Eventi e cultura

"Vincent Van Gogh, i colori dell'anima". Appuntamento con il teatro

Trani di scena 2006. Direzione artistica di Marco Pilone.

TEATRO
Mercoledì 23 agosto 2006 – Monastero di Colonna – ore 21
Compagnia Teatro Duse

VINCENT VAN GOGH I colori dell'anima
Scritto, interpretato e diretto da Lino De Venuto La rappresentazione, liberamente tratta dall'epistolario "Lettere a Theo" e sorretta da una certosina ricerca condotta anche in Olanda, è, in forma di flash-back, un suggestivo viaggio interiore nell'uomo Van Gogh, uno dei protagonisti più sconcertanti e più autentici dell'arte moderna. La presenza di aspetti del pittore poco noti al grande pubblico, l'immediatezza del linguaggio, la fisicità e l'energia dell'interpretazione, l'intreccio serratissimo tra arte e vita, l'ipersensibilità, l'incontenibile e vitale creatività di un personaggio scomodo e disarmante, il forte impatto emozionale, danno vita ad uno spettacolo di grande intensità e attualità. Confesso subito che provo simpatia per gli individui non ben adattati: Van Gogh felice, in pace con i suoi contemporanei e soprattutto con se stesso, non avrebbe dipinto così amorevolmente, forse, non avrebbe dipinto, né scritto. Così non è stato, purtroppo per lui, per fortuna per noi. E' innegabile che molte delle sue vicende personali possano interessare una cartella clinica ma prima di tutto interessano, ancor prima della stessa pittura, il percorso della poesia, quella poesia senza tempo, che sparge dubbi, che interroga le coscienze. Le 874 lettere di Vincent, delle quali 668 scritte a Theo, suo straordinario fratello, sono uniche e sconvolgenti, sagge e brutali, dolci e crudeli, sono la rivelazione di un mondo interiore sterminato, una testimonianza universale tra le più commoventi, all'altezza dei testi più elevati. Oggi vaghiamo con lo sguardo sulle sue tele, cercando anche i segni della follia ma in genere preferiamo ignorare la voce di quest'uomo, il suo grido di libertà, questa vita sregolata, ferita, palpitante in tutti i sensi, la vita di un uomo che ha amato senza essere amato; di fronte a questo "suicidato della società" si avverte un certo disagio, come se paradossalmente, a distanza di oltre un secolo, ci sentissimo anche noi in qualche misura colpevoli della sua tragica fine. Ma se solo fossimo un po' più disponibili a sentirla questa voce, quelle lettere potrebbero essere indirizzate anche a noi, freddi e spassionati uomini del duemila. Vincent, con il suo caratteraccio, ora rude e prepotente, ora timido, vulnerabile e goffo, balbetta le sue insicurezze, monologa, dialoga, ci parla, non tanto con le parole, in fondo le teme, ci parla con le sue anime e con il suo corpo da orso bastonato, incapace di star fermo, che si sposta di continuo, cambia direzione, peregrina di qua e di là, cade, si rialza, tenta disperatamente di emergere dalle tenebre verso la luce. Lotta lui, povero predicatore pazzo, per i poveri minatori, si spoglia di tutto, dona loro quel che ha, veste come loro, vuole salvarli dal dolore, consolarli, da buon samaritano li assiste, li cura, con un amore così sconfinato da lasciare sbigottiti gli stessi beneficiati e interdette le gerarchie ecclesiastiche. E più tardi lotta per Sien, la donna prostituta con cui vive, vuole salvarla questa "sorella nell'emarginazione", sottrarla alla vergogna del marciapiede, redimerla, e intanto si sfoga, ci scaglia addosso le incomprensioni con la sua famiglia, ci confessa senza remore né veli, le sue (nostre?) difficoltà-inquietudini, le sue (nostre?) contraddizioni, i suoi (nostri?) sensi di colpa. E lotta anche da pittore, Vincent, vuole salvare l'arte dalle sclerotiche accademie che ingessano e mortificano la creatività individuale, dagli empi mercanti che con il loro basso commercio alimentano il cattivo gusto del pubblico. Che desolante attualità! E intanto, tra litigi rabbiosi, crisi ed estasi, trasferisce nelle magiche sinfonie colorate delle sue tele questa sua ansia di salvare il mondo, davanti ad un semplice campo di grano, davanti al dio-sole, gioisce e sogna come un fanciullo, al cospetto ravvicinato di un filo d'erba, di una corteccia d'ulivo, di umide radici, di una misera panca, si incanta, si fonde con essi, ci fa dono della festa miracolosa della vita, della linfa primordiale che spinge avanti il creato, ci colora la sua anima. Van Gogh, pittore folle, aste folli, prezzi folli: ci si lava la coscienza così, e così sarà irrimediabilmente per tutti i futuri Van Gogh che abiteranno la terra, l'immagine dell'artista maledetto si stravende, se poi è anche rozzo, ispirato e un po' martire, suo malgrado, ancora meglio!. Strano destino per Vincent, considerato in vita poco più poco meno che un artista fannullone, un po' tocco e un po' vampiro, vissuto alle spalle del buon Theo; era un pessimo amministratore di se stesso Vincent, regalava le sue tele a chiunque le degnasse di un po' di attenzione, altro che faraoniche mostre ed esposizioni, quotazioni alle stelle, le sue "notti stellate", lui, le avrebbe ammucchiate su una bancarella qualsiasi di un qualsiasi mercato rionale e (s)vendute, se mai fosse riuscito a farlo, alla gente di strada, quella che lui amava, ma per "quattro soldi", giusto per rifornirsi di altri gialli, blu, verdi e rossi e tornare ad imbrattare le sue rutilanti tele. E' solo colpevole di questo, Vincent, di aver voluto vivere dipingendo, facendo cioè semplicemente, con amore, il suo umile lavoro di monaco-pittore, per cui era nato. Ma noi uomini più semplici, non corrotti dalle perverse logiche di mercato, noi che oggi in massa maciniamo chilometri e chilometri per emozionarci davanti alla forza esplosiva e pulsante dei suoi quadri, viene da chiedersi se noi, gente di strada, gente comune, riusciamo veramente ad amare Vincent o solo più umanamente a capirlo? Lui, così estremo, assoluto, noi così relativi.Ingresso € 5,00
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