Scuola e Lavoro
In una scuola di Trani versione di latino su Berlusconi
Singolare storia nel liceo scientifico Vecchi
Trani - venerdì 13 novembre 2009
Una versione di latino da tradurre con protagonista il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. E' l'esercizio che una professoressa del liceo scientifico Vecchì di Trani, Angela Di Nanni, ha proposto agli alunni della classe 3C. La notizia ha avuto vasta eco sui giornali nazionali. La versione è riferita all'attualità: «Silvius Berlusconi apud iudices vocabitur», cioè «Silvio Berlusconi sarà chiamato davanti ai giudicI». Nel testo, si fa riferimento al Lodo Alfano («Legem nomine ministri Alfano appellatam») ed alla sua incostituzionalità («Legi supremae incongruam esse»).
«Una versione creata ad hoc per adeguare il latino alle nostra temperie politica» scrive il Giornale. «Il testo si presenta infatti come una catilinaria mordace contro il premier. Si sottolinea anche la necessità che Berlusconi compaia davanti ai giudici per i reati di cui è accusato (in ius vocabitur)».
Gianluca Veneziani, articolista de Il Giornale, commenta così la vicenda:
«Per par condicio la prof dovrebbe occuparsi anche delle vicende scabrose del governatore del Lazio Petrus Marrazzus. La versione sarebbe più che mai idonea, vista la sua ambientazione romana. Chissà, il testo si potrebbe intitolare «Scandalum in Urbe». E non mancherebbe neppure la possibilità di tradurre «trans», dato che il termine esiste già in latino, e le figure androgine erano presenti già nell'antica Roma. Anche se, in questo caso, più che di una versione si tratterebbe di una per-versione.
Passando dal faceto al serio, lasciatemi dire qualche parola a difesa dei classici. Cari prof, «compagni» di banco e di cattedra, vorrei ricordarvi che, adeguando il latino ai nostri tempi, trattando nelle versioni di vicende che riguardano l'attualità, non contribuite a rendere questa lingua più attraente, più affascinante, più viva. Piuttosto la ridicolizzate, la banalizzate, la rendete una barzelletta. Il latino è una lingua morta che non ha bisogno di essere riesumata attraverso stratagemmi e virtuosismi linguistici. Il suo fascino sta nell'essere inattuale, nel suo trattare temi eterni, che parlano agli uomini di ogni tempo, proprio perché non si confondono con la contemporaneità. Così facendo, invece, trasformate la storia in cronaca, la letteratura in gossip, fate di un classico una cosetta buffa. Il latino si regge da sé, perpetuando formule, riti, espressioni che sono retaggio di una tradizione storica, sedimentate dal passato. Per questo ha più senso dire in latino una messa, piuttosto che trattare in latino del Lodo Alfano.
E poi, professorucoli sessantottardi, non contaminate i classici con il vostro furore ideologico, non strumentalizzate una nobile tradizione per i vostri scopi meschini, badate ad insegnare bene il latino ai vostri alunni piuttosto che indottrinarli al vostro antiberlusconismo.
Anche perché così rischiate di ottenere l'effetto opposto. Sapete che orgoglio, per un uomo che già di suo aspira ad essere eterno, venire immortalato perfino in latino e diventare, a suo modo, un classico? Sapete che incentivo al suo ego smisurato, che contributo alla sua autostima, sentirsi cantato nella stessa lingua in cui hanno scritto Orazio e Catullo? Altro che Napoleone. Il rischio è che, tra qualche tempo, Berlusconi inizi a farsi chiamare Augusto, e nomini Giulio Cesare i suoi fedeli collaboratori Giulio Tremonti e Cesare Previti. Già pronto il motto della nuova repubblica. S.P.Q.R.: Silvius Populusque Romanus».
«Una versione creata ad hoc per adeguare il latino alle nostra temperie politica» scrive il Giornale. «Il testo si presenta infatti come una catilinaria mordace contro il premier. Si sottolinea anche la necessità che Berlusconi compaia davanti ai giudici per i reati di cui è accusato (in ius vocabitur)».
Gianluca Veneziani, articolista de Il Giornale, commenta così la vicenda:
«Per par condicio la prof dovrebbe occuparsi anche delle vicende scabrose del governatore del Lazio Petrus Marrazzus. La versione sarebbe più che mai idonea, vista la sua ambientazione romana. Chissà, il testo si potrebbe intitolare «Scandalum in Urbe». E non mancherebbe neppure la possibilità di tradurre «trans», dato che il termine esiste già in latino, e le figure androgine erano presenti già nell'antica Roma. Anche se, in questo caso, più che di una versione si tratterebbe di una per-versione.
Passando dal faceto al serio, lasciatemi dire qualche parola a difesa dei classici. Cari prof, «compagni» di banco e di cattedra, vorrei ricordarvi che, adeguando il latino ai nostri tempi, trattando nelle versioni di vicende che riguardano l'attualità, non contribuite a rendere questa lingua più attraente, più affascinante, più viva. Piuttosto la ridicolizzate, la banalizzate, la rendete una barzelletta. Il latino è una lingua morta che non ha bisogno di essere riesumata attraverso stratagemmi e virtuosismi linguistici. Il suo fascino sta nell'essere inattuale, nel suo trattare temi eterni, che parlano agli uomini di ogni tempo, proprio perché non si confondono con la contemporaneità. Così facendo, invece, trasformate la storia in cronaca, la letteratura in gossip, fate di un classico una cosetta buffa. Il latino si regge da sé, perpetuando formule, riti, espressioni che sono retaggio di una tradizione storica, sedimentate dal passato. Per questo ha più senso dire in latino una messa, piuttosto che trattare in latino del Lodo Alfano.
E poi, professorucoli sessantottardi, non contaminate i classici con il vostro furore ideologico, non strumentalizzate una nobile tradizione per i vostri scopi meschini, badate ad insegnare bene il latino ai vostri alunni piuttosto che indottrinarli al vostro antiberlusconismo.
Anche perché così rischiate di ottenere l'effetto opposto. Sapete che orgoglio, per un uomo che già di suo aspira ad essere eterno, venire immortalato perfino in latino e diventare, a suo modo, un classico? Sapete che incentivo al suo ego smisurato, che contributo alla sua autostima, sentirsi cantato nella stessa lingua in cui hanno scritto Orazio e Catullo? Altro che Napoleone. Il rischio è che, tra qualche tempo, Berlusconi inizi a farsi chiamare Augusto, e nomini Giulio Cesare i suoi fedeli collaboratori Giulio Tremonti e Cesare Previti. Già pronto il motto della nuova repubblica. S.P.Q.R.: Silvius Populusque Romanus».