Eventi e cultura
“Senza Biglietto. Viaggio nella carrozza 048”: un dialogo con il giornalista Andrea Rustichelli
L’incontro è stato organizzato dal Rotary Club di Trani, alla presenza delle istituzioni, nella persona dell’assessore Lucia De Mari e si è tenuto nella biblioteca comunale “Giovanni Bovio"
Trani - lunedì 11 novembre 2024
9.28
La personale esperienza di Andrea Rustichelli è racchiusa nelle pagine del suo ultimo libro: "Senza Biglietto. Viaggio nella carrozza 048". Il codice rappresenta la malattia oncologica: da una parte incute timore e incertezza, dall'altra spalanca le porte per le cure. 048 rappresenta, quindi, simbolicamente, il numero della carrozza di un viaggio durato svariati anni, diversi interventi chirurgici e cicli di chemio.
Il viaggio durante la malattia apre una nuova prospettiva da cui guardare il mondo in maniera differente: il rapporto con i medici, che a volte perde il proprio connotato umano, quasi per un meccanismo di autodifesa del medico di fronte alla sofferenza; dall'altra parte il paziente con la sua famiglia, il suo lavoro e le sue preoccupazioni; lo stato della sanità italiana. Sono questi i tanti spunti di riflessione che sono venuti fuori dalla lettura del libro del giornalista Andrea Rustichelli, e sui quali ci si è interrogati.
La personale visione del giornalista ci restituisce uno spaccato a volte amaro sul come si affronta una malattia: lo stesso ricorda di aver incontrato, lungo il suo percorso, medici che mettono tutta la loro volontà per aiutare gli ammalati ma che, purtroppo, sono essi stessi sprovvisti di quella preparazione anche di tipo psicologico per supportare i pazienti; si è riflettuto su un problema che ancora oggi in Italia esiste, e riguarda l'approccio alla cura: non esistono ancora, in molti ospedali, delle équipe che curino a trecentosessanta gradi il paziente, non solo per intervenire sulla malattia ma, per esempio, anche sugli aspetti psicologici. Altre volte ancora, durante le sue permanenze in ospedale, ha riflettuto sullo scollamento che esiste tra le vite del personale sanitario che, sebbene impegnato nelle cure, vive comunque la sua vita, con le sue vicissitudini, e quelle dei pazienti, entrati un tunnel buio, in cui si cammina piano, annaspando e dove si guarda con preoccupazione al futuro.
Il cancro non conosce ceto, eppure con amarezza, Rustichelli ha constatato come le persone che hanno potuto accedere alle cure appartengano alle fasce sociali più abbienti; spesso, infatti, viene dimenticato un aspetto fondamentale quando si parla di cure contro il cancro: l'impossibilità di lavorare, la paura di non poter sostenere appieno le cure e gli esami diagnostici e la discriminazione che anche involontariamente si subisce, da parte dei datori, sul posto di lavoro a causa dell'assenza prolungata, a prescindere dal tipo di azienda – pubblica o privata – per cui si lavora e, ancora, una categoria di cui spesso ci si dimentica: i care giver, un termine di origine inglese che indica tutte quelle persone che si prendono cura di una persona affetta da una malattia e che richiede l'aiuto continuo per svolgere le sue attività quotidiane. La figura dei care giver divenne nota al grande pubblico durante il periodo della pandemia da Covid-19 ma nonostante il grande apporto di queste figure, spesso famigliari che sacrificano anche il loro lavoro e la parte della propria vita privata, ancora oggi non esiste per loro una vera e propria tutela, sotto tanti punti di vista – legislativo, economico e psicologico.
Sono questi i temi su cui, secondo il giornalista, c'è bisogno di grande sensibilizzazione. È per questo che, con il suo libro, Rustichelli non ha voluto raccontare il suo viaggio del dolore, come oggi è molto di moda, rifuggendo dalla retorica vuota e fine a se stessa; il suo racconto non cerca compassione ma si prefigge, con umiltà ma con tanta concretezza, di accendere i riflettori su un male che colpisce tantissime persone, ma le cui conseguenze, che pur si ripercuotono sulla vita degli ammalati e di chi si prende cura di loro, sono ancora quasi del tutto sconosciuti ai più.
Il viaggio durante la malattia apre una nuova prospettiva da cui guardare il mondo in maniera differente: il rapporto con i medici, che a volte perde il proprio connotato umano, quasi per un meccanismo di autodifesa del medico di fronte alla sofferenza; dall'altra parte il paziente con la sua famiglia, il suo lavoro e le sue preoccupazioni; lo stato della sanità italiana. Sono questi i tanti spunti di riflessione che sono venuti fuori dalla lettura del libro del giornalista Andrea Rustichelli, e sui quali ci si è interrogati.
La personale visione del giornalista ci restituisce uno spaccato a volte amaro sul come si affronta una malattia: lo stesso ricorda di aver incontrato, lungo il suo percorso, medici che mettono tutta la loro volontà per aiutare gli ammalati ma che, purtroppo, sono essi stessi sprovvisti di quella preparazione anche di tipo psicologico per supportare i pazienti; si è riflettuto su un problema che ancora oggi in Italia esiste, e riguarda l'approccio alla cura: non esistono ancora, in molti ospedali, delle équipe che curino a trecentosessanta gradi il paziente, non solo per intervenire sulla malattia ma, per esempio, anche sugli aspetti psicologici. Altre volte ancora, durante le sue permanenze in ospedale, ha riflettuto sullo scollamento che esiste tra le vite del personale sanitario che, sebbene impegnato nelle cure, vive comunque la sua vita, con le sue vicissitudini, e quelle dei pazienti, entrati un tunnel buio, in cui si cammina piano, annaspando e dove si guarda con preoccupazione al futuro.
Il cancro non conosce ceto, eppure con amarezza, Rustichelli ha constatato come le persone che hanno potuto accedere alle cure appartengano alle fasce sociali più abbienti; spesso, infatti, viene dimenticato un aspetto fondamentale quando si parla di cure contro il cancro: l'impossibilità di lavorare, la paura di non poter sostenere appieno le cure e gli esami diagnostici e la discriminazione che anche involontariamente si subisce, da parte dei datori, sul posto di lavoro a causa dell'assenza prolungata, a prescindere dal tipo di azienda – pubblica o privata – per cui si lavora e, ancora, una categoria di cui spesso ci si dimentica: i care giver, un termine di origine inglese che indica tutte quelle persone che si prendono cura di una persona affetta da una malattia e che richiede l'aiuto continuo per svolgere le sue attività quotidiane. La figura dei care giver divenne nota al grande pubblico durante il periodo della pandemia da Covid-19 ma nonostante il grande apporto di queste figure, spesso famigliari che sacrificano anche il loro lavoro e la parte della propria vita privata, ancora oggi non esiste per loro una vera e propria tutela, sotto tanti punti di vista – legislativo, economico e psicologico.
Sono questi i temi su cui, secondo il giornalista, c'è bisogno di grande sensibilizzazione. È per questo che, con il suo libro, Rustichelli non ha voluto raccontare il suo viaggio del dolore, come oggi è molto di moda, rifuggendo dalla retorica vuota e fine a se stessa; il suo racconto non cerca compassione ma si prefigge, con umiltà ma con tanta concretezza, di accendere i riflettori su un male che colpisce tantissime persone, ma le cui conseguenze, che pur si ripercuotono sulla vita degli ammalati e di chi si prende cura di loro, sono ancora quasi del tutto sconosciuti ai più.