Apatheia
Carità e integrazione: parliamone
Rino Negrogno risponde a Giovanni Ronco
venerdì 10 maggio 2013
10.10
Ho troppe cose in mente tant'è che avevo deciso di non scrivere anche perché ogni volta che scrivo una decina di persone mi tolgono il saluto ed è normale, è fisiologico, è il minimo sindacale se vuoi dire la verità. Così è da un'ora che, dopo aver scritto questa prima frase, riduco ad icona il programma di videoscrittura, lo ripristino e bivacco tra siti web e fotografie del Che, mi soffermo sul Cristo morto del Mantegna e poi torno a scrivere. Lo so che non è di buon auspicio. Poi Giovanni Ronco che mi onora chiedendo pubblicamente nella sua rubrica un parere su certe questioni delicate è un segnale inequivocabile ed è il secondo da questa mattina. Infatti un noto ed importante personaggio tranese di cui non posso fare il nome per rispettare la sua vita privata, alle prime luci dell'alba mi ha chiesto, in confidenza, cosa pensassi dell'incontro tra le genti dell'ospedale.
Ma in sole ventiquattrore mi sono capitate troppe cose ed è difficile metterle in ordine ma vorrei parlarvi di tutto, farvene almeno un cenno. Comincerò da giovedì notte, una maledetta notte. Non ne avrei parlato se la notizia non fosse già stata resa nota dai giornali, non ne avrei parlato per rispetto, per dolore. Stanotte un uomo è morto dopo essere stato investito da un treno. Non sappiamo cosa sia accaduto, non sappiamo se quell'uomo si sia gettato volontariamente sotto il treno o vi sia finito accidentalmente. Che dolore vedere quell'uomo tranciato, diviso in due. Sembrava avesse diviso in due ogni cosa perché una parte di lui sembrava serena, sembrava dormisse mentre l'altra sembrava preoccupata, sembrava spaventata. Ho creduto che avesse diviso in due le sue cose, la sua storia, i suoi problemi, la sua disperazione, la sua vita, la sua morte. Sia per lui la terra inesistente più che lieve e per gli altri, a nessuno venga mai in mente che la fuga sia una soluzione. La soluzione è la volontà, la pretesa, con tutte le nostre forze, di quello che ci spetta, la volontà di costruire il nostro futuro, una società uguale per tutti, la volontà, in ogni momento, di ricordarlo ai governanti.
Poi, sempre giovedì notte, uno straniero, un ragazzo solo, lontano dalla sua famiglia, disperato per questa lontananza, una distanza incolmabile con quei pochi spiccioli ed oggetti senza senso conservati nel suo zaino. Una puzza tremenda, perché la disperazione, c'è poco da fare, puzza ed è meglio non vederla, quando arriva, è meglio non farsi trovare. Vagava senza meta, senza parole, senza speranza e noi, tra un infarto, un incidente ed un morto sotto un treno, gli abbiamo dato un po' di conforto. Conforto che non serve a niente.
Ora faccio un salto indietro fino al pomeriggio di giovedì. Sono andato all'ospedale per ascoltare il Direttore Generale, l'assessore Gentile ed il Sindaco Riserbato. Ho ascoltato insieme ai tranesi. Avete presente quei ristoranti raffinati che non tutti possono permettersi, quei ristoranti che se ti va bene ci vai una o due volte nella vita e menomale. Arrivano i camerieri vestiti più eleganti di te accompagnati dal maître che, dopo aver descritto poeticamente quel che sta per mostrare, chinando il capo e con un cenno delle mani invita ad alzare sincroni i coperchi dalle preziose stoviglie, terraglie che costano quasi un occhio della testa. Et voilà! E tu rimani basito nel constatare che in un piatto grande quanto un vassoio ci sono, tra le poche cose che riesci a riconoscere, tre maccheroni, 2 fili d'olio, macchie di prezzemolo e qualche traccia di pomodoro. Ma il maître nella sua presentazione raffinata aveva detto tante di quelle parole incomprensibili ma così altisonanti da farti venire l'acquolina in bocca e già sfamarti. E tu per non fare la figura del sottoproletario ignorante fai un cenno di approvazione pensando al panino che ti mangerai dopo a casa. C'è anche il vino ma costa troppo e, il vino della casa, non osi nemmeno pensare che si possa chiedere in cotanto simile sfarzo.
Spero solo che i rivoluzionari non cantino vittoria.
Solo altre due parole sull'ospedale. La sanità giusta è quella illustrata da Gorgoni. Bisogna superare il concetto di salute ospedalocentrica e promuovere la medicina sul territorio che affluisca in ospedali fatti bene e non si disperda in tanti ospedaletti fatti così così. È la sanità che deve andare dal paziente e non il contrario. Certo è che bisognava farlo in un sol colpo, non da Trani a Bisceglie ma da tanti ospedaletti piccini ad un unico, grande ed efficiente ospedale, senza distinzione di classe, coordinate sulla mappa o politici di turno.
Ed ora parliamo di Giovanni Ronco che ringrazio per avermi chiamato in causa ed approfitto per dirgli che leggo con grande attenzione e piacere le sue analisi. Il problema dei Rom, è difficile parlarne figuriamoci trovare una soluzione e soprattutto una soluzione condivisa. Ma tu, caro Giovanni, nel tuo articolo fai già diverse proposte condivisibili. Dici: «Cominciare ad informarsi e confrontarsi con altre realtà e amministrazioni che hanno cercato delle soluzioni; sensibilizzare la Chiesa, coinvolgere altri soggetti per cercare di sostenere almeno i minori» eccetera. Sono d'accordo con te. Nemmeno io sopporto gli zingari che bivaccano insolenti ed ubriachi in piazza mentre attendono le loro donne cariche di spiccioli, stracci, buste e bambini. Nemmeno io sopporto le zingare col pancione che passano ore ed ore al semaforo delle nostre strade. Nemmeno io sopporto i bambini agli incroci che si cibano del fumo che esce dalle marmitte delle nostre auto. Ma, come te, anch'io penso che cacciarli lontano dalla nostra vista non sia una soluzione. Resto attonito quando i nostri amici frequenti commentatori dicono che non sopportano di vedere quei poveri bambini ai semafori e che quindi bisogna cacciarli come se cacciandoli finissero in un ipotetico, rasserenante paese della cuccagna dove e soprattutto lontano dai nostri occhi, i bambini non chiedono più l'elemosina ma giocano con le loro bambole e le loro macchinine.
La chiesa può essere un valido aiuto ed io conosco tanti uomini di chiesa che non baderebbero a fedeli per farlo. Poi è arrivato un Papa che, al contrario dei suoi distratti sostenitori, sembra un uomo illuminato, più vicino all'insegnamento del rivoluzionario Gesù. Si potrebbe conceder loro degli spazi, loro non vogliono case, vogliono spazi, terre aride che nessuno vuole, res nullius, res derelictae, basterebbe farci arrivare l'acqua ed altri servizi essenziali, stabilire delle regole per continuare ad essere una città che si è sempre contraddistinta nella storia per la sua propensione all'integrazione, all'accoglienza ed alla carità.
Se avessi scritto io l'articolo della bambina rom, anziché scrivere «Oggi pomeriggio alle 16, percorrendo piazza della Repubblica dal lato delle fontane, ho assistito ad una scena raccapricciante: il solito gruppetto di zingari era attorno ad una panchina dove un signore anziano abbracciava e accarezzava una giovanissima rom» avrei scritto «Oggi pomeriggio alle 16, percorrendo piazza della Repubblica dal lato delle fontane, ho assistito ad una scena raccapricciante: un gruppo di zingari era attorno ad una panchina dove un essere inqualificabile, pervertito, anziano vecchio abbracciava e accarezzava una bambina».
Mi sono dilungato troppo, ho scritto di getto ma accetto il tuo invito Giovanni, parliamone.
Ma in sole ventiquattrore mi sono capitate troppe cose ed è difficile metterle in ordine ma vorrei parlarvi di tutto, farvene almeno un cenno. Comincerò da giovedì notte, una maledetta notte. Non ne avrei parlato se la notizia non fosse già stata resa nota dai giornali, non ne avrei parlato per rispetto, per dolore. Stanotte un uomo è morto dopo essere stato investito da un treno. Non sappiamo cosa sia accaduto, non sappiamo se quell'uomo si sia gettato volontariamente sotto il treno o vi sia finito accidentalmente. Che dolore vedere quell'uomo tranciato, diviso in due. Sembrava avesse diviso in due ogni cosa perché una parte di lui sembrava serena, sembrava dormisse mentre l'altra sembrava preoccupata, sembrava spaventata. Ho creduto che avesse diviso in due le sue cose, la sua storia, i suoi problemi, la sua disperazione, la sua vita, la sua morte. Sia per lui la terra inesistente più che lieve e per gli altri, a nessuno venga mai in mente che la fuga sia una soluzione. La soluzione è la volontà, la pretesa, con tutte le nostre forze, di quello che ci spetta, la volontà di costruire il nostro futuro, una società uguale per tutti, la volontà, in ogni momento, di ricordarlo ai governanti.
Poi, sempre giovedì notte, uno straniero, un ragazzo solo, lontano dalla sua famiglia, disperato per questa lontananza, una distanza incolmabile con quei pochi spiccioli ed oggetti senza senso conservati nel suo zaino. Una puzza tremenda, perché la disperazione, c'è poco da fare, puzza ed è meglio non vederla, quando arriva, è meglio non farsi trovare. Vagava senza meta, senza parole, senza speranza e noi, tra un infarto, un incidente ed un morto sotto un treno, gli abbiamo dato un po' di conforto. Conforto che non serve a niente.
Ora faccio un salto indietro fino al pomeriggio di giovedì. Sono andato all'ospedale per ascoltare il Direttore Generale, l'assessore Gentile ed il Sindaco Riserbato. Ho ascoltato insieme ai tranesi. Avete presente quei ristoranti raffinati che non tutti possono permettersi, quei ristoranti che se ti va bene ci vai una o due volte nella vita e menomale. Arrivano i camerieri vestiti più eleganti di te accompagnati dal maître che, dopo aver descritto poeticamente quel che sta per mostrare, chinando il capo e con un cenno delle mani invita ad alzare sincroni i coperchi dalle preziose stoviglie, terraglie che costano quasi un occhio della testa. Et voilà! E tu rimani basito nel constatare che in un piatto grande quanto un vassoio ci sono, tra le poche cose che riesci a riconoscere, tre maccheroni, 2 fili d'olio, macchie di prezzemolo e qualche traccia di pomodoro. Ma il maître nella sua presentazione raffinata aveva detto tante di quelle parole incomprensibili ma così altisonanti da farti venire l'acquolina in bocca e già sfamarti. E tu per non fare la figura del sottoproletario ignorante fai un cenno di approvazione pensando al panino che ti mangerai dopo a casa. C'è anche il vino ma costa troppo e, il vino della casa, non osi nemmeno pensare che si possa chiedere in cotanto simile sfarzo.
Spero solo che i rivoluzionari non cantino vittoria.
Solo altre due parole sull'ospedale. La sanità giusta è quella illustrata da Gorgoni. Bisogna superare il concetto di salute ospedalocentrica e promuovere la medicina sul territorio che affluisca in ospedali fatti bene e non si disperda in tanti ospedaletti fatti così così. È la sanità che deve andare dal paziente e non il contrario. Certo è che bisognava farlo in un sol colpo, non da Trani a Bisceglie ma da tanti ospedaletti piccini ad un unico, grande ed efficiente ospedale, senza distinzione di classe, coordinate sulla mappa o politici di turno.
Ed ora parliamo di Giovanni Ronco che ringrazio per avermi chiamato in causa ed approfitto per dirgli che leggo con grande attenzione e piacere le sue analisi. Il problema dei Rom, è difficile parlarne figuriamoci trovare una soluzione e soprattutto una soluzione condivisa. Ma tu, caro Giovanni, nel tuo articolo fai già diverse proposte condivisibili. Dici: «Cominciare ad informarsi e confrontarsi con altre realtà e amministrazioni che hanno cercato delle soluzioni; sensibilizzare la Chiesa, coinvolgere altri soggetti per cercare di sostenere almeno i minori» eccetera. Sono d'accordo con te. Nemmeno io sopporto gli zingari che bivaccano insolenti ed ubriachi in piazza mentre attendono le loro donne cariche di spiccioli, stracci, buste e bambini. Nemmeno io sopporto le zingare col pancione che passano ore ed ore al semaforo delle nostre strade. Nemmeno io sopporto i bambini agli incroci che si cibano del fumo che esce dalle marmitte delle nostre auto. Ma, come te, anch'io penso che cacciarli lontano dalla nostra vista non sia una soluzione. Resto attonito quando i nostri amici frequenti commentatori dicono che non sopportano di vedere quei poveri bambini ai semafori e che quindi bisogna cacciarli come se cacciandoli finissero in un ipotetico, rasserenante paese della cuccagna dove e soprattutto lontano dai nostri occhi, i bambini non chiedono più l'elemosina ma giocano con le loro bambole e le loro macchinine.
La chiesa può essere un valido aiuto ed io conosco tanti uomini di chiesa che non baderebbero a fedeli per farlo. Poi è arrivato un Papa che, al contrario dei suoi distratti sostenitori, sembra un uomo illuminato, più vicino all'insegnamento del rivoluzionario Gesù. Si potrebbe conceder loro degli spazi, loro non vogliono case, vogliono spazi, terre aride che nessuno vuole, res nullius, res derelictae, basterebbe farci arrivare l'acqua ed altri servizi essenziali, stabilire delle regole per continuare ad essere una città che si è sempre contraddistinta nella storia per la sua propensione all'integrazione, all'accoglienza ed alla carità.
Se avessi scritto io l'articolo della bambina rom, anziché scrivere «Oggi pomeriggio alle 16, percorrendo piazza della Repubblica dal lato delle fontane, ho assistito ad una scena raccapricciante: il solito gruppetto di zingari era attorno ad una panchina dove un signore anziano abbracciava e accarezzava una giovanissima rom» avrei scritto «Oggi pomeriggio alle 16, percorrendo piazza della Repubblica dal lato delle fontane, ho assistito ad una scena raccapricciante: un gruppo di zingari era attorno ad una panchina dove un essere inqualificabile, pervertito, anziano vecchio abbracciava e accarezzava una bambina».
Mi sono dilungato troppo, ho scritto di getto ma accetto il tuo invito Giovanni, parliamone.