Apatheia

Corso Imbriani 69

Chissà cosa pensano di noi quelli che vivono osservandoci

Quando ero bambino abitavo sullo stesso palazzo con mia nonna e mia zia. Noi abitavamo al quinto piano, al quarto abitava mia nonna ed al terzo mia zia. Ho goduto di questa condizione da zero a diciannove anni. Era bellissimo perché con mio fratello e mia sorella, potevamo stare sempre insieme a mia nonna, ai miei zii e soprattutto ai miei più o meno coetanei cugini. Praticamente le porte dei nostri appartamenti erano sempre aperte e noi bambini trascorrevamo la maggior parte del nostro tempo su e giù per le scale. A Natale si trasferivano tavoli, sedie e vettovaglie al quarto piano, da mia nonna, per passare le feste tutti insieme, erano tavolate da non meno di venti persone e per noi bambini era l'apoteosi.

Ma voglio raccontarvi un episodio comico e singolare legato a questo splendido periodo. Un giorno montarono all'esterno del palazzo delle impalcature per ristrutturare la facciata. Non c'era avvenimento che non venisse vissuto insieme da noi bambini. I primi giorni passammo le ore al balcone per osservare i muratori arrampicarsi sulle tavole di legno fino ad arrivare ai nostri balconi. Di mattina, siccome i miei genitori lavoravano entrambi, mia nonna era a Milano da un mio zio, mia zia, che abitava al terzo piano, andava su e giù, diffidente, per controllare i muratori. Una mattina il capomastro, da noi soprannominato Falcao per l'impressionante somiglianza al calciatore brasiliano parecchio in auge in quegli anni, si rivolgeva ai condomini del piano dove si trovava, per poter riempire un secchio con dell'acqua. Bussò al nostro balcone e prontamente mia zia gli aprì e gli riempì il secchio, terminato il lavoro scese al quarto piano e di nuovo mia zia si fece trovare per riempire il secchio. Sceso al terzo piano bussò di nuovo ai vetri del balcone ma quando vide mia zia aprire non poté trattenere il suo stupore ed esclamò in tranese: "Signò, ma ind a stu palezz, tutt la stessa fecc tneit!"

Mia zia non gli diede spiegazioni, preferì fargli credere che in quel palazzo vi fosse stata una clonazione, pur di non offenderlo facendogli intuire la diffidenza che la spingeva a seguirlo da un piano all'altro. Chissà cosa avrà raccontato ai suoi figli Falcao mentre erano a tavola: "Oggi mi è capitata una cosa davvero stravagante. Nel palazzo che stiamo ristrutturando, dal quinto al terzo piano, gli inquilini sono tutti uguali, ma completamente uguali, indossano anche gli stessi vestiti, hanno la stessa voce. Cosa sarà accaduto? Un'invasione aliena tipo quella descritta nel 'Villaggio dei dannati' di John Carpenter? Domani avrò una risposta a questo dubbio atroce perché al secondo piano la signora era diversa, domani, con una scusa andrò a controllare e saprò se l'invasione è proseguita".

L'indomani, di buon mattino, con fare circospetto, si aggirava sul nostro balcone. Dapprima vide mio padre parlare con mia madre, poi vide entrare mia zia. Si eclissò. Mia zia notò l'intruso e cominciò a raccontare a mio padre il qui pro quo. Mentre confabulavano guardavano sottecchi il capomastro, trattenendo a stento il ghigno fino a scompisciarsi senza ritegno. Falcao, spaventato, si preoccupò, più che per se stesso, per mia madre che sicuramente non era stata ancora catturata. Avrebbe voluto metterla in guardia, farle sapere dell'invasione. Ma ebbe paura di esser tacciato di pazzia. Rimase in silenzio, provando pietà per mia madre ignara che intanto usciva per andare a lavorare.

Chissà cosa pensano di noi quelli che vivono osservandoci.
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La rubrica di Rino Negrogno

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