Cronaca
Chiesto al Comune un risarcimento di 40 milioni di euro
Turrisana, ricorso al Tar di una impresa di costruzione e della proprietaria del suolo. La vicenda è iniziata nel 2003. Il Comune negò le lottizzazioni
Trani - venerdì 31 maggio 2013
0.13
Un maxi risarcimento da 40 milioni di euro. E' quanto hanno chiesto con due distinti ricorsi al Tar la proprietaria di alcuni suoli ubicati all'interno del quartiere Matinelle-Turrisana e l'impresa che vi avrebbe dovuto costruire sopra appartamenti per un valore complessivo di 73 milioni di euro.
Il Comune adesso dovrà difendersi davanti al tribunale amministrativo regionale dalle accuse di aver illegittimamente opposto diniego all'iniziativa dei due ricorrenti, volta ad ottenere – chi per un motivo e chi per un altro – l'assenso ad un insieme di piani di lottizzazione facenti parte di un compendio urbanistico unitariamente inteso, proposti conformemente alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda.
Facciamo un po' di chiarezza sulla vicenda. La proprietaria dei suoli (posti a ridosso dell'ultima fascia edificata della città, sul versante sud, direzione Bisceglie) ha presentato al Comune, a maggio e giugno del 2003, una proposta di lottizzazione suddivisa in più lottizzazioni separate, formalmente e planovolumetricamente autonome. Il piano presentato si conformava alle disposizioni delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore vigente nel 2004, ossia quello approvato del 1971. La proposta prevedeva una volumetria di circa 164mila metri cubi (oltre al recupero della villa), la cessione gratuita al Comune di 30mila metri quadrati di aree già destinate ad opere di urbanizzazione secondaria e la cessione gratuita di altri 14mila metri quadrati di aree già destinate alla realizzazione di nuove strade ed all'allargamento di quelle esistenti. Stante il silenzio dell'amministrazione, gli interessati alla lottizzazione azionarono dinnanzi al Tar la pretesa di veder concluso il procedimento di formazione del piano di lottizzazione chiedendo l'illegittimità del silenzio, evidentemente dilatorio, opposto dal Comune alla domanda. Il Tar riconoscendo fondata la pretesa, impose al Comune di concludere il procedimento, nominando un commissario ad acta (il dirigente del settore urbanistico della Regione Puglia). Il commissario nominato dal giudice concluse il procedimento con un diniego della proposta di lottizzazione avendo ritenuto ostativo col procedimento la nuova disciplina delle aree in via di ritipizzazione approvata in Consiglio comunale a maggio del 2005. In quella sede si procedette alla ritipizzazione non soltanto delle aree per i quali i proprietari avevano formulato espressamente richiesta, ma di tutte le aree del territorio comunale, compresi i suoli della proprietaria ricorrente che già si era impegnata a cedere gratuitamente dei suoli al Comune nell'ambito delle proposte di lottizzazione già invocate da 2 anni.
La proprietaria del suolo e la ditta costruttrice impugnarono i dinieghi commissariali al Tar ma i ricorsi furono rigettati. Il Consiglio di Stato poco dopo si pronunciò in sesnso opposto, riconoscendo l'illegittimità del diniego. Sopravvenendo l'approvazione del nuovo piano urbanistico, il Consiglio di Stato prese atto che i piani lottizativi a suo tempo presentati non avrebbero più potuto conseguire l'approvazione (stante la sopravvenuta, restrittiva disciplina urbanistica introdotta dal pug) e convertì l'azione di annullamento in azione di accertamento dell'illegittimità degli atti, ritenendo utile, ai fini risarcitori, la valutazione del comportamento del Comune che aveva impedito che venisse portato a termine il procedimento di lottizzazione e sottolineando che il nuovo assetto urbanistico prefigurato dal pug avrebbe consentito uno sfruttamento edilizio meno conveniente di quello considerato nel piano di lottizzazione proposto nel 2003. La concreta perdita da parte della proprietaria del suolo è stata quantificata in 9 milioni e 245mila euro.
Di pari passo va il ricorso presentato al Tar dalla ditta Di Bari costruzioni, che avrebbe dovuto costruire su quei suoli in virtù di un contratto di permuta-appalto del 1992. I conti in questo caso sono decisamente più consistenti: il valore di vendita complessivo degli immobili sarebbe stato di 73 milioni di euro con costi calcolati intorno ai 44 milioni di euro. Pertanto il mancato guadagno netto per il quale si chiede il risarcimento è stato stimato in 28 milioni di euro, lievitato a 31 milioni fra rivalutazioni ed interessi.
Il Comune adesso dovrà difendersi davanti al tribunale amministrativo regionale dalle accuse di aver illegittimamente opposto diniego all'iniziativa dei due ricorrenti, volta ad ottenere – chi per un motivo e chi per un altro – l'assenso ad un insieme di piani di lottizzazione facenti parte di un compendio urbanistico unitariamente inteso, proposti conformemente alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda.
Facciamo un po' di chiarezza sulla vicenda. La proprietaria dei suoli (posti a ridosso dell'ultima fascia edificata della città, sul versante sud, direzione Bisceglie) ha presentato al Comune, a maggio e giugno del 2003, una proposta di lottizzazione suddivisa in più lottizzazioni separate, formalmente e planovolumetricamente autonome. Il piano presentato si conformava alle disposizioni delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore vigente nel 2004, ossia quello approvato del 1971. La proposta prevedeva una volumetria di circa 164mila metri cubi (oltre al recupero della villa), la cessione gratuita al Comune di 30mila metri quadrati di aree già destinate ad opere di urbanizzazione secondaria e la cessione gratuita di altri 14mila metri quadrati di aree già destinate alla realizzazione di nuove strade ed all'allargamento di quelle esistenti. Stante il silenzio dell'amministrazione, gli interessati alla lottizzazione azionarono dinnanzi al Tar la pretesa di veder concluso il procedimento di formazione del piano di lottizzazione chiedendo l'illegittimità del silenzio, evidentemente dilatorio, opposto dal Comune alla domanda. Il Tar riconoscendo fondata la pretesa, impose al Comune di concludere il procedimento, nominando un commissario ad acta (il dirigente del settore urbanistico della Regione Puglia). Il commissario nominato dal giudice concluse il procedimento con un diniego della proposta di lottizzazione avendo ritenuto ostativo col procedimento la nuova disciplina delle aree in via di ritipizzazione approvata in Consiglio comunale a maggio del 2005. In quella sede si procedette alla ritipizzazione non soltanto delle aree per i quali i proprietari avevano formulato espressamente richiesta, ma di tutte le aree del territorio comunale, compresi i suoli della proprietaria ricorrente che già si era impegnata a cedere gratuitamente dei suoli al Comune nell'ambito delle proposte di lottizzazione già invocate da 2 anni.
La proprietaria del suolo e la ditta costruttrice impugnarono i dinieghi commissariali al Tar ma i ricorsi furono rigettati. Il Consiglio di Stato poco dopo si pronunciò in sesnso opposto, riconoscendo l'illegittimità del diniego. Sopravvenendo l'approvazione del nuovo piano urbanistico, il Consiglio di Stato prese atto che i piani lottizativi a suo tempo presentati non avrebbero più potuto conseguire l'approvazione (stante la sopravvenuta, restrittiva disciplina urbanistica introdotta dal pug) e convertì l'azione di annullamento in azione di accertamento dell'illegittimità degli atti, ritenendo utile, ai fini risarcitori, la valutazione del comportamento del Comune che aveva impedito che venisse portato a termine il procedimento di lottizzazione e sottolineando che il nuovo assetto urbanistico prefigurato dal pug avrebbe consentito uno sfruttamento edilizio meno conveniente di quello considerato nel piano di lottizzazione proposto nel 2003. La concreta perdita da parte della proprietaria del suolo è stata quantificata in 9 milioni e 245mila euro.
Di pari passo va il ricorso presentato al Tar dalla ditta Di Bari costruzioni, che avrebbe dovuto costruire su quei suoli in virtù di un contratto di permuta-appalto del 1992. I conti in questo caso sono decisamente più consistenti: il valore di vendita complessivo degli immobili sarebbe stato di 73 milioni di euro con costi calcolati intorno ai 44 milioni di euro. Pertanto il mancato guadagno netto per il quale si chiede il risarcimento è stato stimato in 28 milioni di euro, lievitato a 31 milioni fra rivalutazioni ed interessi.