Conferenza in Procura caporalato
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Cronaca

Morte bracciante di Andria, in manette i moderni "caporali"

Arrestati anche i responsabili di un'agenzia interinale di Noicattaro

Nel corso della notte, la compagnia della Guardia di Finanza di Trani ed il commissariato della Polizia di Stato di Andria hanno arrestato sei persone, nell'ambito delle indagini seguite alla morte della bracciante agricola Paola Clemente, avvenuta nelle campagne di Andria il 13 luglio 2015.

In manette - con le accuse che vanno dalla truffa ai danni dello Stato all'illecita intermediazione e allo sfruttamento del lavoro - sono finiti Ciro Grassi, il titolare dell'azienda di trasporti tarantina che portava in bus le braccianti fino ad Andria; il direttore Pietro Bello, il ragioniere Giampietro Marinaro e Oronzo Catacchio, un altro referente dell'agenzia Inforgroup di Noicattaro, che aveva assunto Paola Clemente per lavorare nei campi; le sorelle Maria Lucia e Giovanna Marinaro, la prima moglie di Grassi e la seconda ritenuta una delle caposquadra in campagna. Delle sei persone arrestate solo Maria Lucia Marinaro ha beneficiato dei domiciliari.

Il provvedimento restrittivo, disposto dal gip di Trani Angela Schiralli, su richiesta del pm Alessandro Pesce, è l'epilogo delle complesse attività investigative che hanno permesso di accertare come un'apparente e lecita fornitura di braccianti agricoli a mezzo di agenzie di lavoro interinali mascherasse, in realtà, una vera e propria forma di moderno "caporalato. Le indagini difatti sono state avviate all'indomani del decesso
Non semplice è stata la ricostruzione operata dai poliziotti di Andria e dai finanzieri di Trani che hanno dovuto superare il "muro di omertà frapposto dalla grandissima maggioranza delle braccianti agricole" che, con il timore di essere escluse dalla platea delle potenziali lavoratrici, hanno «manifestato reticenza» nel corso delle varie dichiarazioni rese dinanzi agli investigatori la cui caparbietà ha permesso di ricostruire il persistente radicamento, sul territorio pugliese, «del fenomeno del caporalato nella cui morsa era intrappolata anche Paola Clemente, facendo di lei una vittima di tale meccanismo». Il contesto di "omertà" è stato sicuramente agevolato e rafforzato dalla realtà socio-economica tarantina in cui vivevano le braccianti vittime dei caporali: numerose infatti appartenevano a famiglie in cui l'unico lavoratore era il marito ex-dipendente Ilva. Tale situazione di crisi economica, associata pertanto alla forte esigenza di reperire un lavoro, portava le stesse braccianti a "santificare" i loro carnefici, al punto di ringraziarli del lavoro ottenuto.

In particolare, lavorando in perfetta sinergia, ciascuno secondo la propria professionalità, finanzieri e poliziotti sono riusciti «a scoprire l'astuto modus operandi posto in essere dagli indagati a fronte di una realtà documentale fondata sulla sottoscrizione di contratti stipulati dall'Agenzia di lavoro interinale con i braccianti per la loro assunzione e con le aziende agricole utilizzatrici per la allocazione della forza lavoro reclutata con relativa emissione di buste paga che registravano la corresponsione di una retribuzione conforme a quanto previsto dalla contrattazione collettiva».

Solo l'attenta, articolata e precisa ricostruzione delle abitudini dei braccianti agricoli e la creazione di un rapporto di fiducia tra polizia giudiziaria e "vittime" è stato possibile accertare l'abitudine, da parte dei braccianti, di indicare su agende o calendari le effettive giornate lavorative. Così, nel mese di settembre 2015 furono eseguite oltre 80 perquisizioni domiciliari nella provincia di Taranto, tutte finalizzate al recupero di quell'importantissimo materiale attraverso il quale si è avuta appunto una svolta nelle indagini: "dati alla mano" è stato infatti possibile abbattere il primo muro di omertà. Infatti proprio l'analisi delle annotazione dei singoli braccianti, confrontata con i dati ufficiali della società di lavoro interinale nonché con i dati acquisiti dai computer in uso agli indagati, ha permesso di ricostruire il cd. "sistema giornate".

In sintesi, è stato dimostrato come, in realtà, gli stessi braccianti fossero oggetto di un sistematico sotto-pagamento mediante un riconoscimento di minori giornate lavorate nonché l'omessa imputazione di tutte le indennità (trasferte e/o straordinari) normativamente previste. Infatti, considerando che ogni singolo bracciante iniziava, dalla Provincia di Taranto, il proprio tragitto direzione campagne del Nord Barese alle ore 03:30 del mattino per farvi ritorno alle 15:30 circa, agli stessi sarebbe spettata una retribuzione giornaliera di circa € 86,00, a fronte degli effettivi € 30 riconosciuti.

In sintesi, la complessiva attività investigativa ha permesso di ricostruire una particolare forma di caporalato: un fenomeno non già caratterizzato dai classici elementi di violenza, minaccia e ritorsioni, ma bensì attuato mediante comportamenti subdoli. Infatti, attraverso lo scudo dell'Agenzia di Lavoro interinale, alle braccianti veniva assicurato un lavoro "regolare" con contributi versati in relazione, però, ad un numero inferiore di giornate lavorative rispetto a quelle effettivamente svolte. In altre parole l'opzione dei caporali era: o lavori con me mediante l'agenzia accettando di farti riconoscere meno giornate lavorative, ovvero ti cerchi un lavoro assolutamente "in nero" con tutti i rischi, anche assicurativi e contributivi, che ne possono derivare.

Proprio per questa forma evoluta di caporalato sono finiti in carcere 3 dipendenti dell'Agenzia di lavoro interinale di Noicattaro, il titolare della ditta addetta al trasporto delle braccianti agricole ed una donna che aveva il compito di "controllare" le lavoratrici sui campi, tutti residenti nel barese e nel tarantino. Agli arresti domiciliari, invece, la moglie del titolare della ditta di trasporto che, risultando falsamente presente nei campi quale bracciante agricola, percepiva indebiti contributi pubblici per la "disoccupazione agricola" e la "indennità di maternità e congedi".

Contestualmente all'esecuzione delle misure custodiali, i finanzieri ed i poliziotti hanno eseguito un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente per l'importo di oltre € 55.000, quale valore complessivo dei contributi spettanti ai braccianti agricoli a seguito del sotto-pagamento nonché indebiti contributi percepiti dall'arrestata.

Agli indagati è stato contestato il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravato e continuato - "caporalato" -, la truffa aggravata e la truffa ai danni dello Stato, reati per i quali rischiano fino ad un massimo di 8 anni di reclusione. Gli indagati, attinti dalla custodia cautelare in carcere, sono stati condotti presso la Casa Circondariale di Trani in attesa degli interrogatori di garanzia.
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  • Procura di Trani
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