«Vallanzasca ha sbagliato, ma ha pagato oltre misura»
Parla un ex agente di Trani. Nicola Paradiso fu sequestrato dal boss. Ora sono amici
domenica 23 gennaio 2011
18.00
«Non voglio difendere Renato Vallanzasca. Nella sua vita ha commesso tantissimi errori ed è giusto che saldi il suo conto con la giustizia. Vedendo però il trattamento che hanno ricevuto altri personaggi della storia criminale italiana, compresi alcuni suoi amici, credo che il rapporto sia impari. Vallanzasca ha pagato oltre il dovuto. Entra ed esce dalle carceri da più di 30 anni. A questo punto si decida cosa fare da lui. Se il suo destino è quello di restare in una cella a vita, gli diano la pena di morte. Soffrirebbe meno». La difesa (con provocazione) del boss milanese arriva da un ex agente di custodia di Trani, Nicola Paradiso. Paradiso, 53 anni, è stato agente nelle carceri di massima sicurezza italiane dal 1977 al 1983. Ha avuto modo di conoscere Renato Vallanzasca a Trani, ad Ascoli Piceno e a Cuneo dove fu sequestrato dal boss per un'ora.
Paradiso adesso lavora in Toscana e, fra i rapporti di amicizia che ancora coltiva, c'è proprio quello con Vallanzasca e con la moglie. Strano a dirsi dopo aver subito anche un sequestro. Eppure è così. Paradiso non rinnega questo rapporto, iniziato sul blog del boss, poi proseguito attraverso una serie di lettere (in coda all'articolo ne pubblichiamo una scritta proprio da Vallanzasca) ed infine con telefonate, anche abbastanza frequenti. L'ultima, il 2 gennaio scorso. «Ho detto le stesse cose che gli vado ripetendo da oltre vent'anni: quando metterai definitivamente la testa a posto?».
Paradiso non vede nulla di strano nella realizzazione di un film sul criminale milanese («Lo hanno fatto per Riina, per Provenzano, per la banda della Magliana, non vedo che differenza ci sia») ed invoca per Vallanzasca lo stesso trattamento di cui hanno beneficiato altri pericolosi delinquenti disseminati nel Paese: «Vallanzasca paga il fatto di essere stato sempre coerente con se stesso, di non essersi mai difeso nelle aule giudiziarie, di essersi addossato in alcuni casi colpe non sue e di non aver mai chiesto perdono a nessuno per ciò che ha fatto. La vedo come una questione di dignità: non voler passare per ipocrita, rinnegando ciò che si è fatto in un periodo in cui il pentitismo era la strada più facile per lasciare le patrie galere».
Vallanzasca adesso si divide tra il carcere di Bollate ed il lavoro in una cooperativa sociale di Milano. Iniziò rubando le borse, adesso le realizza. «Il carattere un po' burbero non lo abbandona mai – dice Paradiso – anche se tra noi c'è un rapporto di stima e di rispetto. Anche in carcere era così». Il rapporto tra Paradiso agente e Vallanzasca detenuto era buono, cordiale. «Non ho mai avuto paura al suo cospetto anche se una volta, a Cuneo, fui sequetrato per un'ora, insieme a due colleghi, da lui e da due uomini della sua banda. Volevano parlare col direttore del carcere, ci legarono ad un termosifone con un lunzuolo. Ci dissero che non ci avrebbero fatto nulla, volevano solo ascolto. Furono di parola e ci dettero anche da mangiare».
Paradiso non ha ancora visto il film di Placido. «Sono curioso. Personalmente non l'avrei mai fatto, ma è una scelta che non condanno. Sulla decisione finale ha pesato il parere della moglie di Renato. Non credo sia per desiderio di pubblicità. Negli anni '80 una nota azienda italiana aveva proposto a Vallanzasca di creare un marchio per jeanseria, lui riifutò. So che ha dato suggerimenti a Placido, raccontando anche alcune cose che nessuno sapeva. Temo solo che questo battage mediatico gli si possa rivoltare contro. Vallanzasca oggi avrebbe bisogno di meno riflettori puntati e solo di serenità».
Paradiso adesso lavora in Toscana e, fra i rapporti di amicizia che ancora coltiva, c'è proprio quello con Vallanzasca e con la moglie. Strano a dirsi dopo aver subito anche un sequestro. Eppure è così. Paradiso non rinnega questo rapporto, iniziato sul blog del boss, poi proseguito attraverso una serie di lettere (in coda all'articolo ne pubblichiamo una scritta proprio da Vallanzasca) ed infine con telefonate, anche abbastanza frequenti. L'ultima, il 2 gennaio scorso. «Ho detto le stesse cose che gli vado ripetendo da oltre vent'anni: quando metterai definitivamente la testa a posto?».
Paradiso non vede nulla di strano nella realizzazione di un film sul criminale milanese («Lo hanno fatto per Riina, per Provenzano, per la banda della Magliana, non vedo che differenza ci sia») ed invoca per Vallanzasca lo stesso trattamento di cui hanno beneficiato altri pericolosi delinquenti disseminati nel Paese: «Vallanzasca paga il fatto di essere stato sempre coerente con se stesso, di non essersi mai difeso nelle aule giudiziarie, di essersi addossato in alcuni casi colpe non sue e di non aver mai chiesto perdono a nessuno per ciò che ha fatto. La vedo come una questione di dignità: non voler passare per ipocrita, rinnegando ciò che si è fatto in un periodo in cui il pentitismo era la strada più facile per lasciare le patrie galere».
Vallanzasca adesso si divide tra il carcere di Bollate ed il lavoro in una cooperativa sociale di Milano. Iniziò rubando le borse, adesso le realizza. «Il carattere un po' burbero non lo abbandona mai – dice Paradiso – anche se tra noi c'è un rapporto di stima e di rispetto. Anche in carcere era così». Il rapporto tra Paradiso agente e Vallanzasca detenuto era buono, cordiale. «Non ho mai avuto paura al suo cospetto anche se una volta, a Cuneo, fui sequetrato per un'ora, insieme a due colleghi, da lui e da due uomini della sua banda. Volevano parlare col direttore del carcere, ci legarono ad un termosifone con un lunzuolo. Ci dissero che non ci avrebbero fatto nulla, volevano solo ascolto. Furono di parola e ci dettero anche da mangiare».
Paradiso non ha ancora visto il film di Placido. «Sono curioso. Personalmente non l'avrei mai fatto, ma è una scelta che non condanno. Sulla decisione finale ha pesato il parere della moglie di Renato. Non credo sia per desiderio di pubblicità. Negli anni '80 una nota azienda italiana aveva proposto a Vallanzasca di creare un marchio per jeanseria, lui riifutò. So che ha dato suggerimenti a Placido, raccontando anche alcune cose che nessuno sapeva. Temo solo che questo battage mediatico gli si possa rivoltare contro. Vallanzasca oggi avrebbe bisogno di meno riflettori puntati e solo di serenità».
Edito da Cosmopoli nel 2007, scritto a quattro mani da Renato Vallanzasca e dalla moglie Antonella D'Agostino, Lettera a Renato è un libro di 335 pagine in cui sono raccolte tante testimonianze di chi ha conosciuto il boss milanese o di chi ha sentito l'esigenza di dovergli dire qualcosa, nel bene o nel male. Fra le lettere presenti nel libro c'è anche quella di Nicola Paradiso (firmata però con uno pseudonimo).
In quella lettera, pubblicata nel libro, Paradiso esplicita i concetti testimoniati alla nostra redazione: «Non sopporto l'idea che tu sia ancora inchiodato per un numero così sproporzionato di anni. Una cifra insopportabile, giuridicamente esatta, ma umanamente non legittima. Non ho mai avvertito in me, per quanto breve e distaccata possa essere stata la nostra conoscenza, la sensazione di aver conosciuto un criminale, bensì un uomo pieno di valori umani nella vita».
Vallanzasca ha anche un pagina su Facebook ed un gruppo a lui dedicato. Il fascino del crimine.
In quella lettera, pubblicata nel libro, Paradiso esplicita i concetti testimoniati alla nostra redazione: «Non sopporto l'idea che tu sia ancora inchiodato per un numero così sproporzionato di anni. Una cifra insopportabile, giuridicamente esatta, ma umanamente non legittima. Non ho mai avvertito in me, per quanto breve e distaccata possa essere stata la nostra conoscenza, la sensazione di aver conosciuto un criminale, bensì un uomo pieno di valori umani nella vita».
Vallanzasca ha anche un pagina su Facebook ed un gruppo a lui dedicato. Il fascino del crimine.