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Il presidente della Cassazione ai magistrati di Trani: «Se sbaglia un giudice, sbaglia la democrazia»
Giovanni Canzio sulla sentenza per l'assegno di divorzio: «La giurisprudenza si adegua alla società»
Trani - sabato 20 maggio 2017
La visita nel Tribunale di Trani del primo presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio, fa parte di un tour per parlare dell'indipendenza della magistratura. Ed è quanto Canzio ha fatto nel pomeriggio nella biblioteca storica dell'ordine forense, tenendo anche una lectio magistralis "Indipendenza ed autonomia della Magistratura: una ri-lettura dei principi costituzionali".
Ma Canzio, durante il suo incontro a Palazzo Torres, ha parlato a lungo del ruolo del magistrato e della funzione dei Tribunali definiti "impropriamente di provincia". «Chi usa questi termini – ha sottolineato - non si rende conto che il diritto nasce dal basso. Tutti siamo stati giudici di provincia, prima di approdare a incarichi direttivi, in Corte d'Appello o di Cassazione", ha detto. "Non si nasce giudici di Cassazione o presidenti di una sezione di Cassazione o presidenti di Corte. Si comincia a fare il giudice di frontiera e il diritto si costruisce da lì. La nomofilachia non viene costruita nella aule di Cassazione: i processi non nascono in Cassazione ma ci arrivano».
Canzio ha anche affrontato il tema del ruolo dei magistrati nella società. «Il giudice oggi ha molti più poteri di prima, tocca gli interstizi della governance economico e sociale di questo Paese, ha sottolineato. «Ma non è possibile implementare un potere senza la contemporanea implementazione della responsabilità di un potere. E quindi continuo a chiedere, innanzitutto a me stesso, di partecipare al lavoro straordinario della regola del caso concreto con forte formazione professionale, dose di umiltà e di dubbio e forte senso della responsabilità e del dovere che si ha».
«I giudici non sono una casta – ha aggiunto - che sta lì messa in alto, che dà i voti a destra e a manca. Noi siamo parte di un sistema che sono lo Stato e la Repubblica italiana, noi siamo un potere tra i poteri. Siamo un'istituzione a cui si chiede di ragionare sui fatti della vita. Il problema di fondo è come arricchire, e non far diminuire come avviene ogni giorno, la fiducia dei cittadini nei confronti della giustizia. Se aumenta la fiducia nei confronti della giurisdizione – ha sottolineato - aumenta anche la fiducia nello Stato repubblicano e anche nella democrazia. Ogni nostra caduta – ha avvertito - è una caduta che colpisce apparentemente quel tribunale, quella corte, quell'istituzione. In realtà va incidere negativamente sul tessuto democratico del nostro Paese».
Poche dichiarazioni sui temi dell'attualità giudiziaria. Ma, rispondendo alle domande dei giornalisti, Canzio ha parlato della recente sentenza della prima sezione civile della Suprema Corte che, di fatto, stabilisce nuovi parametri in materia di assegno di divorzio (conta il criterio dell'indipendenza o autosufficienza economica, non il tenore di vita goduto nel corso delle nozze per assegnare l'assegno divorzile al coniuge che lo richiede). «La Corte di Cassazione - ha detto - ogni tanto muta anche gli orientamenti, perché quella che noi chiamiamo la nomofilachia (cioè la creazione di precedenti autorevoli) non è una gabbia al di fuori della quale non si può più uscire. Ma il mutamento della società e dei costumi, ma anche l'evoluzione del contesto in cui è il nostro Paese può determinare una evoluzione anche della giurisprudenza». «Quella sentenza – ha proseguito - è frutto di un ragionamento della sezione competente, la prima civile, che ha ragionato su quei principi e ha ritenuto di dover modificare il precedente orientamento e renderlo più coerente con la modernità. Adesso spetta al mondo dei giuristi, alla dottrina e agli stessi cittadini esporre la loro adesione e le loro critiche».
Ma Canzio, durante il suo incontro a Palazzo Torres, ha parlato a lungo del ruolo del magistrato e della funzione dei Tribunali definiti "impropriamente di provincia". «Chi usa questi termini – ha sottolineato - non si rende conto che il diritto nasce dal basso. Tutti siamo stati giudici di provincia, prima di approdare a incarichi direttivi, in Corte d'Appello o di Cassazione", ha detto. "Non si nasce giudici di Cassazione o presidenti di una sezione di Cassazione o presidenti di Corte. Si comincia a fare il giudice di frontiera e il diritto si costruisce da lì. La nomofilachia non viene costruita nella aule di Cassazione: i processi non nascono in Cassazione ma ci arrivano».
Canzio ha anche affrontato il tema del ruolo dei magistrati nella società. «Il giudice oggi ha molti più poteri di prima, tocca gli interstizi della governance economico e sociale di questo Paese, ha sottolineato. «Ma non è possibile implementare un potere senza la contemporanea implementazione della responsabilità di un potere. E quindi continuo a chiedere, innanzitutto a me stesso, di partecipare al lavoro straordinario della regola del caso concreto con forte formazione professionale, dose di umiltà e di dubbio e forte senso della responsabilità e del dovere che si ha».
«I giudici non sono una casta – ha aggiunto - che sta lì messa in alto, che dà i voti a destra e a manca. Noi siamo parte di un sistema che sono lo Stato e la Repubblica italiana, noi siamo un potere tra i poteri. Siamo un'istituzione a cui si chiede di ragionare sui fatti della vita. Il problema di fondo è come arricchire, e non far diminuire come avviene ogni giorno, la fiducia dei cittadini nei confronti della giustizia. Se aumenta la fiducia nei confronti della giurisdizione – ha sottolineato - aumenta anche la fiducia nello Stato repubblicano e anche nella democrazia. Ogni nostra caduta – ha avvertito - è una caduta che colpisce apparentemente quel tribunale, quella corte, quell'istituzione. In realtà va incidere negativamente sul tessuto democratico del nostro Paese».
Poche dichiarazioni sui temi dell'attualità giudiziaria. Ma, rispondendo alle domande dei giornalisti, Canzio ha parlato della recente sentenza della prima sezione civile della Suprema Corte che, di fatto, stabilisce nuovi parametri in materia di assegno di divorzio (conta il criterio dell'indipendenza o autosufficienza economica, non il tenore di vita goduto nel corso delle nozze per assegnare l'assegno divorzile al coniuge che lo richiede). «La Corte di Cassazione - ha detto - ogni tanto muta anche gli orientamenti, perché quella che noi chiamiamo la nomofilachia (cioè la creazione di precedenti autorevoli) non è una gabbia al di fuori della quale non si può più uscire. Ma il mutamento della società e dei costumi, ma anche l'evoluzione del contesto in cui è il nostro Paese può determinare una evoluzione anche della giurisprudenza». «Quella sentenza – ha proseguito - è frutto di un ragionamento della sezione competente, la prima civile, che ha ragionato su quei principi e ha ritenuto di dover modificare il precedente orientamento e renderlo più coerente con la modernità. Adesso spetta al mondo dei giuristi, alla dottrina e agli stessi cittadini esporre la loro adesione e le loro critiche».