forza di apposite convenzioni stipulate con le associazione degli allevatori di entrambe le regioni che annualmente vengono rinnovate e che comportavano un introito di oltre 1.000.000 di euro. Venivano trattati anche capi di bestiame sottoposti ad abbattimenti per problemi veterinari (zoonosi, diossina), tutto ciò in forza del fatto che l'azienda ha in esercizio anche l'impianto di trasformazione di categoria 1. Le indagini hanno dunque accertato il reiterarsi, quasi con frequenza giornaliera, di numerosi spostamenti, a cura di dipendenti I.da.pro., anch'essi indagati, di notevoli quantità di materiali di categoria 1 e carcasse di piccola e media taglia (polli, pecore e maiali, in particolare), che, momentaneamente stoccati nell'impianto di categoria 1, al momento opportuno, venivano dirottati nell'adiacente impianto di categoria 3, per aumentarne la produzione di grassi e farine, all'insegna del maggior profitto.
Nel periodo di indagine la I.da.pro. ha immesso nel mercato 3.200 tonnellate di grasso, diretto all'alimentazione dei polli allevati in rilevanti realtà economiche del centro e del nord Italia, in Albania e alcune partite dirette ad allevamenti spagnoli, gli unici ad accorgersi della pessima qualità della materia prima fornitagli.
Circa il profilo del pericolo per la salute umana e animale derivante dall'immissione di queste materie nel ciclo vitale, si può affermare che una mediata pericolosità esisterebbe, secondo quanto riportato dalla letteratura scientifica fonte di ispirazione della normativa comunitaria, pur non essendo ancora circoscrivibile e definibile in quanto trattasi di matrici biologiche per le quali occorrono ulteriori approfondimenti.
Nel periodo di indagine la I.da.pro. ha immesso nel mercato 3.200 tonnellate di grasso, diretto all'alimentazione dei polli allevati in rilevanti realtà economiche del centro e del nord Italia, in Albania e alcune partite dirette ad allevamenti spagnoli, gli unici ad accorgersi della pessima qualità della materia prima fornitagli.
Circa il profilo del pericolo per la salute umana e animale derivante dall'immissione di queste materie nel ciclo vitale, si può affermare che una mediata pericolosità esisterebbe, secondo quanto riportato dalla letteratura scientifica fonte di ispirazione della normativa comunitaria, pur non essendo ancora circoscrivibile e definibile in quanto trattasi di matrici biologiche per le quali occorrono ulteriori approfondimenti.