Vita di città
«Mai avrei fatto un film su Renato Vallanzasca»
Mastrulli ricorda gli anni della detenzione a Trani. Il vice segretario nazionale Osapp: «Terrorizzava solo con lo sguardo»
Trani - sabato 22 gennaio 2011
E' uscito in questo week end il film Gli angeli del male, per la regia di Michele Placido e con Kim Rossi Stuart nel ruolo scomodo di Renato Vallanzasca, criminale condannato a quattro ergastoli e 260 anni di reclusione. Il film ruota intorno alla storia del «bel René», protagonista negli anni Settanta di rapine, sequestri e uccisioni. Personaggio complesso a cui sono stati dedicati anche dei libri (uno con centinaia di lettere di ammiratrici e ammiratori), Vallanzasca iniziò la sua carriera di criminale da bambino: dai piccoli furti passò in rapida successione alle rapine, ai sequestri di persona, agli omicidi, diventando il boss della Comasina che tutti ora conoscono: ricco, spietato e sanguinario.
Come da copione, il film ha beneficiato di polemiche, critiche ed inviti al boicottaggio. Una manna per attirare attenzione sulla pellicola. Al coro dei contrari si aggiunge Mimmo Mastrulli, vice segretario nazionale del sindacato di polizia penitenziaria. Mastrulli ha conosciuto da vicino Vallanzasca ai tempi della reclusione a Trani del criminale milanese. «Mai avrei fatto un film su di lui. Non vedo messaggi positivi né l'utilità. Al contrario, di questi tempi, potrebbe assurgere a modello negativo per tanti giovani sbandati».
Vallanzasca è stato recluso a Trani dal 1978 al 1981. A dire il vero, René, dal carcere di massima sicurezza di Trani, entrava ed usciva come fosse in un grand hotel dovendo rispondere di infiniti procedimenti giudiziari in tutta Italia. Quando arrivava, finiva nel corriodio destro al primo piano dell'ala della massima sicurezza che ospitava le celle che andavano dalla 62 alla 75. Al piano terra era recluso un certo Salvatore Annacondia, al piano di sopra c'erano tutti i più pericolosi brigatisti e terroristi di quegli anni. Vallanzasca seppe farsi rispettare anche a Trani. «Era il principe delle evasioni - spiega Mastrulli - ma era anche un leader nel carcere. Di lui ricordo lo sguardo: due occhi di ghiaccio che mi fanno paura solo nel ripensarli. Con gli agenti aveva un buon rapporto ma ripeteva sempre che in caso di tentativo di fuga, se qualcuno lo avesse ostacolato sarebbe finito morto ammazzato, madre compresa. Sapevamo che non scherzava».
C'è chi lo ha definito un gentile assassino, chi un personaggio mostruoso e angelico. Per Mastrulli Vallanzasca è solo una pagina nera della storia italiana da cancellare senza rimpianti: «Dovrebbe inginocchiarsi e chiedere scusa a tutti i parenti delle sue vittime, altro che film. La sua carriera criminale parla chiaro. Ha seminato morte sia dentro le carceri che fuori. Un delinquente vero, affatto paragonabile alla marmaglia dei reclusi di oggi. Le sue sentenze, anche dal carcere, erano immediatamente esecutive. Non c'era scampo per nessuno».
Contrariamente alle leggende che si raccontano, da Trani Vallanzasca non tentò mai la fuga. «Il nostro carcere - commenta Mastrulli - era fra i più sicuri di Europa, non a caso il generale Dalla Chiesa mandava da noi tutti i boss più pericolosi del Paese. Una volta scoprimmo a René un coltello: lo avevo infilato nel retto, nascosto in un preservativo. Lo costringemmo a far flessioni per cacciarlo fuori. Lui sorrise e disse: Mi avete scoperto. E' fra le poche frasi che ricordo di lui. Con il Vallanzasca di quel periodo anche due parole potevano essere troppe».
Come da copione, il film ha beneficiato di polemiche, critiche ed inviti al boicottaggio. Una manna per attirare attenzione sulla pellicola. Al coro dei contrari si aggiunge Mimmo Mastrulli, vice segretario nazionale del sindacato di polizia penitenziaria. Mastrulli ha conosciuto da vicino Vallanzasca ai tempi della reclusione a Trani del criminale milanese. «Mai avrei fatto un film su di lui. Non vedo messaggi positivi né l'utilità. Al contrario, di questi tempi, potrebbe assurgere a modello negativo per tanti giovani sbandati».
Vallanzasca è stato recluso a Trani dal 1978 al 1981. A dire il vero, René, dal carcere di massima sicurezza di Trani, entrava ed usciva come fosse in un grand hotel dovendo rispondere di infiniti procedimenti giudiziari in tutta Italia. Quando arrivava, finiva nel corriodio destro al primo piano dell'ala della massima sicurezza che ospitava le celle che andavano dalla 62 alla 75. Al piano terra era recluso un certo Salvatore Annacondia, al piano di sopra c'erano tutti i più pericolosi brigatisti e terroristi di quegli anni. Vallanzasca seppe farsi rispettare anche a Trani. «Era il principe delle evasioni - spiega Mastrulli - ma era anche un leader nel carcere. Di lui ricordo lo sguardo: due occhi di ghiaccio che mi fanno paura solo nel ripensarli. Con gli agenti aveva un buon rapporto ma ripeteva sempre che in caso di tentativo di fuga, se qualcuno lo avesse ostacolato sarebbe finito morto ammazzato, madre compresa. Sapevamo che non scherzava».
C'è chi lo ha definito un gentile assassino, chi un personaggio mostruoso e angelico. Per Mastrulli Vallanzasca è solo una pagina nera della storia italiana da cancellare senza rimpianti: «Dovrebbe inginocchiarsi e chiedere scusa a tutti i parenti delle sue vittime, altro che film. La sua carriera criminale parla chiaro. Ha seminato morte sia dentro le carceri che fuori. Un delinquente vero, affatto paragonabile alla marmaglia dei reclusi di oggi. Le sue sentenze, anche dal carcere, erano immediatamente esecutive. Non c'era scampo per nessuno».
Contrariamente alle leggende che si raccontano, da Trani Vallanzasca non tentò mai la fuga. «Il nostro carcere - commenta Mastrulli - era fra i più sicuri di Europa, non a caso il generale Dalla Chiesa mandava da noi tutti i boss più pericolosi del Paese. Una volta scoprimmo a René un coltello: lo avevo infilato nel retto, nascosto in un preservativo. Lo costringemmo a far flessioni per cacciarlo fuori. Lui sorrise e disse: Mi avete scoperto. E' fra le poche frasi che ricordo di lui. Con il Vallanzasca di quel periodo anche due parole potevano essere troppe».