"Tra Corvi e Pentiti". Un racconto di malagiustizia.
E' stato pubblicato in questi giorni il libro di Mauro Mellini sulla vicenda Giangualano
martedì 22 marzo 2005
E' stato pubblicato in questi giorni il libro "Tra corvi e pentiti" (Koinè), un angosciante caso di straordinaria ingiustizia, raccontato dalla mano leggera e incisiva di uno dei Padri del Garantismo: Mauro Mellini.
Una lucida e spietata analisi sulla Giustizia, attraverso un racconto di malagiustizia. Una straordinaria arringa difensiva, che diventa libro e squarcia il pietoso velo d'ipocrisia, che ha pervaso la vicenda Francesco Giangualano. Un caso "minore" consumato in provincia, ma per questo ancor più emblematico degli anni del degrado della giustizia italiana.
Corvi, pentiti e "mani sporche" una storia esemplare di malagiustizia
di Jacopo Severo Bartolomei - www.opinione.it
Da tempo Mauro Mellini va predicando che per comprendere la politica e fare seriamente politica oggi in Italia occorre fare la storia del golpe mediatico – giudiziario dei primi (e non solo dei primi) anni '90 e misurarsi con quel che allora portò alla eliminazione del meglio, piuttosto che del peggio, della classe politica, impedendo che si realizzasse un'autentica alternativa. Con la storia di quegli anni Mellini si è cimentato con libri ed articoli, sottolineando sempre la necessità di non trascurare quel che allora avvenne in periferia, in provincia, e di porre attenzione agli strumenti, connaturati in deformazioni strutturali e funzionali, oggettive e soggettive, della Giustizia, strumenti che hanno fatto della Magistratura una poco gioiosa macchina da guerra politica con effetti disastrosi per le sue vere finalità e per lo stesso sistema democratico.
Con questo suo ultimo libro, "Tra corvi e pentiti" – un caso qualsiasi, anzi speciale – (Koinè ed. Via Grande Muraglia 95, e-mail: info@edizioniKoinè.it, pagine 224, euro 15,00), Mellini narra una storia "qualsiasi" di un cittadino di Trani, Francesco Giangualano, "reo" di aver gestito, quale presidente, la locale Azienda Municipale Elettricità e Trasporti in modo esemplare; portando addirittura il bilancio dal solito rovinoso passivo in un consistente attivo; esempio raro e fastidioso per troppi. I corvi, specie animale longeva e coriacea, si accaniscono contro di lui, per anni, con punture di spillo, lettere anonime e denunzie apocrife. Vecchi sistemi del sottobosco politico provinciale, e meridionale in specie. Ma l'irrompere sulla scena dei pentiti (e, nel caso, di un pentito "di grido", Salvatore Annacondia, anch'egli tranese, quaranta e passa omicidi, "servizi di collaborazione" resi in danno di personaggi eccellenti etc.) non rappresenta qualcosa di veramente nuovo in quella bassa cucina (della quale, peraltro, in quel caso, si intravede l'esistenza di un cuoco, di un regista di altissimo e raffinatissimo livello). Tra corvi e pentiti c'è una continuità, un filo conduttore. Il pentito si ispira a quanto è trapelato (e fatto trapelare) delle beccate dei corvi, è sorretto dalla constatazione del credito che chi avrebbe il dovere di ricacciare nella spazzatura anonimi ed apocrifi sembra voler loro concedere. Così, vede di soddisfare "aspettative" e gusti di magistrati inquirenti. "Attaccare l'asino dove vuole il padrone" è, secondo Mellini, il primo comandamento del pentito giudizioso. Sul capo di Francesco Giangualano e di altri tre cittadini piuttosto in vista di Trani, Salvatore Annacondia, trafficante di droga, pluriomicida, millantatore di corruzioni di magistrati e gestore di un ottimo (veramente) ristorante, collaboratore di giustizia, lancia un'accusa terribile: lo hanno incaricato di ammazzare il Procuratore presso la Pretura Circondariale di Trani, Rinella. Ma comincia subito con sballare quanto alla causale, che indica nella reazione ad alcuni provvedimenti che, però, il magistrato "da eliminare" avrebbe adottato, sì, almeno un anno dopo la "condanna a morte". Condanna non eseguita per l'accavallarsi di altri "impegni" del genere del boia incaricato. Per dare forza al discorso, Annacondia aggiungerà poi altre non meno fantasiose "spiegazioni" del suo ruolo nella vicenda, passando a costituirsi socio di non meno impossibili affari con i "mandanti", ai quali si aggiunge un senatore ed il sindaco di Trani.
La vittima designata del presunto complotto omicida non si sarebbe accorta della sicura impossiblità della motivazione dal pentito addotta per la terribile "condanna", ma sembra prendere molto sul serio il ruolo di Falcone "scampato" al sacrificio, finendo col prendersela, oltre che con i quattro malcapitati accusati dal pentito (nei confronti dei quali chiede gli sia data soddisfazione "almeno di un avviso di garanzia"), con colleghi, avvocati, carabinieri e poliziotti che non mostrano sufficiente solidarietà, preoccupazione, compartecipazione alle sue ambasce, che non predispongono misure di sicurezza, lasciandolo "senza scorta", misura che, però, rifiuta sdegnosamente.
Ad un certo punto, si ha la sensazione che nessuno creda alla storia del mandato di assassinio, ma nessuno se la senta di ammetterlo. Pirandello fa irruzione nella vicenda e nelle pagine del libro che la narra.
La radiografia di una storia drammatica e grottesca, resa possibile anche da ben due libri scritti dal magistrato, presunta vittima della congiura e dalle sue "confessioni", è quella di una giustizia dai mille risvolti sconcertanti, "sistema dei pentiti" in cui prevale l'ossessione della conservazione della credibilità del "collaboratore" anche di fronte alle più marchiane e maleodoranti calunnie (alla fine, lo stesso Rinella si scaglierà contro i pentiti in genere e contro l'Annacondia in particolare), senza però mai mostrare di dubitare di essere veramente scampato alla morte per miracolo e senza il minimo turbamento per avere pubblicamente inveito contro gli accusati dal pentito che, però, "gli fa schifo" (l'espressione è sua), Annacondia.
Lo sfondo della vicenda è la Puglia, con la Magistratura divisa da contrasti e sospetti (di cui mancano specifici riflessi e qualche esempio conturbante nei fatti narrati), con le forti caratterizzazioni politiche che emergono con la frequenza del "passaggio alla politica" di diversi magistrati. Il libro ricorda, dandone una cronaca vivace e significativa, il passaggio del pentito Annacondia avanti alla Commissione Parlamentare Antimafia, chiamato dal presidente Luciano Violante, a ripetere, tra l'altro, la storia dell'incarico ricevuto da quattro terribili notabili di Trani. Ed a dispensare consigli. "Se il Parlamento è d'accordo" è il titolo di un capitolo del libro. Ed è la frase con la quale il pluriassassino espone il suo progetto di lotta alla criminalità a deputati e padricoscritti.
Una lucida e spietata analisi sulla Giustizia, attraverso un racconto di malagiustizia. Una straordinaria arringa difensiva, che diventa libro e squarcia il pietoso velo d'ipocrisia, che ha pervaso la vicenda Francesco Giangualano. Un caso "minore" consumato in provincia, ma per questo ancor più emblematico degli anni del degrado della giustizia italiana.
Corvi, pentiti e "mani sporche" una storia esemplare di malagiustizia
di Jacopo Severo Bartolomei - www.opinione.it
Da tempo Mauro Mellini va predicando che per comprendere la politica e fare seriamente politica oggi in Italia occorre fare la storia del golpe mediatico – giudiziario dei primi (e non solo dei primi) anni '90 e misurarsi con quel che allora portò alla eliminazione del meglio, piuttosto che del peggio, della classe politica, impedendo che si realizzasse un'autentica alternativa. Con la storia di quegli anni Mellini si è cimentato con libri ed articoli, sottolineando sempre la necessità di non trascurare quel che allora avvenne in periferia, in provincia, e di porre attenzione agli strumenti, connaturati in deformazioni strutturali e funzionali, oggettive e soggettive, della Giustizia, strumenti che hanno fatto della Magistratura una poco gioiosa macchina da guerra politica con effetti disastrosi per le sue vere finalità e per lo stesso sistema democratico.
Con questo suo ultimo libro, "Tra corvi e pentiti" – un caso qualsiasi, anzi speciale – (Koinè ed. Via Grande Muraglia 95, e-mail: info@edizioniKoinè.it, pagine 224, euro 15,00), Mellini narra una storia "qualsiasi" di un cittadino di Trani, Francesco Giangualano, "reo" di aver gestito, quale presidente, la locale Azienda Municipale Elettricità e Trasporti in modo esemplare; portando addirittura il bilancio dal solito rovinoso passivo in un consistente attivo; esempio raro e fastidioso per troppi. I corvi, specie animale longeva e coriacea, si accaniscono contro di lui, per anni, con punture di spillo, lettere anonime e denunzie apocrife. Vecchi sistemi del sottobosco politico provinciale, e meridionale in specie. Ma l'irrompere sulla scena dei pentiti (e, nel caso, di un pentito "di grido", Salvatore Annacondia, anch'egli tranese, quaranta e passa omicidi, "servizi di collaborazione" resi in danno di personaggi eccellenti etc.) non rappresenta qualcosa di veramente nuovo in quella bassa cucina (della quale, peraltro, in quel caso, si intravede l'esistenza di un cuoco, di un regista di altissimo e raffinatissimo livello). Tra corvi e pentiti c'è una continuità, un filo conduttore. Il pentito si ispira a quanto è trapelato (e fatto trapelare) delle beccate dei corvi, è sorretto dalla constatazione del credito che chi avrebbe il dovere di ricacciare nella spazzatura anonimi ed apocrifi sembra voler loro concedere. Così, vede di soddisfare "aspettative" e gusti di magistrati inquirenti. "Attaccare l'asino dove vuole il padrone" è, secondo Mellini, il primo comandamento del pentito giudizioso. Sul capo di Francesco Giangualano e di altri tre cittadini piuttosto in vista di Trani, Salvatore Annacondia, trafficante di droga, pluriomicida, millantatore di corruzioni di magistrati e gestore di un ottimo (veramente) ristorante, collaboratore di giustizia, lancia un'accusa terribile: lo hanno incaricato di ammazzare il Procuratore presso la Pretura Circondariale di Trani, Rinella. Ma comincia subito con sballare quanto alla causale, che indica nella reazione ad alcuni provvedimenti che, però, il magistrato "da eliminare" avrebbe adottato, sì, almeno un anno dopo la "condanna a morte". Condanna non eseguita per l'accavallarsi di altri "impegni" del genere del boia incaricato. Per dare forza al discorso, Annacondia aggiungerà poi altre non meno fantasiose "spiegazioni" del suo ruolo nella vicenda, passando a costituirsi socio di non meno impossibili affari con i "mandanti", ai quali si aggiunge un senatore ed il sindaco di Trani.
La vittima designata del presunto complotto omicida non si sarebbe accorta della sicura impossiblità della motivazione dal pentito addotta per la terribile "condanna", ma sembra prendere molto sul serio il ruolo di Falcone "scampato" al sacrificio, finendo col prendersela, oltre che con i quattro malcapitati accusati dal pentito (nei confronti dei quali chiede gli sia data soddisfazione "almeno di un avviso di garanzia"), con colleghi, avvocati, carabinieri e poliziotti che non mostrano sufficiente solidarietà, preoccupazione, compartecipazione alle sue ambasce, che non predispongono misure di sicurezza, lasciandolo "senza scorta", misura che, però, rifiuta sdegnosamente.
Ad un certo punto, si ha la sensazione che nessuno creda alla storia del mandato di assassinio, ma nessuno se la senta di ammetterlo. Pirandello fa irruzione nella vicenda e nelle pagine del libro che la narra.
La radiografia di una storia drammatica e grottesca, resa possibile anche da ben due libri scritti dal magistrato, presunta vittima della congiura e dalle sue "confessioni", è quella di una giustizia dai mille risvolti sconcertanti, "sistema dei pentiti" in cui prevale l'ossessione della conservazione della credibilità del "collaboratore" anche di fronte alle più marchiane e maleodoranti calunnie (alla fine, lo stesso Rinella si scaglierà contro i pentiti in genere e contro l'Annacondia in particolare), senza però mai mostrare di dubitare di essere veramente scampato alla morte per miracolo e senza il minimo turbamento per avere pubblicamente inveito contro gli accusati dal pentito che, però, "gli fa schifo" (l'espressione è sua), Annacondia.
Lo sfondo della vicenda è la Puglia, con la Magistratura divisa da contrasti e sospetti (di cui mancano specifici riflessi e qualche esempio conturbante nei fatti narrati), con le forti caratterizzazioni politiche che emergono con la frequenza del "passaggio alla politica" di diversi magistrati. Il libro ricorda, dandone una cronaca vivace e significativa, il passaggio del pentito Annacondia avanti alla Commissione Parlamentare Antimafia, chiamato dal presidente Luciano Violante, a ripetere, tra l'altro, la storia dell'incarico ricevuto da quattro terribili notabili di Trani. Ed a dispensare consigli. "Se il Parlamento è d'accordo" è il titolo di un capitolo del libro. Ed è la frase con la quale il pluriassassino espone il suo progetto di lotta alla criminalità a deputati e padricoscritti.