Eventi e cultura
Balcani, ai Dialoghi di Trani la testimonianza di Svetlana Broz
«Immaturi per dire no alla guerra ed ai politici». Una delle protagoniste più attese di questa decima edizione
Trani - sabato 11 giugno 2011
11.13
Era una delle protagoniste più attese di questa decima edizione de I Dialoghi di Trani. La sua presenza, alla vigilia della manifestazione, era stata anche contestata: «Non vogliamo a Trani la nipote del maresciallo Tito» aveva scritto qualcuno. Svetlana Broz, da sempre, porta il peso del suo cognome. Suo nonno è stato il fondatore della cosiddetta seconda Jugoslavia, che le guerre degli anni '90 hanno frantumato in mille pezzi. La storia letteraria di Svetlana Broz parte da quel dramma, da quando decise di portare soccorso alle popolazioni martoriate dalla guerra seguita al disfacimento della federazione jugoslava. In Bosnia era una cardiologa, i racconti dei suoi pazienti l'hanno indotta a scrivere, a raccontare.
Di mezzo c'è sempre l'ascolto ed il cuore: dallo stetoscopio passò ad un registratore, per raccogliere testimonianze, dolori e memorie. Il suo libro (I giusti nel tempo del male) assembla sei anni di disperazione e di umana solidarietà nel clima di violenza che ha devastato la ex Jugoslavia. «La guerra è sinonimo di male. Da noi tutto è iniziato con l'ascesa al potere in Serbia di Milosevic, affiancato da Franjo Tudjman e Alija Izetbegovic. Propugnavano una politica fortemente nazionalista, alimentata in continuazione dai media. Sognavano di creare grandi Paesi da un piccolo Paese. Noi eravamo troppo immaturi per dire di no alla guerra, ai politici. La paura non ha fatto altro che alimentare divisioni e rigurgiti nazionalistici e nel causare tutto ciò che è accaduto». Dopo la guerra serbo-bosniaca, Svetlana Broz si è trasferita definitivamente da Belgrado a Sarajevo, dove ha continuato a occuparsi del dialogo interetnico.
Dicevamo del peso del nome. Nel corso della conversazione con Luciana Castellina ed Antonio Massari il riferimento a suo nonno è quasi ricorrente. Svetlana Broz svia sempre il discorso. Alla fine, però, non può esimersi dal parlarne: «Non voglio in alcun modo che si colleghi mio nonno alla guerra in Jugoslavia. Quando c'era lui al potere esistevano leggi contro il nazionalismo, era impossibile esprimere una posizione contro chi era diverso da te. Sono stati i leader nazionalisti degli anni'70 a scatenare l'inferno colpendo una popolazione spaventata e vittima di 20 anni di lavaggio del cervello da parte degli organi di informazione. Ho soccorso diverse donne durante il massacro di Srebrenica. Molte mi hanno sussurrato che se ci fosse stato mio nonno tutto quell'orrore non si sarebbe verificato».
L'artefice di quel genocidio, il generale Ratko Mladic è stato catturato poche settimane fa. Nonostante i crimini commessi c'è chi ha avuto il coraggio di scendere in piazza per protestare contro il suo arresto. Anche da noi c'è stato chi (Mario Borghezio) ha avuto il barbaro coraggio di definire Mladic «un patriota». Svetlana Broz, due settimane fa, ha commentato così il suo arresto: «In Serbia e altre parti della Bosnia Erzegovina Mladic era considerato un eroe di guerra. Per i politici serbi era più facile nascondere Mladic che avviare il processo di denazificazione delle coscienze. Il processo di Mladic alla corte penale internazionale dovrebbe permettere finalmente a milioni di serbi di confrontarsi con le atrocità commesse in nome del loro gruppo etnico. Nuove generazioni di studenti nei Balcani dovrebbero formarsi riguardo alla recente guerra in Bosnia su documenti della corte internazionale piuttosto che da libri di storia distorti, scritti da esperti docili ai politici che spesso sono ex criminali di guerra o pescecani. Dopo essersi liberati dei criminali di guerra alla macchia nei Balcani, le istituzioni europee avranno un nuovo compito, il più importante di tutti, nei Balcani occidentali: aiutare e sostenere quegli individui coraggiosi che sono pronti a combattere il crimine organizzato nei loro Paesi. Se l'Unione europea non riconosce questo come fine ultimo il problema attuale di questa zona diventerà un vero cancro nel corpo dell'Europa». Una profezia?
Di mezzo c'è sempre l'ascolto ed il cuore: dallo stetoscopio passò ad un registratore, per raccogliere testimonianze, dolori e memorie. Il suo libro (I giusti nel tempo del male) assembla sei anni di disperazione e di umana solidarietà nel clima di violenza che ha devastato la ex Jugoslavia. «La guerra è sinonimo di male. Da noi tutto è iniziato con l'ascesa al potere in Serbia di Milosevic, affiancato da Franjo Tudjman e Alija Izetbegovic. Propugnavano una politica fortemente nazionalista, alimentata in continuazione dai media. Sognavano di creare grandi Paesi da un piccolo Paese. Noi eravamo troppo immaturi per dire di no alla guerra, ai politici. La paura non ha fatto altro che alimentare divisioni e rigurgiti nazionalistici e nel causare tutto ciò che è accaduto». Dopo la guerra serbo-bosniaca, Svetlana Broz si è trasferita definitivamente da Belgrado a Sarajevo, dove ha continuato a occuparsi del dialogo interetnico.
Dicevamo del peso del nome. Nel corso della conversazione con Luciana Castellina ed Antonio Massari il riferimento a suo nonno è quasi ricorrente. Svetlana Broz svia sempre il discorso. Alla fine, però, non può esimersi dal parlarne: «Non voglio in alcun modo che si colleghi mio nonno alla guerra in Jugoslavia. Quando c'era lui al potere esistevano leggi contro il nazionalismo, era impossibile esprimere una posizione contro chi era diverso da te. Sono stati i leader nazionalisti degli anni'70 a scatenare l'inferno colpendo una popolazione spaventata e vittima di 20 anni di lavaggio del cervello da parte degli organi di informazione. Ho soccorso diverse donne durante il massacro di Srebrenica. Molte mi hanno sussurrato che se ci fosse stato mio nonno tutto quell'orrore non si sarebbe verificato».
L'artefice di quel genocidio, il generale Ratko Mladic è stato catturato poche settimane fa. Nonostante i crimini commessi c'è chi ha avuto il coraggio di scendere in piazza per protestare contro il suo arresto. Anche da noi c'è stato chi (Mario Borghezio) ha avuto il barbaro coraggio di definire Mladic «un patriota». Svetlana Broz, due settimane fa, ha commentato così il suo arresto: «In Serbia e altre parti della Bosnia Erzegovina Mladic era considerato un eroe di guerra. Per i politici serbi era più facile nascondere Mladic che avviare il processo di denazificazione delle coscienze. Il processo di Mladic alla corte penale internazionale dovrebbe permettere finalmente a milioni di serbi di confrontarsi con le atrocità commesse in nome del loro gruppo etnico. Nuove generazioni di studenti nei Balcani dovrebbero formarsi riguardo alla recente guerra in Bosnia su documenti della corte internazionale piuttosto che da libri di storia distorti, scritti da esperti docili ai politici che spesso sono ex criminali di guerra o pescecani. Dopo essersi liberati dei criminali di guerra alla macchia nei Balcani, le istituzioni europee avranno un nuovo compito, il più importante di tutti, nei Balcani occidentali: aiutare e sostenere quegli individui coraggiosi che sono pronti a combattere il crimine organizzato nei loro Paesi. Se l'Unione europea non riconosce questo come fine ultimo il problema attuale di questa zona diventerà un vero cancro nel corpo dell'Europa». Una profezia?