Eventi e cultura

Milano ricorda l’olocausto dei tranesi in Crimea

La storia racchiusa in un documentario di Tito Manlio Altomare

Nei giorni scorsi (dal 3 al 5 dicembre), l'associazione regionale dei pugliesi di Milano ha organizzato a Milano una iniziativa di commemorazione della drammatica vicenda che ha colpito la comunità di italiani, soprattutto pugliesi e tranesi, trasferiti per ragioni di lavoro agli inizi del 1800 in Crimea ed a Kerc e che subirono nel corso della seconda guerra mondiale arresti, torture, deportazioni e fucilazioni.

A circa 70 anni da quei fatti, il capoluogo meneghino ha ricordato solennemente una storia sanguinosa, a molti sconosciuta, che interessò tantissimi tranesi, partiti per la Crimea allettati dalle promesse di buoni guadagni e dal miraggio di fertili terre vergini.

L'olocausto di quella comunità pugliese è raccontato nel documentario Puglia, oltre il Mediterraneo del giornalista Tito Manlio Altomare, realizzato con il sostegno della Regione Puglia nel 2008 (http://www.litaliano.it/crimea_film/index.htm) e presentato a Trani a giugno scorso in una manifestazione organizzata dalla Giovane Italia Trani nell'auditorium di San Luigi.

Il sito internet L'italiano ne ricorda per intero la vicenda:

«Nel 1830 e nel 1870 giunsero in Crimea, nel territorio di Kerč, due flussi migratori provenienti dall'Italia, soprattutto dalle località pugliesi di Trani, Bisceglie e Molfetta, dal Veneto e dal Trentino allettati dalla promessa di buoni guadagni e dal miraggio di fertili terre quasi vergini. Erano soprattutto agricoltori, marinai (pescatori, nostromi, piloti, capitani) ed addetti alla cantieristica navale. La città di Kerc si trova infatti sull'omonimo stretto che collega il Mar Nero col Mar d'Azov. Qui costruiscono nel 1840 una Chiesa cattolica romana, detta ancora oggi la chiesa degli Italiani. Da Kerč gli Italiani si diffondono anche in altre località della Crimea: Feodosia (l'antica colonia genovese di Caffa), Simferopoli, Mariupol ed in alcuni altri porti russi della zona, soprattutto a Batumi e Novorossijsk.

Secondo il comitato statale ucraino per le nazionalità, gli italiani sarebbero stati nel 1897 l'1,8% della popolazione della provincia di Kerč, percentuale passata al 2% nel 1921. Alcune fonti parlano specificatamente di tremila persone. Nel 1920 la comunità di Kerc ha la chiesa, con parroco italiano, dispone di una scuola elementare, di una biblioteca, di una sala riunioni, di un club e di una società cooperativa. Il giornale locale "Kercenskij Rabocij" in quel periodo pubblica regolarmente articoli in lingua italiana. Con l'avvento del comunismo, inizia però la persecuzione a causa dell'accusa di essere fascisti e parte di essi rimpatria.

A metà degli anni '20 cominciano ad occuparsi della minoranza italiana gli emigrati italiani antifascisti rifugiati in Unione Sovietica. Le autorità sovietiche li inviano da Mosca perché sovraintendano la comunità. Essi ottengono la chiusura della chiesa grazie alle accuse di propaganda antisovietica contro il parroco che è costretto a rientrare in Italia. Nel quadro della collettivizzazione forzata delle campagne gli italiani furono obbligati a creare un Kolchoz che prese il nome di Sacco e Vanzetti. Quelli che non vollero farne parte, furono obbligati ad andarsene, lasciando ogni avere. A seguito di ciò, nel censimento del 1933 la percentuale degli italiani decresce all'1,3% della popolazione della provincia di Kerc. Ma il peggio deve venire: nel 1935-38 seguono le purghe staliniane e molti Italiani, arrestati con l'accusa di spionaggio, spariscono nel nulla.

Con la liberazione da parte dell'Armata Rossa della Crimea e del Caucaso settentrionale, occupati nel novembre 1941 dalle truppe della Germania Nazista, le minoranze nazionali presenti sul territorio vengono deportate con l'accusa di essere fasciste, seguendo i destini della minoranza tedesca, che era già stata deportata nell'agosto 1941 all'avvicinarsi dell'esercito tedesco. Seconda a essere deportata è la minoranza italiana, seguiti nel 1944 dalle deportazioni di tutte le altre, tra cui tatari, ceceni, armeni e greci. Il 29 gennaio 1942 inizia la deportazione degli italiani. L'intera comunità venne radunata, compresi anche i rifugiati antifascisti che si erano stabiliti a Kerc. Poterono portare solo 8 chili di roba a testa, quindi su tre convogli di vagoni piombati iniziarono il viaggio verso l'Asia. Lo stretto di Kerc e il Mar Caspio furono attraversati con navi dove gli italiani vennero confinati nella stiva. Il viaggio durò fino a marzo in quanto i convogli procedettero molto lentamente. Quasi la metà morì nel viaggio, tra cui tutti i bambini. I cadaveri venivano buttati fuori dai soldati durante le ispezioni dei vagoni. Una madre finse addirittura che il suo bimbo fosse vivo, simulando di allattarlo, per poterlo seppellire lei stessa.

Per la precisione il convoglio con gli italiani attraversò i territori di Ucraina, Russia, Georgia, Azerbaigian, Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan. Via mare da Kerch a Novorossijsk, poi via terra fino a Baku, quindi fu attraversato il Caspio fino a Krasnovodsk ed infine, nuovamente su binari, sino ad Atbasar dove vennero poi sistemati ad Akmolinsk e Karaganda in baracche di fortuna e abbandonati. Ulteriori vittime si ebbero in Kazakistan per i maltrattamenti subiti. Si calcola che forse sopravvisse solo il 20% dell'intera popolazione.

I pochi sopravvissuti rientrarono a Kerc sotto Kruscev. Alcune famiglie si dispersero sul territorio dell'ex Unione Sovietica, negli attuali stati di Kazakistan, Uzbekistan e Russia di cui alcuni nella Repubblica dei Komi. La popolazione degli italiani di Crimea ammonta attualmente a circa trecento persone, residenti soprattutto a Kerc
».
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