Apatheia
Il colpevole
Lo Stato non può essere vendicativo
martedì 10 gennaio 2012
Alcuni, pur facendo presepi, seguendo processioni, segnandosi contriti davanti alle chiese, dichiarando spavaldamente di essere timorati di Dio e trasecolando sugli sguardi degli incerti come il mio, restano indifferenti o a volte disgustati davanti alla sofferenza ed alla morte di un detenuto. «Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Gesù è stato il più grande rivoluzionario. Peccato che poi Cuba... ehm… scusate... volevo dire il Vaticano...
Vorrei che tra una persona che abbia commesso degli errori ed è stata presa e messa in galera ed una persona che non ne abbia commessi o non è stata ancora presa, non passasse alcuna differenza per quanto riguarda il diritto alla salute ed al rispetto della sua dignità.
Proviamo a considerare che la scelta tra essere onesti cittadini che rispettano la legge e non esserlo, non viene fatta da tutti con gli stessi strumenti, ponderata dallo stesso punto di osservazione o in base alle stesse conoscenze. Non tutti abbiamo a disposizione gli strumenti utili e necessari per non diventare delinquenti, impresa ancora più ardua per chi sia già «etichettato» come criminale genetico per la famiglia di provenienza. Quello che per me è inimmaginabile, aberrante può essere di routine per altri, perché hanno ricevuto dai loro genitori certi determinati strumenti e una certa cultura che è, naturalmente, intesa come giusta e sacra per il fatto di derivare da chi li ha generati e quindi da chi ha generato i loro genitori e così via.
Riflettiamo. Siamo istintivamente come chi non rispetta le leggi. Non solo potremmo diventare degli assassini per proteggere noi e la nostra famiglia ma, chissà quante volte, abbiamo commesso i nostri quotidiani, piccoli illeciti convinti che, giacché piccoli, non li veda nessuno, neanche Dio. Se per noi è sufficiente passare con il semaforo rosso, non emettere uno scontrino fiscale o una fattura per raggiungere i nostri scopi o per sopravvivere, ad un altro occorrerà rapinare una banca. Ma noi, grazie agli strumenti che ci ha donato la nostra famiglia prima e la scuola dopo e grazie a certi luoghi che, al contrario di altri, abbiamo la fortuna di frequentare, impariamo a regolare i nostri istinti e, noi sì, spesso ma non sempre, scegliamo di essere persone oneste. Con questo non voglio dire che dobbiamo perdonare tutti quelli che commettono un reato e farli uscire dal carcere, anzi. Per me bisognerebbe rieducare tutti, soprattutto quelli che passano con il semaforo rosso o non emettono fatture e scontrini. Vorrei solo dare uno spunto per una riflessione sulla genesi di una particolare condizione umana.
Capire l'origine, il perché, i contesti, non vuol dire cancellare le responsabilità ma porre dei punti di partenza diversi, nuovi per la gestione e per la nostra concezione su chi deve scontare una pena. Un signore mi dice: «Dovrebbero chiuderlo in una cella e buttare via la chiave». E poco dopo: «Le faccio uno scontrino di 5 euro ve bene?». Dovevo pagare 25 euro. Non ha rapinato una banca ma ha rapinato me perché le tasse che ha evaso le pagherò io. Ma questo è un altro discorso, ciò che conta è che il signore in questione si è eretto a giudice proprio mentre commetteva un reato.
Lo Stato non può essere vendicativo, nemmeno subdolamente, con omissioni o gestione superficiale degli eventi che riguardano persone che si trovino in condizioni diverse dalle nostre, ai confini della nostra società. Io posso essere vendicativo ed odiare chi ruba e uccide, augurargli il peggio e se coinvolto personalmente, arrivare fino alla vendetta estrema, all'omicidio per vendetta e probabilmente lo farei. Lo Stato no, non può. Lo Stato è scevro da questi nobili sentimenti, deve prendersi le sue responsabilità se uno dei suoi figli sbaglia e deve rieducarlo, anche per tutta la vita se necessario ma senza mai perdere di vista il concetto che è padre di tutti i suoi figli. Anche a chi è privato della libertà, perché deve essere rieducato, perché non in grado di gestire la sua libertà, deve essere sempre garantita l'integrità ed il rispetto della sua dignità e, ovunque egli si trovi, che sia una cella, che sia nel peggiore degli ospedali o che sia nella famiglia più disperata, gli deve essere sempre garantito la cura dei suoi mali.
Vorrei che tra una persona che abbia commesso degli errori ed è stata presa e messa in galera ed una persona che non ne abbia commessi o non è stata ancora presa, non passasse alcuna differenza per quanto riguarda il diritto alla salute ed al rispetto della sua dignità.
Proviamo a considerare che la scelta tra essere onesti cittadini che rispettano la legge e non esserlo, non viene fatta da tutti con gli stessi strumenti, ponderata dallo stesso punto di osservazione o in base alle stesse conoscenze. Non tutti abbiamo a disposizione gli strumenti utili e necessari per non diventare delinquenti, impresa ancora più ardua per chi sia già «etichettato» come criminale genetico per la famiglia di provenienza. Quello che per me è inimmaginabile, aberrante può essere di routine per altri, perché hanno ricevuto dai loro genitori certi determinati strumenti e una certa cultura che è, naturalmente, intesa come giusta e sacra per il fatto di derivare da chi li ha generati e quindi da chi ha generato i loro genitori e così via.
Riflettiamo. Siamo istintivamente come chi non rispetta le leggi. Non solo potremmo diventare degli assassini per proteggere noi e la nostra famiglia ma, chissà quante volte, abbiamo commesso i nostri quotidiani, piccoli illeciti convinti che, giacché piccoli, non li veda nessuno, neanche Dio. Se per noi è sufficiente passare con il semaforo rosso, non emettere uno scontrino fiscale o una fattura per raggiungere i nostri scopi o per sopravvivere, ad un altro occorrerà rapinare una banca. Ma noi, grazie agli strumenti che ci ha donato la nostra famiglia prima e la scuola dopo e grazie a certi luoghi che, al contrario di altri, abbiamo la fortuna di frequentare, impariamo a regolare i nostri istinti e, noi sì, spesso ma non sempre, scegliamo di essere persone oneste. Con questo non voglio dire che dobbiamo perdonare tutti quelli che commettono un reato e farli uscire dal carcere, anzi. Per me bisognerebbe rieducare tutti, soprattutto quelli che passano con il semaforo rosso o non emettono fatture e scontrini. Vorrei solo dare uno spunto per una riflessione sulla genesi di una particolare condizione umana.
Capire l'origine, il perché, i contesti, non vuol dire cancellare le responsabilità ma porre dei punti di partenza diversi, nuovi per la gestione e per la nostra concezione su chi deve scontare una pena. Un signore mi dice: «Dovrebbero chiuderlo in una cella e buttare via la chiave». E poco dopo: «Le faccio uno scontrino di 5 euro ve bene?». Dovevo pagare 25 euro. Non ha rapinato una banca ma ha rapinato me perché le tasse che ha evaso le pagherò io. Ma questo è un altro discorso, ciò che conta è che il signore in questione si è eretto a giudice proprio mentre commetteva un reato.
Lo Stato non può essere vendicativo, nemmeno subdolamente, con omissioni o gestione superficiale degli eventi che riguardano persone che si trovino in condizioni diverse dalle nostre, ai confini della nostra società. Io posso essere vendicativo ed odiare chi ruba e uccide, augurargli il peggio e se coinvolto personalmente, arrivare fino alla vendetta estrema, all'omicidio per vendetta e probabilmente lo farei. Lo Stato no, non può. Lo Stato è scevro da questi nobili sentimenti, deve prendersi le sue responsabilità se uno dei suoi figli sbaglia e deve rieducarlo, anche per tutta la vita se necessario ma senza mai perdere di vista il concetto che è padre di tutti i suoi figli. Anche a chi è privato della libertà, perché deve essere rieducato, perché non in grado di gestire la sua libertà, deve essere sempre garantita l'integrità ed il rispetto della sua dignità e, ovunque egli si trovi, che sia una cella, che sia nel peggiore degli ospedali o che sia nella famiglia più disperata, gli deve essere sempre garantito la cura dei suoi mali.