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Vita di città

Un caffè con la prof. Pina Tota parlando di scuola e cultura 

Un bilancio di ben quarantacinque anni di instancabile attività a favore dei bambini e delle famiglie, sia nel lavoro che nel volontariato

A poche settimane dal suo pensionamento, abbiamo intervistato la professoressa Pina Tota davanti ad una tazza di caffè, parlando di scuola, sfide personali e futuro per giovani. Abbiamo fatto un bilancio di ben quarantacinque anni di instancabile attività a favore dei bambini e delle famiglie, sia nel lavoro che nel volontariato.

Professoressa Tota, qual è stata la sua missione da preside?
La mia missione è stata quella di essere al servizio della comunità scolastica e, insieme a tutti coloro che sono intervenuti, i genitori, gli insegnanti, i collaboratori e, in primis, i protagonisti, cioè i bambini, si sono vissute delle bellissime esperienze formative.

- Qual è stato il suo rapporto con i professori? E quale quello con i bambini?
Credendo nella priorità di vivere la scuola come comunità educante l'aspetto relazionale è stato – ed è per me – fondamentale, unitamente alle qualità professionali delle persone. Pertanto, con i docenti, si è costruito un rapporto che fosse improntato alla ricerca della qualità delle prestazioni professionali, perché i minori, i bambini, gli alunni hanno diritto ad avere il meglio; quindi, con i docenti si è lavorato perché tutti gli interventi per tutti i bambini potessero essere di qualità.
Oltre al rapporto formale che si crea tra un dirigente e i docenti ho sempre ritenuto importante l'aspetto dell'empatia: incontrare le persone, intessendo una comunicazione che potesse essere quanto più possibile improntata alla stima reciproca e al lavoro insieme. È fondamentale che il docente veda nel dirigente una persona con cui poter dialogare su ogni tipo di criticità che si può incontrare nell'azione educativa, perché è importante, secondo me, tenere sempre la porta aperta. La caratteristica della mia vita quotidiana è sempre stata quella di avere una porta aperta; non è solo un segno fisico, ma significa avere sempre la disponibilità all'ascolto, alla comprensione e anche alla ricerca delle soluzioni più idonee per eventuali problemi.
Per quanto riguarda il rapporto con i bambini, sono convinta che per loro la scuola debba essere innanzitutto un'esperienza positiva; dal punto di vista emotivo il bambino che sale le scale dell'edificio scolastico non deve avere l'ansia di sapere che ci sia qualcuno che gli chiederà uno standard di prestazioni; il bambino deve sapere che troverà qualcuno che gli sorriderà, a tutti i livelli, che è pronto ad ascoltarlo e che lo guardi negli occhi; i tempi di ascolto per loro sono fondamentali perché ci permettono di capire le peculiarità di ciascuno ed eventuali difficoltà. Questo va di pari passo con i rapporti professionali con i docenti, ma io pongo sempre l'accento sulla formazione, che è fatta certamente di istruzione, ma questa ne è una sola componente. Quindi, se l'accento è sulla formazione integrale della persona, significa che la nostra attenzione e azione devono essere rivolte alla persona in toto. Questa è la base per cui i rapporti interpersonali con bambini devono essere atti a dare loro un porto sicuro. Poi tutte le acquisizioni, le conoscenze, le abilità e le competenze si apprenderanno, ma è fondamentale che ci sia questo rapporto di fiducia e di affetto.


- Preside, parliamo dei suoi hobby: quali sono? E come è riuscita a trasmetterli ai suoi bambini?
Io non ho hobby intesi in modo classico. Nel tempo libero sono impegnata nel volontariato, a tanti livelli, con un occhio particolare sempre per la sfera educativa; ho cercato di testimoniare nella vita scolastica questo aspetto fondamentale dell'attenzione all'altro e, di conseguenza, ho promosso delle esperienze per i bambini che potessero far loro aprire degli orizzonti più grandi, e insegnando che anche chi ha difficoltà – per motivi fisici o per problemi economici e sociali – merita di vivere una vita bella.

- Qual è stata l'iniziativa più bella al quale la scuola ha partecipato?
Questa è una domanda molto difficile a cui rispondere, perché ogni esperienza ha un colore diverso, ha un sapore diverso. Potrei parlare delle esperienze semplici, quelle vissute tutti i giorni; per esempio, le esperienze di inclusione di bambini con grandissime problematiche. La consapevolezza di riuscire, nel nostro ambito, a strappare un sorriso a quel bambino, penso che possa regalare degli attimi di gioia che restano nella mente. E poi, le attività didattiche e progettuali che hanno permesso a me, agli insegnanti e agli alunni di vivere tantissime belle esperienze. Si potrebbe ancora parlare dei PON, i progetti europei che hanno proposto ai bambini, ai docenti e a me esperienze diversificate e molto coinvolgenti: dall'approccio alla vela al liberare le tartarughe in mare; dalla rappresentazione teatrale nel castello svevo che ricorda Federico II alle esperienze fatte con la robotica anche con i bambini più piccoli. Non riesco a trovare un'esperienza più bella in assoluto. Credo che la ricchezza della vita vissuta nella scuola sia una ricchezza che ha mille sfaccettature.

- Quale invece la sfida più grande per lei come preside?
La sfida più grande è stata quella di dare un senso all'"essere scuola" e non al "fare scuola" nel quotidiano. È stata la ricerca costante di trovare risposte alle esigenze, alle peculiarità di ciascuno, perché ognuno è diverso e ricco delle sue imperfezioni. È chiaro che tutto ciò si può realizzare grazie alle caratteristiche professionali di tutti quelli che operano, che devono essere eccellenti; e posso assicurare che ogni singola persona che ho incontrato sulla mia strada aveva queste caratteristiche.

- Ci sono stati momenti in cui ha pensato di non farcela o di non sentirsi all'altezza della situazione?
Per il carattere mio, non mi fermo mai davanti alle sfide; è chiaro che ci possono essere momenti problematici, in cui si incontrano delle difficoltà, magari non previste; in quei momenti si segna un po' il passo ma mai ho pensato di mollare.
Sarei presuntuosa se pensassi di aver svolto al cento per cento in maniera eccellente il mio ruolo; avendo la consapevolezza di non essere infallibile, posso dire che ho fatto di tutto perché le mie scelte e azioni quotidiane potessero essere indirizzate verso le decisioni migliori nelle diverse situazioni che ho dovuto affrontare.


- Ora che è in pensione continuerà a seguire il mondo scolastico?
Sento sempre il richiamo del mondo scolastico. Ho vissuto per quarantacinque anni all'interno della scuola e l'ho vissuta a 360 gradi. Accanto a questo, come accennavo prima, nelle mie azioni di volontariato e azione sociale mi sono sempre impegnata per i minori, per i bambini in difficoltà e per gli aspetti genitoriali. È questo che sicuramente metterò a disposizione di qualunque organizzazione o associazione che dovesse aver bisogno di un mio contributo, sempre volontario.

- Cosa direbbe a quei ragazzi che vogliono intraprendere la strada dell'insegnamento?
Ai ragazzi che vogliano intraprendere la strada dell'insegnamento direi: "sarà sicuramente un'avventura stupenda; non dimenticate mai della grande responsabilità che si ha perché la relazione e l'interazione con dei bambini o dei ragazzi comporta per ciascuno di noi essere adulti significativi, ovverosia vivere costantemente, pensando che chi ci è accanto potrà vedere in noi un esempio."

- Crede che le istituzioni abbiano abbandonato o tradito i giovani?
Non penso; credo che le istituzioni non abbiano dimenticato i giovani. Ritengo che in alcuni casi dovrebbero fermarsi e innanzitutto conoscere, porsi in un atteggiamento di ascolto. Molti giovani, ma purtroppo - in questa epoca - anche tanti adulti, sperimentano un forte disagio e male di vivere; se da una parte questi hanno il bisogno di sentirsi protagonisti, tuttavia necessitano di punti di riferimento che possano essere, a prescindere dal ruolo che l'adulto riveste, e ancora di più nel caso dei maestri e dei professori, una guida a cui potersi rivolgere nei momenti in cui si vive una situazione problematica. È chiaro che ci dovrà essere l'azione della conoscenza, dell'istruzione, dell'essere a fianco per favorire l'apprendimento, e di attenzione alla psicologia. Ci sono stati diversi episodi tragici che hanno coinvolto ragazzi giovanissimi e spesso ci si chiede se a scuola i docenti si fossero resi conto della situazione di disagio dei ragazzi protagonisti, loro malgrado, di queste tragedie. Non posso pensare che le scuole frequentate da questi ragazzi fossero non attente, diciamo che servirebbe anche la figura di esperti psicologi e di sportelli ad hoc all'interno delle scuole, perché questo possa essere un supporto non solo agli alunni ma anche ai docenti, giacché molte volte questi ultimi intercettano delle situazioni di disagio ma hanno difficoltà a capire come gestirle.

- Cosa consiglia alle generazioni future? Come incoraggerebbe i giovani che spesso si trovano a fare i conti con la frustrazione di non riuscire a raggiungere i loro obiettivi e vedono spesso il davanti a loro?
Direi a tutti i ragazzi di perseguire i loro sogni; di essere perseveranti e di non fermarsi mai davanti agli ostacoli che la vita può sempre porre.
Ho sempre detto ai bambini delle quinte classi delle scuole elementari quando li salutavo: "volate sempre in alto e non permettete a nessuno di tarparvi le ali."
Non possiamo pensare di eliminare totalmente il senso di difficoltà che in alcune fasi della loro vita i giovani vivono: sarebbe utopico. Bisogna dare loro gli strumenti necessari affinché possano superare quei momenti di sconforto e, certamente, dal punto di vista della scuola bisognerà accompagnare questi ragazzi stando al loro fianco perché possano ritrovare l'autostima che è fondamentale in ogni campo, non solo nella scuola.
Quando si affacciano al mondo del lavoro sarebbe fondamentale anche l'intervento di quelle agenzie, che dovrebbero funzionare, e che possano realmente dare loro degli spiragli per il loro futuro.
Accanto a tutto ciò si deve cercare di fortificarli dal punto di vista della scoperta di sé e dei grandi doni che ciascuno ha; perché soltanto quella consapevolezza di valere tanto – perché ciascuno è uno e irripetibile –può essere la molla che aiuta a spiccare il volo, o una chiave di lettura della propria vita. Molto spesso i bambini e gli adolescenti perdono un po' di vista il proprio valore; magari si svendono un po' nel gruppo, nel gregge, pensando che "tutti fanno così"; bisogna fortificarli da questo punto vista. Ognuno è dotato di una mente per pensare e ciascuno non deve omologarsi all'altro bensì relazionarsi all'altro. Potrà intessere rapporti grandissimi, ci sarà affetto reciproco ma senza svilire la peculiarità di ciascuno.
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