Apatheia
Ho arato il mare
Il nostro terrore di vedere come si diventa
venerdì 8 marzo 2013
8.19
Siamo nati innocenti, eccetto alcuni che sono nati con il peccato originale, e poi cosa è accaduto? Abbiamo ascoltato le favole di principesse il cui unico sogno era sposare un principe bello e ricco, di principi il cui unico scopo era essere belli, ricchi e democraticamente annoiati, di popoli per niente incazzati di questi sovrani azzurri ed innamorati anzi, popoli festosi e senza desiderio di ribellarsi ai loro sfarzosi regni. Poi, bambini, ci siamo armati di pistole, siamo diventati cowboys ed abbiamo ucciso gli indiani armati solo di frecce, abbiamo sterminato i loro piedi neri e la loro propensione allo scotennamento ingiustificato. I sopravvissuti li abbiamo cacciati dalle loro terre a fare segnali di fumo e danze della pioggia. Da bambine siamo diventate subito mamme con le nostre bambole da accudire, ferri da stiro, scope, fornelli e se proprio volevamo fare la guerra con i fratelli dovevamo fare gli indiani. Poi sono arrivati i cartoni animati, dove il supereroe, spesso uomo bello ed affascinante, qualche volta donna sexy e coraggiosa, difendeva la terra da nemici sempre brutti, diversi ed extraterresti perché quelli belli, uguali e terresti erano solo e sempre amici che, anche se qualche volta non era chiaro il loro fare, era per il nostro bene. Improvvisamente siamo cresciuti, siamo diventati adolescenti ed in relazione agli insegnamenti, ai soldi dei nostri genitori e, conseguentemente, ai personaggi che avevamo tifato, cowboys o indiani, supereroi o marziani, siamo diventati capitalisti o socialisti, rivoluzionari o conservatori, comunisti o fascisti, utopistici o scientifici, sognatori o pragmatici, terzinterzionalisti o liberisti.
Quelli come me, di sinistra intendo, perché della destra non so bene come si articoli il percorso morale per cui non ne posso parlare, a vent'anni sono convinti che la dittatura internazionale del proletariato, quella di Trotsky, sia l'unica via possibile per poter giungere successivamente, in una condizione di rivoluzione permanente e dopo aver abolito definitivamente la differenza di classe con relativa oppressione di una sull'altra, ad una eguaglianza sociale completa, democratica e senza dittatura. Invecchiando, verso i quarant'anni, quando i sogni diminuiscono e la consapevolezza che questa età non sia stata raggiunta né da Cristo e né dal Che – per cui si può affermare che anche loro, probabilmente, avrebbero attenuato se non rivisto le loro posizioni – si comincia a passare dal desiderio di rivoluzione al illuminamento del distributismo dove la proprietà dei mezzi di produzione e delle case non è né di pochi ricchi, né dello stato ma è equamente distribuita, una rivoluzione più cristiana, evangelica, come se il principe azzurro e la principessa bramosa di principi, offrissero a fine banchetto, il loro "vivere felici e contenti" a tutto il loro popolo. A cinquant'anni, le rughe aumentano, il fiato si fa più corto e la rivoluzione permanente ci interessa meno di una vita eterna. Meglio auspicare un cambiamento graduale, meglio essere fabianisti con riforme non violente, attendere una società più evoluta oppure tuffarsi in un cieco e protettivo nichilismo da dove si possono saggiamente giudicare ogni posizione ed ogni azione. Da sessanta in poi non ce ne importa più niente e pretendiamo di spiegare ai giovani i quali, come noi un tempo, sognano la rivoluzione permanente, che è tutto tempo sprecato, che se si poteva fare l'avremmo già fatta noi.
Sarà questo che indebolisce i giovani? Il terrore di vedere come si diventa. Spesso screditiamo una rivoluzione che in realtà non abbiamo mai provato a fare. Abbiamo in qualche modo trovato un posto fisso, una moglie meno comunista tanto da non sentirsi rinfacciare il nostro subdolo maschilismo domestico, un marito ex comunista diventato un bambinone da accudire, abbiamo dei figli e, almeno noi, abbiamo una casa, abbiamo ceduto il nostro voto ad un amico o professiamo un astensionismo tutt'altro che tattico o strategico. Non come, stanco, disilluso ed amareggiato disse Simón Bolívar: "Ho arato il mare" per sintetizzare l'insuccesso della sua rivoluzione ma per giustificare una vecchiaia sopraggiunta improvvisamente mentre su Facebook postavamo coraggiosamente progetti di rivoluzione. «La rivoluzione, oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente».
Buon maccartismo post lettura.
Quelli come me, di sinistra intendo, perché della destra non so bene come si articoli il percorso morale per cui non ne posso parlare, a vent'anni sono convinti che la dittatura internazionale del proletariato, quella di Trotsky, sia l'unica via possibile per poter giungere successivamente, in una condizione di rivoluzione permanente e dopo aver abolito definitivamente la differenza di classe con relativa oppressione di una sull'altra, ad una eguaglianza sociale completa, democratica e senza dittatura. Invecchiando, verso i quarant'anni, quando i sogni diminuiscono e la consapevolezza che questa età non sia stata raggiunta né da Cristo e né dal Che – per cui si può affermare che anche loro, probabilmente, avrebbero attenuato se non rivisto le loro posizioni – si comincia a passare dal desiderio di rivoluzione al illuminamento del distributismo dove la proprietà dei mezzi di produzione e delle case non è né di pochi ricchi, né dello stato ma è equamente distribuita, una rivoluzione più cristiana, evangelica, come se il principe azzurro e la principessa bramosa di principi, offrissero a fine banchetto, il loro "vivere felici e contenti" a tutto il loro popolo. A cinquant'anni, le rughe aumentano, il fiato si fa più corto e la rivoluzione permanente ci interessa meno di una vita eterna. Meglio auspicare un cambiamento graduale, meglio essere fabianisti con riforme non violente, attendere una società più evoluta oppure tuffarsi in un cieco e protettivo nichilismo da dove si possono saggiamente giudicare ogni posizione ed ogni azione. Da sessanta in poi non ce ne importa più niente e pretendiamo di spiegare ai giovani i quali, come noi un tempo, sognano la rivoluzione permanente, che è tutto tempo sprecato, che se si poteva fare l'avremmo già fatta noi.
Sarà questo che indebolisce i giovani? Il terrore di vedere come si diventa. Spesso screditiamo una rivoluzione che in realtà non abbiamo mai provato a fare. Abbiamo in qualche modo trovato un posto fisso, una moglie meno comunista tanto da non sentirsi rinfacciare il nostro subdolo maschilismo domestico, un marito ex comunista diventato un bambinone da accudire, abbiamo dei figli e, almeno noi, abbiamo una casa, abbiamo ceduto il nostro voto ad un amico o professiamo un astensionismo tutt'altro che tattico o strategico. Non come, stanco, disilluso ed amareggiato disse Simón Bolívar: "Ho arato il mare" per sintetizzare l'insuccesso della sua rivoluzione ma per giustificare una vecchiaia sopraggiunta improvvisamente mentre su Facebook postavamo coraggiosamente progetti di rivoluzione. «La rivoluzione, oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente».
Buon maccartismo post lettura.