Agorà
La politica, senza ideale, muore
Ho incontrato più di un tranese con cui ho scambiato qualche idea...
domenica 7 agosto 2011
Dopo le prime due scorse riflessioni ho incontrato più di un tranese con cui ho scambiato qualche idea. Il primo commento che mi viene spontaneo è questo: più di qualcuno oppone «una politica del fare» a «una politica del pensare». Quasi nessuno ha tirato in ballo la parola più importante della politica: «ideale». Sembra essere diventata una parolaccia.
Qualche amico ha inteso soltanto segnalare che si premiamo le persone di azione piuttosto che quelli che aggrottano la fronte per parere intelligenti, spendendo facili paroloni senza combinar niente. Del resto a degli amministratori si chiede innanzitutto di essere efficaci nelle scelte e nelle soluzioni. Ma quella opposizione tra fare e pensare in politica può risultare fuorviante. E comoda maschera per uno strano vuoto. E' un'opposizione fasulla e che in realtà non esiste.
E' pericoloso presentare l'azione politica come attività semplice, elementare, per cui bastano buona volontà e muscoli. Ciò induce a sperare che sempre arrivi l'uomo forte, il ducetto che in quattro e quattr'otto sistema le cose. Il quale uomo forte giustifica molto spesso con la necessità di fare la copertura di certi interessi o peggio certe ingiustizie. D'altra parte la odiosa supponenza, la posa da più intelligente della classe è una delle astuzie più banali per ingannare la fiducia del popolo.
Il politico tende a presentarsi come una specie di amministratore di condominio, oppure come un buon manutentore affacendato. Qualcuno come un pensoso portinaio. Ma in pochi casi si fa riferimento ad un ideale. Forse non sanno più cos'è oppure hanno confuso l'ideale del bene e di giusto che anima il cuore di ogni uomo con le loro ideologie cambianti. Hanno confuso l'ideale con le loro quattro ideuzze. O l'hanno talmente svenduto, immiserito con affari, carrierucce che se ne parlano fanno subito la figura dei tromboni o dei furbi. Ma la politica senza ideale muore. E il paese diviene un'insieme di piccoli gruppi, geniali nell'arrangiarsi e a rovesciare situazioni sfavorevoli.
Per una vera ripresa occorrerà un forte richiamo ideale e personalità che lo possano sostenere. E quel che servirà non saranno solo amministratori o filosofi. Ma uomini impegnati per un ideale. Pochi conoscono le seguenti cifre: nel 1861 gli elettori ammessi al voto furono 418.696, pari all'1,9% della popolazione, i votanti effettivi furono 239.583, pari allo 0,9% della popolazione; furono eletti al primo Parlamento italiano 85 nobili, 72 notabili, 52 professori universitari e 28 alti ufficiali dell'esercito; era analfabeta il 54% della popolazione del Nord, il 75% del Centro e il 90% del Sud. Era un contesto storico, che rifletteva la realtà di millenni dominati da una minoranza di privilegiati. La maggioranza della popolazione, più che essere un soggetto della società, era «un oggetto a disposizione dei benefattori», come Gesù defini ironicamente i governanti nel corso dell'ultima cena con gli apostoli. Di qui povertà diffusa e vita disumana per quasi tutti.
Don Sturzo chiamò il suo programma politico con una parola di nuovo conio (Popolarismo), perchè egli prevedeva che, dopo millenni dominati dai benefattori, il futuro sarebbe appartenuto al popolo sovrano. Ma in Italia siamo ancora lontani da questo giusto obiettivo, perchè gli italiani - a causa di una classe politica non ancora all'altezza del suo compito per gravi lacune morali e culturali - si sentono ben poco sovrani. Lo dimostra anche il crescente tasso di assenteismo alle elezioni. E' tempo che i benefattori capiscano che il loro compito non è di stare a tavola, ma di servire, come raccomandava Gesù agli apostoli e come Don Sturzo richiedeva ai cattolici impegnati in politica.
La sconfitta non piace a nessuno. Ma può essere una maestra di vita migliore del successo. Certo, perdere non piace. Certo, dare il meglio di sè per provare a vincere è fisiologico e sarebbe contro natura ragionare diversamente. Ma è altrettanto vero che educare alla vita, allo stare insieme, fa guardare alle sconfitte in un altro modo: non drammi ma occasioni necessarie e indispensabili per crescere. Parlare chiaro, accettare il confronto a viso aperto, forti delle ragioni e della cultura che ci accomuna. Oggi potrebbe servire un contropiede, dove quel «giocare in contropiede» significa rilanciare sui valori e confermare una presenza. Presenti per mettere in campo tutte le potenzialità che la politica offre, recuperando quei valori che talvolta si perdono lungo il cammino. Una politica come strumento per far incontrare i valori veri della vita e per far crescere la speranza delle persone.
Come cristiani non possiamo pensare alla vita religiosa solo dentro alla dimensione dello spirituale. Nessuno è esentato dal collaborare secondo le proprie capacità, al raggiungimento e allo sviluppo della comunità. Con umiltà e mitezza, competenza e trasparenza, lealtà e rispetto verso gli avversari, preferendo il dialogo allo scontro, rispettando le esigenze del metodo demoratico, sollecitando il consenso più largo possibile per l'attuazione di ciò che obiettivamente è un bene per tutti. Non è possibile che il mondo della politica vada per una strada e il mondo del cittadino vada per una altra direzione. Si avverte la necessità di ricominciare, di assumersi le proprie responsabilità e di favorire un confronto sereno.
La settimana prossima è mia intenzione proporre un decalogo per la città ed i suoi protagonisti e politici. I modelli di società che abbiamo costruito ci offrono uomini e donne che si vendono per il successo, che mentiscono a man salva, che si compromettono, che esaltano la furbizia e il denaro, che seguono l'onda dominante, che ingannano e prevaricano. In politica come in altri ambiti della vità. Bisogna avere il coraggio di ritrovare ancora un sussulto di dignità. Non promettendo però quello che non si potrà mantenere perchè è difficile tracciare una linea di demarcazione netta tra la promessa e l'inganno. Siamo veramente capaci di esercitare le tre modalità fondamentali della persona matura, il pensare, il contemplare, l'agire? Forse le pratichiamo ma spesso in maniera dissociata. Quante volte facciamo senza pensare, riflettiamo senza poi agire, sostiamo a contemplare ma scivolando solo nel vuoto e nell'inerzia. Per il nostro futuro, per essere persone e non semplici esseri.
Qualche amico ha inteso soltanto segnalare che si premiamo le persone di azione piuttosto che quelli che aggrottano la fronte per parere intelligenti, spendendo facili paroloni senza combinar niente. Del resto a degli amministratori si chiede innanzitutto di essere efficaci nelle scelte e nelle soluzioni. Ma quella opposizione tra fare e pensare in politica può risultare fuorviante. E comoda maschera per uno strano vuoto. E' un'opposizione fasulla e che in realtà non esiste.
E' pericoloso presentare l'azione politica come attività semplice, elementare, per cui bastano buona volontà e muscoli. Ciò induce a sperare che sempre arrivi l'uomo forte, il ducetto che in quattro e quattr'otto sistema le cose. Il quale uomo forte giustifica molto spesso con la necessità di fare la copertura di certi interessi o peggio certe ingiustizie. D'altra parte la odiosa supponenza, la posa da più intelligente della classe è una delle astuzie più banali per ingannare la fiducia del popolo.
Il politico tende a presentarsi come una specie di amministratore di condominio, oppure come un buon manutentore affacendato. Qualcuno come un pensoso portinaio. Ma in pochi casi si fa riferimento ad un ideale. Forse non sanno più cos'è oppure hanno confuso l'ideale del bene e di giusto che anima il cuore di ogni uomo con le loro ideologie cambianti. Hanno confuso l'ideale con le loro quattro ideuzze. O l'hanno talmente svenduto, immiserito con affari, carrierucce che se ne parlano fanno subito la figura dei tromboni o dei furbi. Ma la politica senza ideale muore. E il paese diviene un'insieme di piccoli gruppi, geniali nell'arrangiarsi e a rovesciare situazioni sfavorevoli.
Per una vera ripresa occorrerà un forte richiamo ideale e personalità che lo possano sostenere. E quel che servirà non saranno solo amministratori o filosofi. Ma uomini impegnati per un ideale. Pochi conoscono le seguenti cifre: nel 1861 gli elettori ammessi al voto furono 418.696, pari all'1,9% della popolazione, i votanti effettivi furono 239.583, pari allo 0,9% della popolazione; furono eletti al primo Parlamento italiano 85 nobili, 72 notabili, 52 professori universitari e 28 alti ufficiali dell'esercito; era analfabeta il 54% della popolazione del Nord, il 75% del Centro e il 90% del Sud. Era un contesto storico, che rifletteva la realtà di millenni dominati da una minoranza di privilegiati. La maggioranza della popolazione, più che essere un soggetto della società, era «un oggetto a disposizione dei benefattori», come Gesù defini ironicamente i governanti nel corso dell'ultima cena con gli apostoli. Di qui povertà diffusa e vita disumana per quasi tutti.
Don Sturzo chiamò il suo programma politico con una parola di nuovo conio (Popolarismo), perchè egli prevedeva che, dopo millenni dominati dai benefattori, il futuro sarebbe appartenuto al popolo sovrano. Ma in Italia siamo ancora lontani da questo giusto obiettivo, perchè gli italiani - a causa di una classe politica non ancora all'altezza del suo compito per gravi lacune morali e culturali - si sentono ben poco sovrani. Lo dimostra anche il crescente tasso di assenteismo alle elezioni. E' tempo che i benefattori capiscano che il loro compito non è di stare a tavola, ma di servire, come raccomandava Gesù agli apostoli e come Don Sturzo richiedeva ai cattolici impegnati in politica.
La sconfitta non piace a nessuno. Ma può essere una maestra di vita migliore del successo. Certo, perdere non piace. Certo, dare il meglio di sè per provare a vincere è fisiologico e sarebbe contro natura ragionare diversamente. Ma è altrettanto vero che educare alla vita, allo stare insieme, fa guardare alle sconfitte in un altro modo: non drammi ma occasioni necessarie e indispensabili per crescere. Parlare chiaro, accettare il confronto a viso aperto, forti delle ragioni e della cultura che ci accomuna. Oggi potrebbe servire un contropiede, dove quel «giocare in contropiede» significa rilanciare sui valori e confermare una presenza. Presenti per mettere in campo tutte le potenzialità che la politica offre, recuperando quei valori che talvolta si perdono lungo il cammino. Una politica come strumento per far incontrare i valori veri della vita e per far crescere la speranza delle persone.
Come cristiani non possiamo pensare alla vita religiosa solo dentro alla dimensione dello spirituale. Nessuno è esentato dal collaborare secondo le proprie capacità, al raggiungimento e allo sviluppo della comunità. Con umiltà e mitezza, competenza e trasparenza, lealtà e rispetto verso gli avversari, preferendo il dialogo allo scontro, rispettando le esigenze del metodo demoratico, sollecitando il consenso più largo possibile per l'attuazione di ciò che obiettivamente è un bene per tutti. Non è possibile che il mondo della politica vada per una strada e il mondo del cittadino vada per una altra direzione. Si avverte la necessità di ricominciare, di assumersi le proprie responsabilità e di favorire un confronto sereno.
La settimana prossima è mia intenzione proporre un decalogo per la città ed i suoi protagonisti e politici. I modelli di società che abbiamo costruito ci offrono uomini e donne che si vendono per il successo, che mentiscono a man salva, che si compromettono, che esaltano la furbizia e il denaro, che seguono l'onda dominante, che ingannano e prevaricano. In politica come in altri ambiti della vità. Bisogna avere il coraggio di ritrovare ancora un sussulto di dignità. Non promettendo però quello che non si potrà mantenere perchè è difficile tracciare una linea di demarcazione netta tra la promessa e l'inganno. Siamo veramente capaci di esercitare le tre modalità fondamentali della persona matura, il pensare, il contemplare, l'agire? Forse le pratichiamo ma spesso in maniera dissociata. Quante volte facciamo senza pensare, riflettiamo senza poi agire, sostiamo a contemplare ma scivolando solo nel vuoto e nell'inerzia. Per il nostro futuro, per essere persone e non semplici esseri.