Vita di città

Nicola, centinaia di milioni buttati al videopoker

Rosa Barca e le nostre storie di città

«Un giorno mia moglie mi chiamò al cellulare chiedendomi dove fossi. Ero in un bar davanti ad una macchinetta, fu inevitabile mentire. Poco dopo sentii la sua mano sulla mia spalla. Era dietro di me e mi chiese di andare via». La mano di sua moglie è stata la più fortunata della sua vita. Vi raccontiamo la storia di un uomo che scava per noi in un passato "vizioso" che oggi non gli appartiene più. Ha una camicia e un maglioncino sulle spalle quando lo conosciamo. "Piacere, Nicola". Iniziamo a chiacchierare.

Nicola ha 43 anni, ma nasconde un'aria da ragazzino. Ha alle spalle una storia di tossicodipendenza: dai 17 ai 27 anni si fa di eroina, ma un percorso terapeutico intrapreso all'Oasi 2 lo aiuta ad uscirne, definitivamente. Col tempo, però, subentrano nuove dipendenze. Inizia a giocare al lotto per poi rifugiarsi nel videopoker, dove un montepremi che fa gola diventa la sua rovina. Quel vizio sporadico del gioco si trasforma presto in una patologia compulsiva. Si inizia a giocare in modo convulsivo, senza controllo e senza limiti: si perdono ingenti somme di denaro, ci si indebita, si mente, ci si consuma e, infine, ci si distrugge.

L'officina del divertimento digitale sforna percentuali inquietanti di vittime. Da capogiro i numeri di quanti sono finiti sul lastrico ammalati di videopoker. Apparentemente è un passatempo innocente, ma finisce sempre col diventare una pericolosa malattia. La febbre non risparmia Nicola.

«Più volte mi soffermavo a domandarmi se stavo sbagliando – spiega - ma c'è un impulso irrazionale e inarrestabile che ti porta a tentare e ritentare». Vincere o perdere deriva esclusivamente dalla fortuna, quella fortuna che non l'ha mai baciato. La passione degenerata è stata l'origine della sua sciagura. La sua vita girava ininterrottamente attorno a quella slot machine, ci passava tutto il giorno senza rendersi conto che stava compromettendo il suo lavoro, gli affetti e la famiglia. «Molte volte, preso dallo sconforto di una perdita, mi riproponevo di non giocare più, ma poi avevo così tanta rabbia che ricominciavo. Quando si entra nel giro non si pensa a quello che si perde, ma si pensa solo a rifarsi».



Nicola accumula debiti e scuse da raccontare al rientro a casa. Tante le ripercussioni sulla sfera lavorativa e affettiva. Ogni giorno stava lì a cercare il fiato per gonfiare l'ennesima bugia, cercava un motivo per non distogliere lo sguardo dal match affidando a quelle monete la speranza di una vincita facile e immediata.

Nicola lavorava presso l'azienda del padre. I soldi non mancavano, ma al lavoro ci andava solo se gli avanzava del tempo dopo il bar. La negligenza lo porta a rovinare i rapporti con la famiglia che tanto l'aveva aiutato ad uscire dalla spirale della droga. «Oggi – dice - non li condanno, mi hanno capito e sostenuto per tanto tempo in passato. Pago inesorabilmente e silenziosamente le conseguenze dei miei errori. Grazie all'Oasi 2 ho riallacciato i rapporti con mia moglie che è la mia attuale famiglia. Lei non si è mai accorta di nulla perché ci vedevamo solo nel fine settimana. Lavorava fuori città, riuscivo a nasconderle bene il mio vizio».



Il gioco è finito. Nicola non gioca più da tre anni. «Mi sono reso conto che tutto quel denaro non lo toglievo a me, ma a mia moglie. Ho sperperato centinaia e centinaia di milioni di lire».

I videopoker gli hanno svuotato le tasche e lo hanno costretto a costruirsi un castello di menzogne. Per sua moglie ha trovato la volontà di smetterla, di chiudere quella parentesi, di accartocciare il ricordo di un giocatore caduto nella trappola. Davanti a noi, adesso, c'è un uomo forte che ha capito come la sfida più importante non si giochi davanti ad una slot machine, ma sul terreno della vita. «Quando non giochi più più, sei più sereno e tranquillo. E si vede» ci dice. E noi ora lo vediamo.

Rosa Barca
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