Sant'Antuono, l’imbarazzo della Chiesa
«Non c’è stata piena attenzione». Poi l’ammissione: «Non si poteva cambiare destinazione d’uso»
giovedì 30 aprile 2009
«Ma la chiesa di Sant'Antuono, ora sede di un ristorante, è o non è ancora consacrata?». La domanda del cronista, innocente e non maliziosa, crea un clamoroso imbarazzo all'incontro fra il Clero tranese e l'amministrazione.
Eppure quale occasione, migliore di questa, per fugare ogni dubbio? Dinnanzi al Gohta del clero tranese (rappresentato dall'Arcivescovo, dal Vicario e da un nutrito numero di sacerdoti) la questione, sollevata da altri organi di informazione (La Gazzetta, in passato, ha dedicato una pagina all'argomento) non poteva essere ignorata. «La chiesa di Sant'Antuono è consacrata o benedetta? Si poteva far lì un ristorante?». Ignoriamo le occhiatacce dei presenti e chiediamo una risposta, anche se qualche eminente sacerdote ci fa notare «che l'argomento non era pertinente con la discussione».
«Alla vicenda non è stata data piena attenzione» ammette l'Arcivescovo Pichierri. «Sull'argomento è stata fatta una propaganda di stampa che preferiamo non amplificare oltre. Una volta appresa la notizia mi sono sentito in dovere di scrivere una lettera riservata al sindaco in nome di una verità legislativa».
Sì, ma quale? La discussione coinvolge altri esponenti del clero. Mezze ammissioni, vorticosi giri di parole, a fatica riusciamo a sintetizzare un concetto: «Anche se il bene è di proprietà di un Ente non ecclesiastico, non si poteva cambiarne la destinazione d'uso. Gli ex luogo di culto, come ad esempio San Luigi, al massimo possono fungere da contenitori culturali. L'etimolgia di cultura è la stessa di culto, dunque non vi è nessun problema se in una ex chiesa si esprime, attraverso mostre e convegni, una sensibilità di diversa natura. Altro, però, non sarebbe possibile fare se non con il consenso dell'autorità ecclesiastica». A conforto di questa ricostruzione, riportiamo un articolo di qualche settimana fa comparso sul giornale on line de La Stampa (link).
Il sindaco ha voluto difendere la scelta politica dell'amministrazione citando un passaggio del libro di Benedetto Ronchi ("Invito a Trani") in cui, già negli anni '80, si parlava del fortino come di un luogo che non si riusciva a curare, abbandonato all'incuria del tempo. «Come ha detto l'Arcivescovo – dice il primo cittadino – il percorso burocratico di quel luogo, evidentemente, non era conosciuto appieno né dall'amministrazione e né dal clero. Vi ostinate a cercare argomenti che possano creare dissidi tra noi e la Chiesa, in realtà quasi nessuno ha detto che quel posto, in passato, era un deposito di barche e di reti, un covo di rifiuti, un ricettacolo di siringhe. L'amministrazione mai avrebbe potuto investire tanto denaro per restituirgli prestigio e dignità. Affidandolo ad un privato siamo riusciti in questa operazione, guadagnandoci delle belle somme con l'affitto».
Anche su questo avremmo potuto obiettare qualcosa (link) ma alla fine desistiamo. Siamo stati fin troppo inopportuni, ci dice un sacerdote. E non sta bene. Inferno, aspettaci.
Eppure quale occasione, migliore di questa, per fugare ogni dubbio? Dinnanzi al Gohta del clero tranese (rappresentato dall'Arcivescovo, dal Vicario e da un nutrito numero di sacerdoti) la questione, sollevata da altri organi di informazione (La Gazzetta, in passato, ha dedicato una pagina all'argomento) non poteva essere ignorata. «La chiesa di Sant'Antuono è consacrata o benedetta? Si poteva far lì un ristorante?». Ignoriamo le occhiatacce dei presenti e chiediamo una risposta, anche se qualche eminente sacerdote ci fa notare «che l'argomento non era pertinente con la discussione».
«Alla vicenda non è stata data piena attenzione» ammette l'Arcivescovo Pichierri. «Sull'argomento è stata fatta una propaganda di stampa che preferiamo non amplificare oltre. Una volta appresa la notizia mi sono sentito in dovere di scrivere una lettera riservata al sindaco in nome di una verità legislativa».
Sì, ma quale? La discussione coinvolge altri esponenti del clero. Mezze ammissioni, vorticosi giri di parole, a fatica riusciamo a sintetizzare un concetto: «Anche se il bene è di proprietà di un Ente non ecclesiastico, non si poteva cambiarne la destinazione d'uso. Gli ex luogo di culto, come ad esempio San Luigi, al massimo possono fungere da contenitori culturali. L'etimolgia di cultura è la stessa di culto, dunque non vi è nessun problema se in una ex chiesa si esprime, attraverso mostre e convegni, una sensibilità di diversa natura. Altro, però, non sarebbe possibile fare se non con il consenso dell'autorità ecclesiastica». A conforto di questa ricostruzione, riportiamo un articolo di qualche settimana fa comparso sul giornale on line de La Stampa (link).
Il sindaco ha voluto difendere la scelta politica dell'amministrazione citando un passaggio del libro di Benedetto Ronchi ("Invito a Trani") in cui, già negli anni '80, si parlava del fortino come di un luogo che non si riusciva a curare, abbandonato all'incuria del tempo. «Come ha detto l'Arcivescovo – dice il primo cittadino – il percorso burocratico di quel luogo, evidentemente, non era conosciuto appieno né dall'amministrazione e né dal clero. Vi ostinate a cercare argomenti che possano creare dissidi tra noi e la Chiesa, in realtà quasi nessuno ha detto che quel posto, in passato, era un deposito di barche e di reti, un covo di rifiuti, un ricettacolo di siringhe. L'amministrazione mai avrebbe potuto investire tanto denaro per restituirgli prestigio e dignità. Affidandolo ad un privato siamo riusciti in questa operazione, guadagnandoci delle belle somme con l'affitto».
Anche su questo avremmo potuto obiettare qualcosa (link) ma alla fine desistiamo. Siamo stati fin troppo inopportuni, ci dice un sacerdote. E non sta bene. Inferno, aspettaci.