Apatheia
Il professore di Trani
"Guai a voi anime prave"
domenica 25 gennaio 2015
7.21
Non vi parlerò di "o' Professore 'e Vesuviano" e nemmeno di Cutolo. Eccezionalmente, Rossella De Palma mi perdonerà se emulo la sua interessante rubrica, vi parlerò anch'io di un tranese, un professore che ho avuto la fortuna di avere come insegnante di italiano e latino al liceo, il professor Mimì di Palo. Dal 1988, anno in cui mi sono diplomato, l'ho incontrato diverse volte ma, a causa della mia inguaribile timidezza, mi sono sempre limitato ad un ossequioso "buongiorno professore". Circa una anno fa ho però deciso di rompere il ghiaccio e dopo il solito buongiorno ho esclamato: "Guai a voi, anime prave!" e lui simulando d'esser stizzito: "Non isperate mai veder lo cielo: i' vegno per menarvi a l'altra riva", quindi subito io anticipandolo: "ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo. E tu che se' costì, anima viva", lui, approfittando della mia pausa calcolata, con tono solenne: "partiti da cotesti che son morti".
Era un giorno distante, lontano circa trent'anni, il professore intento a spiegare con tutta la sua passione il canto III dell'Inferno, il libro muto sulla cattedra trafitto da un raggio di sole che penetrava dalla finestra irrompendo dietro l'ombra delle paraste di San Domenico, noi che bisbigliavamo distratti disegnando mappe sulle zone strategiche di via Roma, poco inclini alle anafore del sommo poeta e lui imperterrito, senza mai guardare il libro, recitava come Gassman, sicuramente meglio di Benigni, traducendo ogni pensiero nascosto dietro le parole arcane. Ad un tratto si erse sulla pedana di legno, aguzzò gli occhi com'avesse l'inferno a gran dispitto e puntando l'indice verso di noi strepitò: "Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo…" Tutti noi ammutolimmo attoniti, trasecolati da quella minaccia senza scampo, con lentezza volgemmo lo sguardo al professore ancora con l'indice che ci tagliava a fette, soddisfatto, in silenzio, un silenzio che ancora non dimentico. Dopo averci scrutati da una parete all'altra dell'aula, abbassò l'indice e poggiando le mani sulla cattedra che baluginava ambrata come un pulpito, proseguì un'opera che ancora potrei recitare a memoria: "i' vegno per menarvi a l'altra riva…"
Il professor di Palo, quando spiegava Dante o la perifrastica passiva, approfittava per spiegarci la vita e anche chi non aveva voglia di starlo a sentire, per forza, dopo un po' si ritrovava piacevolmente costretto ad ascoltarlo e ad imparare. Quando ci siamo incontrati un anno fa mi disse, dopo quella breve declamazione: "Allora è servito a qualcosa". Non risposi. Sì professore, spero che tu legga questa mia reminiscenza, è servito.
P.S.: Rossella De Palma prima del tuo articolo non mi era mai capitato che qualcuno correggesse l'esortazione che Virgilio rivolge a Dante "non ragioniam di lor, ma guarda e passa" a proposito di coloro che visser sanza 'nfamia e sanza lodo con la più popolare ed inventata "non ti curar di loro ma guarda e passa". Semmai il contrario. Non si finisce mai di stupirsi.
P.P.S.: Sempre a proposito di riva, che è agognata dal naufrago, mi viene in mente, vista la deriva, un'altra riva, non quella degli omofobi, dei razzisti e degli inetti, non quella, quella sta a destra, mi viene in mente quella del canto I: "E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l'acqua perigliosa e guata, così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva".
Era un giorno distante, lontano circa trent'anni, il professore intento a spiegare con tutta la sua passione il canto III dell'Inferno, il libro muto sulla cattedra trafitto da un raggio di sole che penetrava dalla finestra irrompendo dietro l'ombra delle paraste di San Domenico, noi che bisbigliavamo distratti disegnando mappe sulle zone strategiche di via Roma, poco inclini alle anafore del sommo poeta e lui imperterrito, senza mai guardare il libro, recitava come Gassman, sicuramente meglio di Benigni, traducendo ogni pensiero nascosto dietro le parole arcane. Ad un tratto si erse sulla pedana di legno, aguzzò gli occhi com'avesse l'inferno a gran dispitto e puntando l'indice verso di noi strepitò: "Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo…" Tutti noi ammutolimmo attoniti, trasecolati da quella minaccia senza scampo, con lentezza volgemmo lo sguardo al professore ancora con l'indice che ci tagliava a fette, soddisfatto, in silenzio, un silenzio che ancora non dimentico. Dopo averci scrutati da una parete all'altra dell'aula, abbassò l'indice e poggiando le mani sulla cattedra che baluginava ambrata come un pulpito, proseguì un'opera che ancora potrei recitare a memoria: "i' vegno per menarvi a l'altra riva…"
Il professor di Palo, quando spiegava Dante o la perifrastica passiva, approfittava per spiegarci la vita e anche chi non aveva voglia di starlo a sentire, per forza, dopo un po' si ritrovava piacevolmente costretto ad ascoltarlo e ad imparare. Quando ci siamo incontrati un anno fa mi disse, dopo quella breve declamazione: "Allora è servito a qualcosa". Non risposi. Sì professore, spero che tu legga questa mia reminiscenza, è servito.
P.S.: Rossella De Palma prima del tuo articolo non mi era mai capitato che qualcuno correggesse l'esortazione che Virgilio rivolge a Dante "non ragioniam di lor, ma guarda e passa" a proposito di coloro che visser sanza 'nfamia e sanza lodo con la più popolare ed inventata "non ti curar di loro ma guarda e passa". Semmai il contrario. Non si finisce mai di stupirsi.
P.P.S.: Sempre a proposito di riva, che è agognata dal naufrago, mi viene in mente, vista la deriva, un'altra riva, non quella degli omofobi, dei razzisti e degli inetti, non quella, quella sta a destra, mi viene in mente quella del canto I: "E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l'acqua perigliosa e guata, così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva".