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Vita di città

Annacondia: «Bruciavamo i corpi dietro al cimitero. Protetti da politici, imprenditori e forze dell'ordine»

Nell'intervista di Giulio Golia raccontati anni di efferati omicidi: «Per me ammazzare era come bere un caffè»

È come respirare un'aria diversa a Trani mentre con freddezza Salvatore Annacondia - "Manomozza" o "Stumpillo", come presero a chiamarlo dopo che una bomba per pescare gli scoppiò in mano, mozzandogliela, appunto - racconta quanto la nostra città sia stata il luogo di atroci ed efferati omicidi, ma anche di cimiteri invisibili di corpi dei quali con "una tecnica micidiale non restava neanche la cenere".

È una "Iena" storica del celebre programma di Italia 1, Giulio Golia , a intervistare il capo di quella che era stata la più sanguinosa organizzazione malavitosa che la storia ricordi, connesso con Cosa Nostra, Sacra Corona Unita, Camorra, 'Ndrangheta.

Quando fu arrestato, a Stumpillo furono sequestrati beni per 7 miliardi delle vecchie lire. Scherzano, i due, che si ritrovano in auto come due celebrità che aspettavano di conoscersi da tempo; e entrano in una sorta di intimità quando lui comincia a snocciolare la crudeltà dei suoi delitti uno dopo l'altro. Golia ascolta, a tratti sobbalza, spalanca lo sguardo nel sentire i dettagli: "Hai gli occhi azzurri come i miei ma sono neri dentro".

Un nero profondo, riconosce l'ex boss. L'origine del male in quella mano perduta, perché con essa va via il lavoro: e dal contrabbando di sigarette al narcotraffico tra Trani e Milano il passo è breve, quasi obbligato, e come niente diventa "un criminale, un killer un assassino. Per me ammazzare era come bere un caffè".

Le "amicizie" giuste, e Manomozza diventa uno dei boss più spietati d'Italia, che ammazza senza pietà e a volto scoperto, pure in mezzo a una folla, guardando in faccia la vittima e sparando in fronte, pronto a "tappare la fontana di sangue sulla fronte con un bossolo e a buttare in mare il corpo avvolto nelle reti con la testa esplosa, così non si riconosce. Il mare in venti giorni fa sparire tutto" . Dagli arresti domiciliari il controllo è totale - rincara Annacondia - e la sfilza dei delitti anche in casa non cessava, coperto e protetto dai suoi che erano pure pronti a dare una mano - letteralmente, con un trapianto da un professore di Brescia, racconta in un momento che cade nella commozione - per lui.

Neanche in carcere le cose cambieranno, trattato - senza iperboli - a champagne, ostriche e aragoste, ricci, datteri e cocaina: "Il carcere è la madre di tutte le mafie, tu diventi potente in carcere. Tanti avrebbero venduto la madre per essere dei nostri".

"Ma tu prendevi roba per ammazzare così, come facevi?", incalza Golia, incredulo al fatto che non sia la trama di un film quella che gli viene raccontata: "Io mai, si ammazza a mente fredda": protetto non solo da esponenti delle forze dell'ordine, ma anche da politici e imprenditori: "Una mano lava l'altra".

"Tu facevi il lavoro sporco per loro? Gli chiede Golia: "No, loro facevano il lavoro sporco" . Già, loro, mentre lui arrivava a compiere personalmente oltre settanta omicidi - ma forse duecento- dispiaciuto solo di un certo Giovanni che non c'entrava nient, non era la spia che credevano. Vaglielo a dire, oggi, ai familiari di quel Giovanni. Nel '91 la decisione di fermarsi, di collaborare, di svelare nomi e dinamiche. Perché? "Per mio figlio, stava deperendo, aveva bisogno di me". In quel nero profondo un barlume di luce, l'amore per un figlio, "che per fare questa vita non ti facevi una famiglia", gli era andata a rimproverare la moglie in carcere. "Oggi sono un uomo tranquillo", dice a Golia che gli chiede se la gente abbia ancora paura di lui. "Non lo so e non mi interessa: ho fatto diciotto anni dentro ed è molto pericoloso quello di cui sono capace, ma oggi non ne voglio più sapere". "Ma non devono risvegliarti". "No".
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  • SALVATORE ANNACONDIA
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