Sabato gli Ebrei entrano nella prima sera di Pesach, la Pasqua ebraica.
Domenica alla Sinagoga di Trani si terrà "la tefillà"
venerdì 18 aprile 2008
«3000 anni fa l'Egitto di Faraone ebbe come vicerè nientemeno che l'Ebreo Giuseppe figlio di Giacobbe. Allorchè una terribile carestia si abbattè sulla terra di Canaan, Giuseppe chiamò in Egitto suo padre e i suoi fratelli. Un giorno salì al trono un Faraone che non aveva conosciuto Giuseppe e che, temendo il numeroso popolo israelita come una minaccia nel proprio Paese, lo ridusse in schiavitù. Gli Ebrei furono costretti a impastare e cuocere mattoni per costruire superbi obelischi e palazzi. Venne un uomo giusto, educato presso la casa reale chiamato Moshè, il quale scoprì di essere Ebreo e fu scelto per liberare il suo popolo. Moshè era un uomo restio alla sua missione, per di più era balbuziente; ma accettò il suo destino ed ebbe il coraggio di sfidare il potere di Faraone.
Numerose sciagure si abbatterono sul popolo di Mizraim (Egitto in ebraico) perché Faraone si convincesse a liberare dalla schiavitù gli Israeliti; ma Faraone, arrogante e duro di cuore, resisteva finchè la sera di luna piena del primo plenilunio di primavera accadde qualcosa di sconvolgente. L'angelo della morte attraversò l'Egitto e uccise tutti i primogeniti egiziani ma risparmiò i primogeniti Ebrei poiché Moshè diede loro ordine di intingere gli stipiti delle loro case con sangue di agnello; alla vista di ciò, l'angelo sarebbe andato oltre, in ebraico pésach (da cui Pasqua). Faraone capitolò; Moshè e il suo popolo poterono tornare nella Terra Promessa, la terra d'Israele. Quella notte era diversa da tutte le altre, tanto diversa che il pane dovette essere fatto in fretta da non aver il tempo che lievitasse; la libertà non poteva aspettare. L'uccisione dei primogeniti egiziani fu il segnale della svolta epocale del popolo ebraico, del loro riscatto. Quella sera Israele insegnò al mondo cosa significhi essere un popolo libero, aver diritto alla propria terra e riconoscere unicamente la Toràh, la Legge e l'insegnamento dell'unico Dio. Tuttavia l'uccisione di uomini e fanciulli egiziani colpevoli soltanto di essere primogeniti non fu qualcosa di cui poter andar fieri; ecco perchè ancora oggi, alla vigilia di Pesach (la Pasqua ebraica), i primogeniti Ebrei digiunano perchè ricordino che uomini innocenti morirono per la loro salvezza, che il Dio d'Israele fece una dolorosa scelta e che la morte è un fatto tragico per l'uomo, chiunque esso sia; un gesto di umiltà dunque, che contraddistingue gli 8 giorni della festa di Pesach.
A cominciare dalla matzàh, il pane non lievitato di cui gli Ebrei debbono cibarsi per tutti i giorni di Pesach (perciò Pesach è anche chiamata Chag Hamatzòth, Festa delle Azzime). Pane senza chamètz ovvero cotto senza che faccia in tempo a fermentare. Senza chamètz deve essere tutta l'alimentazione ebraica durante Pesach; perciò al bando grano, orzo, farro, avena, segale e loro derivati, se non sono stati cotti sotto stretta sorveglianza rabbinica. L'ordine è tassativo: chiunque mangerà del chamètz sarà escluso dalla comunità di Israele (Es. 12,15). Il chamètz va cercato, trovato e bruciato. I cibi contenenti chamètz possono essere distrutti o venduti. Privarsi del chamètz significa anche purificarsi di tutto quanto possa lievitare nell'uomo; orgoglio, egoismo, sentimenti che tendono inevitabilmente a far gonfiare l'uomo, che deve estirpare dal suo animo e dalla sua vita materiale il chamètz, inteso simbolicamente come fermento del male.»
Sabato sera 19 aprile gli Ebrei entrano nella prima sera di Pesach (14esimo giorno del mese ebraico di Nissàn). Il seder di Pesach, la cena delle prime due sere di Pasqua, è costellata da cibi e atti simbolici che scorrono sulla tavola imbandita delle case ebraiche.
Al centro della tavola ci sarà il piatto del Sèder con 3 matzòth ricoperte da un tovagliolo, il maròr (le erbe amare, ricordo della schiavitù egiziana), il charòset (impasto di mandorle, mele, fichi secchi e vino rosso che ricorda la malta dei mattoni con i quali gli Ebrei costruivano piramidi e statue in Egitto), il carpàs (una foglia di sedano con accanto una ciotola di acqua salata o aceto), il vino da consumarsi in abbondanza (sino a 4 calici ripieni per ognuno dei commensali; per i bambini si può usare il succo d'uva), l'uovo sodo (simbolo di lutto per la distruzione del Tempio di Gerusalemme), il korekh (specie di panino preparato con due pezzi di matzòth con dentro charòset e maròr) il tutto scandito dalla lettura della Aggadàh (il racconto della Pasqua, ricco di citazioni bibliche e della tradizione rabbinica).
Infine, il zerò'a, una zampa arrostita di agnello, il simbolo più triste; perché l'Ebreo non consuma più l'agnello pasquale dal giorno in cui il Tempio di Gerusalemme fu distrutto dai Romani nell'anno 70 e.v., distruzione che diede termine al corbàn, il sacrificio quotidiano che si consumava nel Bet haMikdash. Unica eccezione, Roma; lì l'agnello viene tuttora mangiato a Pesach in seguito a una eccezionale deroga che sin dai tempi più antichi fu concessa alla più importante comunità ebraica dell'Impero romano.
Il seder di Pesach ha qualcosa di magico; è una festa ebraica ma è rivolta anche ai non Ebrei, perché possano comtemplare il miracolo della libertà riservato al popolo di Israele. Perciò le porte di casa degli Ebrei rimangono aperte alla sera di Pesach. Eppure a tavola c'è un posto imbandito al quale non siede nessuno; quella sedia è per Elia, il profeta che secondo il racconto biblico fu rapito da un carro celeste e che la sera di Pesach potrebbe entrare nella casa di ogni Ebreo. Sarebbe un segno atteso della venuta del Messia.