Apatheia

21 dicembre 2012

Più che la fine del mondo auspico la fine di un mondo

Riusciamo ad unirci solo per fare battaglie impossibili, riusciamo a fare appelli accorati da balconi romantici, catene umane, solo per richieste poetiche che non saranno mai esaudite. Così promettiamo battaglie all'ultimo sangue per un ospedale che ormai è privo anche dell'ultima goccia perché la ferita è inveterata ma non facciamo battaglia, ad esempio, all'acquisto di cacciabombardieri che costano più di un ospedale o agli stipendi dei dirigenti e dei politici, alle loro pensioni. La battaglia contro una decisione presa ai vertici nazionali, si fa abbandonando i partiti e gli uomini che condividono certe scelte accusandoli di aver tradito la volontà del loro elettore. Ma si tace e la difesa dell'ospedale diventa romantica, ricorda il campanile della cattedrale, numerato e smontato mattone dopo mattone per essere ricostruito uguale ma vigoroso, l'ospedale, invece, verrà smontato e costruito diverso ed altrove, un ospedale dove tanto i ricchi non vi andranno perché andranno, come i mattoni, altrove e i poveri, finché ci sarà e sarà così com'è diventato, vi andranno bestemmiando Dio e gli infermieri.

Così promettiamo di cacciare zingari cattivi che costringono i bambini a restare per ore al freddo ed alla pioggia ai crocevia del nostro benessere. Se li cacciamo, i bambini avranno lo stesso freddo, ma agli incroci di altri benesseri che non ci riguardano perché non li vediamo. Così promettiamo sicurezza mentre continuano a rubare dentro le nostre case ed il più delle volte non parlano italiano perché parlano il dialetto delle nostre città. Così ci azzuffiamo, facciamo primarie, traghettiamo da un partito all'altro senza né amore e né rispetto per chi ci ha delegato perché non abbiamo più idee, abbiamo dimenticato le ideologie ed abbiamo suddiviso i nostri interessi in tanti partitucoli comandati da tanti capetti che bisogna accontentare e che quando sono ormai satolli e l'avidità ha sconfinato dalla pelle, solo scegliendone uno si riesce a quietarne lievemente l'accidia per un breve periodo di tempo. È l'estetica quella che conta ma non nel senso filosofico, non nel senso di armonia ma nel senso di paravento esteriore che occulta il marcio, l'egoismo, l'interesse personale.

Questo non è sorprendente, quello che sorprende è che i ricchi, i benestanti, quelli che potevano imparare le buone maniere perché qualcosa dovevano pur fare per contrastare la noia, l'estetica non la utilizzano più per ozio ma come arma per incantare gli affamati, sembra che l'estetica, oggi, abbia un potere calorico, sembra che si possa ghermire facilmente e che ognuno possa raggiungere l'inebriamento della soverchieria. È vero, ci fa sentire sicuri l'ospedale sotto casa, lo straniero lontano da casa e le primarie per scegliere il migliore tra tanti peggiori. Ci obnubila candidamente la mente e non ci fa capire che la fame, che continua comunque ad aumentare, a far venire i crampi allo stomaco, ci a diventare stranieri di stranieri se non dei nostri stessi vicini, ci costringerà a diventare peggiori dei peggiori e non ci sarà nessuno da scegliere con nessuna gara di primarie. È con questi pensieri che attendo la fine del mondo, quasi mi piace l'idea di uno "sgombero" di questo enorme campo che a noi sembra più pulito e meno puzzolente di altri. Sinceramente, più che la fine del mondo, auspico la fine di un mondo.

Menomale che il 21 dicembre non sono di turno.
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La rubrica di Rino Negrogno

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