Eventi e cultura
Ciao Pablito, eroe semplice
Il calciatore amato in Italia e famoso nel mondo per le gesta da goleador, l'ultima volta a Trani nel 2012
Trani - giovedì 10 dicembre 2020
12.14
Non è solo perché alcuni anni fa è stato a Trani a presentare un suo libro, che vogliamo ricordare Paolo Rossi.
Ci sia concessa una piccola lacrima di commozione in quest'anno di tragedie, nel quale morire di tumore come il nostro campione del calcio ha la beffa di essere un privilegio perché consente di andarsene con la mano stretta in quella dei propri cari, cosa tragicamente impedita a chi non esce più dalle terapie intensive.
Né c'è la tentazione di approfittare di una testata per condividere ricordi propri perché ognuno che abbia vissuto quei giorni di estate delle meraviglie di cui fu protagonista ne possiede, tutti degni di essere raccontati.
Paolo rossi lo ricordiamo anche noi a Trani perchè forse nessun giocatore di calcio, pur avendo vestito maglie importanti - la Juve innanzitutto, con cui pur vinse scudetti e coppe, e prima ancora quel Lanerossi Vicenza diventato celebre grazie a lui e il Milan, infine - è stato il giocatore della nazionale per antonomasia: quello con la maglia azzurra su tutte, quello grazie al quale, insieme a una squadra strepitosa, fece cominciare a cucire le bandiere dalle sartine, dalle mamme e dalle nonne, a farci vivere il brivido dello sventolio del tricolore come forse solo all'epoca del Risorgimento era avvenuto prima nella storia.
Lo ricordiamo anche noi perchè simbolo di un'epoca in cui il calcio apparteneva a tutti e non solo alle curve dello stadio e oggi agli abbonati Sky, ma alla cronaca della domenica pomeriggio dalle radioline e le autoradio e poi i report guidati da Paolo Valenti, tra la voce rocciosa di Sandro Ciotti e quella gentile di Giorgio Bubba che risuonavano nelle case di tutti gli italiani, pochissimi esclusi, nel tardo pomeriggio, interrompendo Domenica In.
Erano eroi costruiti senza l'ausilio di social, copertine e gossip ma solo con il valore, la straordinarietà di uomini normali per i quali il calcio era un mestiere e non un divismo. Influencer capaci di una viralità attraverso gli stadi, i risultati delle partite, pochi mezzi mediatici ma che ci ha scavato dentro in maniera profonda. Ed ecco, anche, perché dispiace un po' a tutti.
Il mondo di recente ha pianto un calciatore col soprannome di "dio"; ma lui, Pablito, era uno di noi, con quella maglietta che sembrava sempre stargli un po'grande e tanti capelli sempre arruffati , del tipo "sì, domani vado dal barbiere". L'aspetto di un Pollicino, all'apparenza gracile ma capace di sfondare le linee di difesa più leggendarie di quegli anni con agilità e intelligenza . Quasi Ulisse tra le fisicità potenti di altri eroi , l'astuzia e la velocità scattante che dribblano e raggirano la potenza dei muscoli. Che poi i muscoli paolo rossi li aveva, in quelle gambe svelte che però celavano menischi fragilissimi , gli stessi che lo avevano costretto a appender le scarpe al chiodo troppo presto.
E poi a Trani lo ricordiamo per una frase che rilasciò in una intervista, una frase che sembra un luogo comune degli iatliani, forse lo è davvero; ma ci piace sentircelo ripetere da uno che è stato condannato per un errore per il quale invocò la superficialità e l'immaturità più che un vero dolo, che l'ha pagato e dal quale si è riscattato non solo per i gol fatti ma per la condotta irreprensibile di un uomo per bene. "L'Italia si esprime bene nelle difficoltà", affermò in quel pomeriggio del 2012 tra tifosi di ogni età che lo accolsero numerosissimi. "Probabilmente abbiamo bisogno di essere stimolati, pungolati dalle situazioni estreme per venir fuori".
Già, come quando il sorteggio nel girone coi giganti del pallone mondiale aveva fatto immaginare un viaggio in Spagna come una toccata e fuga senza possibilità. E allora, prendiamoci questo saluto di otto anni fa da uno a cui tutti abbiamo voluto bene, un eroe pulito e semplice. C'è da combattere e credere di poter vincere, adesso, in un girone davvero complicato della nostra vita. Forza, Italia, come lo dicevamo allora. E grazie, Paolo, di averci fatto gioire e sognare.
Ci sia concessa una piccola lacrima di commozione in quest'anno di tragedie, nel quale morire di tumore come il nostro campione del calcio ha la beffa di essere un privilegio perché consente di andarsene con la mano stretta in quella dei propri cari, cosa tragicamente impedita a chi non esce più dalle terapie intensive.
Né c'è la tentazione di approfittare di una testata per condividere ricordi propri perché ognuno che abbia vissuto quei giorni di estate delle meraviglie di cui fu protagonista ne possiede, tutti degni di essere raccontati.
Paolo rossi lo ricordiamo anche noi a Trani perchè forse nessun giocatore di calcio, pur avendo vestito maglie importanti - la Juve innanzitutto, con cui pur vinse scudetti e coppe, e prima ancora quel Lanerossi Vicenza diventato celebre grazie a lui e il Milan, infine - è stato il giocatore della nazionale per antonomasia: quello con la maglia azzurra su tutte, quello grazie al quale, insieme a una squadra strepitosa, fece cominciare a cucire le bandiere dalle sartine, dalle mamme e dalle nonne, a farci vivere il brivido dello sventolio del tricolore come forse solo all'epoca del Risorgimento era avvenuto prima nella storia.
Lo ricordiamo anche noi perchè simbolo di un'epoca in cui il calcio apparteneva a tutti e non solo alle curve dello stadio e oggi agli abbonati Sky, ma alla cronaca della domenica pomeriggio dalle radioline e le autoradio e poi i report guidati da Paolo Valenti, tra la voce rocciosa di Sandro Ciotti e quella gentile di Giorgio Bubba che risuonavano nelle case di tutti gli italiani, pochissimi esclusi, nel tardo pomeriggio, interrompendo Domenica In.
Erano eroi costruiti senza l'ausilio di social, copertine e gossip ma solo con il valore, la straordinarietà di uomini normali per i quali il calcio era un mestiere e non un divismo. Influencer capaci di una viralità attraverso gli stadi, i risultati delle partite, pochi mezzi mediatici ma che ci ha scavato dentro in maniera profonda. Ed ecco, anche, perché dispiace un po' a tutti.
Il mondo di recente ha pianto un calciatore col soprannome di "dio"; ma lui, Pablito, era uno di noi, con quella maglietta che sembrava sempre stargli un po'grande e tanti capelli sempre arruffati , del tipo "sì, domani vado dal barbiere". L'aspetto di un Pollicino, all'apparenza gracile ma capace di sfondare le linee di difesa più leggendarie di quegli anni con agilità e intelligenza . Quasi Ulisse tra le fisicità potenti di altri eroi , l'astuzia e la velocità scattante che dribblano e raggirano la potenza dei muscoli. Che poi i muscoli paolo rossi li aveva, in quelle gambe svelte che però celavano menischi fragilissimi , gli stessi che lo avevano costretto a appender le scarpe al chiodo troppo presto.
E poi a Trani lo ricordiamo per una frase che rilasciò in una intervista, una frase che sembra un luogo comune degli iatliani, forse lo è davvero; ma ci piace sentircelo ripetere da uno che è stato condannato per un errore per il quale invocò la superficialità e l'immaturità più che un vero dolo, che l'ha pagato e dal quale si è riscattato non solo per i gol fatti ma per la condotta irreprensibile di un uomo per bene. "L'Italia si esprime bene nelle difficoltà", affermò in quel pomeriggio del 2012 tra tifosi di ogni età che lo accolsero numerosissimi. "Probabilmente abbiamo bisogno di essere stimolati, pungolati dalle situazioni estreme per venir fuori".
Già, come quando il sorteggio nel girone coi giganti del pallone mondiale aveva fatto immaginare un viaggio in Spagna come una toccata e fuga senza possibilità. E allora, prendiamoci questo saluto di otto anni fa da uno a cui tutti abbiamo voluto bene, un eroe pulito e semplice. C'è da combattere e credere di poter vincere, adesso, in un girone davvero complicato della nostra vita. Forza, Italia, come lo dicevamo allora. E grazie, Paolo, di averci fatto gioire e sognare.