Apatheia
La cicala e la formica
Una storia tranese tra inaugurazioni, cerimonie, feste patronali, orchestre e canti
mercoledì 15 gennaio 2014
16.31
In una calda estate, un'allegra cicala cantava sul ramo di un albero, mentre sotto di lei una lunga fila di formiche faticava per cercare un lavoro che non trovava. Fra una pausa e l'altra, tra le inaugurazioni, le cerimonie, i calici alzati alle stelle, le nozze insolite dei re, le feste patronali, i fuochi d'artificio, le orchestre e i canti, l'apoteosi del benessere insomma, la cicala si rivolge alle formiche: «Ma perché vi affannate tanto a cercare un lavoro, venite qui all'ombra a ripararvi dal sole, potremo cantare insieme!»
Ma le formiche, instancabili, senza fermarsi continuavano a cercare un lavoro perché dovevano sfamare i propri figli, perché l'estate dura solo tre mesi e bisognava preoccuparsi anche degli altri nove mesi, perché poi, non trovando un lavoro, le formiche sarebbero state costrette a commettere atti illeciti, tipo rubare, oppure sarebbero state costrette ad andare ogni mattina al comune a chiedere aiuto suscitando poi, nei tranesi ancora inebriati dalla bisboccia estiva, un improvviso bisogno di sicurezza, di vigili, polizia, carabinieri eccetera. «Non possiamo! Dobbiamo cercare un lavoro per sfamare i nostri figli e poi perché arriva l'inverno! Quando verrà il freddo e la neve coprirà la terra, non troveremo più niente da mangiare e solo se avremo trovato un lavoro ed avremo le dispense piene potremo sopravvivere!»
«L'estate è ancora lunga e c'è tempo per cercare un lavoro prima che arrivi l'inverno! Io preferisco cantare, spendere soldi, anche se poi, magari tra cinque o sei anni, verranno a chiedermi delucidazioni circa quei soldi! Ma che importa ora maneggio ed ora festeggio anche perché qualcuno è contento di organizzare tutte questi canti e queste cerimonie e poi, a qualcosa servirà ; con questo sole e questo caldo è impossibile lavorare!»
Per tutta l'estate la cicala continuò a cantare e le formiche a cercare un lavoro che non trovavano. Ma i giorni passavano veloci, poi le settimane e i mesi. Arrivò l'autunno e gli alberi cominciarono a perdere le foglie e la cicala scese dall'albero ormai spoglio. Anche l'erba diventava sempre più gialla e rada. Una mattina la cicala si svegliò tutta infreddolita, mentre i campi erano coperti dalla prima brina. Il gelo bruciò il verde delle ultime foglie: era arrivato l'inverno. La cicala cominciò a vagare organizzando qualche premiazione toccante e richieste di beatificazioni con quello che spuntava ancora dal terreno duro e gelato ma non c'erano più soldi. Venne la neve e la cicala non poteva più organizzare feste e inaugurazioni: si allungavano le code alle mense per i poveri, le formiche cominciarono ad andare a bussare al comune affamate e tremanti di freddo. La cicala pensava con rimpianto al caldo e ai canti dell'estate.
Una sera vide una lucina lontana e si avvicinò affondando nella neve: «Aprite! Aprite, per favore! Sto morendo di fame! Datemi qualcosa da mangiare ed il consenso popolare così l'estate prossima organizzerò di nuovo i canti e le cerimonie!»
La finestra si aprì e la formica si affacciò: Chi è? Chi è che bussa?»
«Sono io, la cicala! Ho fame, freddo ed ho bisogno di consenso popolare!»
«La cicala?! Ah! Mi ricordo di te! Cosa hai fatto durante l'estate, mentre noi faticavamo per prepararci all'inverno?»
«Io? Cantavo e riempivo del mio canto e di debiti cielo e terra!»
«Hai cantato ed hai fatto debiti?» replicò la formica, «Adesso balla!»
(Magari finisse così la storiella. Continua).
«Se mi date consenso, la prossima estate, farò organizzare a voi le danze, vedrete!»
«Va bene" dissero le formiche "allora ti daremo ancora una volta quello che vuoi».
Ogni riferimento è puramente casuale.
Ma le formiche, instancabili, senza fermarsi continuavano a cercare un lavoro perché dovevano sfamare i propri figli, perché l'estate dura solo tre mesi e bisognava preoccuparsi anche degli altri nove mesi, perché poi, non trovando un lavoro, le formiche sarebbero state costrette a commettere atti illeciti, tipo rubare, oppure sarebbero state costrette ad andare ogni mattina al comune a chiedere aiuto suscitando poi, nei tranesi ancora inebriati dalla bisboccia estiva, un improvviso bisogno di sicurezza, di vigili, polizia, carabinieri eccetera. «Non possiamo! Dobbiamo cercare un lavoro per sfamare i nostri figli e poi perché arriva l'inverno! Quando verrà il freddo e la neve coprirà la terra, non troveremo più niente da mangiare e solo se avremo trovato un lavoro ed avremo le dispense piene potremo sopravvivere!»
«L'estate è ancora lunga e c'è tempo per cercare un lavoro prima che arrivi l'inverno! Io preferisco cantare, spendere soldi, anche se poi, magari tra cinque o sei anni, verranno a chiedermi delucidazioni circa quei soldi! Ma che importa ora maneggio ed ora festeggio anche perché qualcuno è contento di organizzare tutte questi canti e queste cerimonie e poi, a qualcosa servirà ; con questo sole e questo caldo è impossibile lavorare!»
Per tutta l'estate la cicala continuò a cantare e le formiche a cercare un lavoro che non trovavano. Ma i giorni passavano veloci, poi le settimane e i mesi. Arrivò l'autunno e gli alberi cominciarono a perdere le foglie e la cicala scese dall'albero ormai spoglio. Anche l'erba diventava sempre più gialla e rada. Una mattina la cicala si svegliò tutta infreddolita, mentre i campi erano coperti dalla prima brina. Il gelo bruciò il verde delle ultime foglie: era arrivato l'inverno. La cicala cominciò a vagare organizzando qualche premiazione toccante e richieste di beatificazioni con quello che spuntava ancora dal terreno duro e gelato ma non c'erano più soldi. Venne la neve e la cicala non poteva più organizzare feste e inaugurazioni: si allungavano le code alle mense per i poveri, le formiche cominciarono ad andare a bussare al comune affamate e tremanti di freddo. La cicala pensava con rimpianto al caldo e ai canti dell'estate.
Una sera vide una lucina lontana e si avvicinò affondando nella neve: «Aprite! Aprite, per favore! Sto morendo di fame! Datemi qualcosa da mangiare ed il consenso popolare così l'estate prossima organizzerò di nuovo i canti e le cerimonie!»
La finestra si aprì e la formica si affacciò: Chi è? Chi è che bussa?»
«Sono io, la cicala! Ho fame, freddo ed ho bisogno di consenso popolare!»
«La cicala?! Ah! Mi ricordo di te! Cosa hai fatto durante l'estate, mentre noi faticavamo per prepararci all'inverno?»
«Io? Cantavo e riempivo del mio canto e di debiti cielo e terra!»
«Hai cantato ed hai fatto debiti?» replicò la formica, «Adesso balla!»
(Magari finisse così la storiella. Continua).
«Se mi date consenso, la prossima estate, farò organizzare a voi le danze, vedrete!»
«Va bene" dissero le formiche "allora ti daremo ancora una volta quello che vuoi».
Ogni riferimento è puramente casuale.