Vita di città
«Quella dei lavoratori Franzoni di Trani è una battaglia culturale e civile»
Lavoro: il dibattito su Traniweb è sempre vivo
Trani - martedì 30 marzo 2010
«Gentile direttore, sono un giovane studente universitario tranese. Scrivo questa lettera dopo aver letto la missiva rivolta al nostro sindaco e che aveva l'intento di richiamare l'attenzione sugli ex lavoratori della Franzoni Filati, definiti dei falsi disoccupati. Io non ho seguito sin dall'inizio la loro vicenda, ma ho cominciato (sbagliando) a prestare loro attenzione solo dopo che hanno deciso di intraprendere lo sciopero della fame (ora sospeso e, si spera, finito per sempre). Mosso da semplice curiosità, mi sono recato in Piazza della Repubblica quel fatidico lunedì, giorno in cui alcuni di loro hanno deciso di intraprendere questo tentativo estremo (a molti incomprensibile) dopo una lunga lotta finora non andata proprio a buon fine.
La prima cosa che ho potuto constatare è stato lo stesso disagio iniziale che questi uomini coraggiosi provavano nell'iniziare questa inedita mobilitazione ma anche una compattezza fra loro, nonché una organizzazione sufficiente (a prova che la loro non è una sceneggiata o un tentativo estemporaneo) anche per passare notti a volte fredde e piovose, nonostante sogni per niente tranquilli. Non hanno voluto farsi strumentalizzare da nessun partito, politico e/o candidato, e ci sono riusciti. L'ho visto con i miei occhi. A me stesso il primo giorno fu chiesto chi fossi. Per informare la cittadinanza sugli sviluppi, hanno poi allestito fuori dalla tenda un tabellone continuamente aggiornato con articoli di giornale.
Mi è capitato poi di osservare un video, girato con il telefono cellulare da uno di loro, su un momento di lavoro all'interno della fabbrica: il rumore delle macchine dava fastidio solamente ascoltato al telefonino, figuriamoci sorbirselo per diverse ore per una settimana intera nell'arco di diversi anni davanti al macchinario. Capii allora che loro avevano smesso di svolgere un lavoro che possiamo ben definire come usurante. Un lavoro che, nonostante tutto, loro rimpiangono, perché, nonostante li abbruttisse alla fine della giornata, li faceva sentire completi o, per meglio dire soddisfatti, per certi versi realizzati.
Il primo giorno non è stato molto duro, ma con il tempo (sono passato a trovarli altre volte), i morsi della fame si facevano sentire: lo si vedeva dalle loro espressioni, le quali assomigliavano a quelle di persone arrabbiate o burbere, tanto da poter dare fastidio a persone egocentriche o che semplicemente non conoscono la situazione. Questo piccolo ma combattivo gruppo di ex lavoratori, non è stato poi nemmeno tanto solo: ho potuto osservare oltre a loro amici e parenti, anche altri ex colleghi i quali, questi ultimi, pur non avendo condiviso tale strumento di lotta, non hanno mancato di far sentire la loro solidarietà e vicinanza, andando spesso e volentieri a trovarli. Commovente è stato una domenica sera, vedere le famiglie passare la serata con loro. Vergognoso è stato osservare come non sia stato dato loro ancora un bagno chimico per soddisfare i bisogni corporali e per non trascurare l'igiene fisica oltremisura.
Concludo: la loro, secondo il mio modestissimo parere, è una battaglia tanto culturale quanto civile. Culturale perché loro difendono la cultura del lavoro, sancita solennemente dal primo articolo della nostra Costituzione, e civile perché loro non si accontentano di ammortizzatori sociali (che tra l'altro stanno per terminare e sono un costo non indifferente per tutta la collettività) i quali probabilmente non bastano nemmeno per affrontare le spese correnti. Loro vogliono solo conservare la dignità di uomini e di cittadini, e lo vogliono fare lavorando per poter soddisfare sé stessi e, soprattutto le esigenze delle loro famiglie. Non può passare inosservata, né può essere tantomeno sottovalutata o presa in giro. Da nessuno. Cordiali saluti».
Lettera firmata
La prima cosa che ho potuto constatare è stato lo stesso disagio iniziale che questi uomini coraggiosi provavano nell'iniziare questa inedita mobilitazione ma anche una compattezza fra loro, nonché una organizzazione sufficiente (a prova che la loro non è una sceneggiata o un tentativo estemporaneo) anche per passare notti a volte fredde e piovose, nonostante sogni per niente tranquilli. Non hanno voluto farsi strumentalizzare da nessun partito, politico e/o candidato, e ci sono riusciti. L'ho visto con i miei occhi. A me stesso il primo giorno fu chiesto chi fossi. Per informare la cittadinanza sugli sviluppi, hanno poi allestito fuori dalla tenda un tabellone continuamente aggiornato con articoli di giornale.
Mi è capitato poi di osservare un video, girato con il telefono cellulare da uno di loro, su un momento di lavoro all'interno della fabbrica: il rumore delle macchine dava fastidio solamente ascoltato al telefonino, figuriamoci sorbirselo per diverse ore per una settimana intera nell'arco di diversi anni davanti al macchinario. Capii allora che loro avevano smesso di svolgere un lavoro che possiamo ben definire come usurante. Un lavoro che, nonostante tutto, loro rimpiangono, perché, nonostante li abbruttisse alla fine della giornata, li faceva sentire completi o, per meglio dire soddisfatti, per certi versi realizzati.
Il primo giorno non è stato molto duro, ma con il tempo (sono passato a trovarli altre volte), i morsi della fame si facevano sentire: lo si vedeva dalle loro espressioni, le quali assomigliavano a quelle di persone arrabbiate o burbere, tanto da poter dare fastidio a persone egocentriche o che semplicemente non conoscono la situazione. Questo piccolo ma combattivo gruppo di ex lavoratori, non è stato poi nemmeno tanto solo: ho potuto osservare oltre a loro amici e parenti, anche altri ex colleghi i quali, questi ultimi, pur non avendo condiviso tale strumento di lotta, non hanno mancato di far sentire la loro solidarietà e vicinanza, andando spesso e volentieri a trovarli. Commovente è stato una domenica sera, vedere le famiglie passare la serata con loro. Vergognoso è stato osservare come non sia stato dato loro ancora un bagno chimico per soddisfare i bisogni corporali e per non trascurare l'igiene fisica oltremisura.
Concludo: la loro, secondo il mio modestissimo parere, è una battaglia tanto culturale quanto civile. Culturale perché loro difendono la cultura del lavoro, sancita solennemente dal primo articolo della nostra Costituzione, e civile perché loro non si accontentano di ammortizzatori sociali (che tra l'altro stanno per terminare e sono un costo non indifferente per tutta la collettività) i quali probabilmente non bastano nemmeno per affrontare le spese correnti. Loro vogliono solo conservare la dignità di uomini e di cittadini, e lo vogliono fare lavorando per poter soddisfare sé stessi e, soprattutto le esigenze delle loro famiglie. Non può passare inosservata, né può essere tantomeno sottovalutata o presa in giro. Da nessuno. Cordiali saluti».
Lettera firmata