Apatheia
La violenza sulle donne
E se avesse a che fare col plusvalore?
lunedì 25 novembre 2013
18.25
Sempre più l'economia è alla base dei rapporti tra gli individui, ne costituisce la struttura da dove poi si diramano tutte le sovrastrutture che vanno a giustificare ed a "normalizzare" i processi produttivi fino a rendere la reificazione della persona non più una conseguenza negativa ma un traguardo agognato, l'unica speranza. Le sovrastrutture, a partire da quella politica fino a giungere a quella religiosa che spesso, se non corrispondono, traggono uno vantaggio dall'altra e si alimentano vicendevolmente, attraverso i mezzi di comunicazione hanno la funzione indispensabile di ammaestrare la coscienza collettiva per perpetrare, nei processi produttivi, la permanenza dei mezzi di produzione da una parte e la forza lavoro dall'altra, processi produttivi con la storica duplice funzione di produrre merci sempre meno adatte all'uso qualitativo e sempre più utili allo scambio quantitativo con conseguente accrescimento del capitale di chi detiene quei mezzi di produzione.
Ma mentre nei secoli passati, per la sofferenza inconscia che procurava l'alienazione non vi erano molti medicamenti se non quelli propinati dalle religioni sempre più propense a promuovere la speranza in una vita migliore dopo la morte e cioè dopo la fine della completa devozione verso il padrone e le sue indagini di mercato, tant'è che di tanto in tanto da qualche parte si assisteva a velleitari tentativi di rivoluzione, oggi esistono tutta una serie di soluzioni accomodanti ed accecanti. Una di queste, che è forse la più pericolosa tanto da costituirne oggi la sovrastruttura determinante, è l'illusione del possesso di quei beni che un tempo potevano possedere solo i ricchi, i padroni. Questo perché tali beni hanno un valore di scambio relativamente basso ed opportunamente dilazionabile in virtù del fatto che lo sfruttamento della forza lavoro viene delocalizzato, allontanato dagli occhi e quindi dal cuore per cui la merce assume ancora di più la connotazione di merce feticcio e, paradossalmente, tanto più vi è reificazione, tanto più la merce è separata e percepita indipendente dal lavoro umano e tanto più diviene medicamento dell'alienazione stessa, obnubilando, in questo ciclo viziato, sempre più la coscienza e la consapevolezza della vera natura della struttura economica post moderna e spingendo anche chi la subisce pesantemente a desiderare questo sistema liberista e pseudo-meritocratico solo perché può possedere quegli stessi feticci dei ricchi, feticci che rendono il sogno di passare dall'altra parte, illusoriamente meno chiuso nel cassetto.
Tutto questo, oltre ad obnubilare le coscienze, porta ad una grave conseguenza che è la normalizzazione dell'illecito, l'accettazione impassibile della giustificazione del fine, l'interpretazione ermeneutica del reato utile che diviene un evento improvviso, occorso a realizzare non più il bisogno necessario ma quel sogno. Mentre la proprietà privata era stata inutilmente smascherata come situazione realizzabile per un soggetto solo perché abolita per altri nove, oggi, la possibilità estesa a tutti del possesso di piccoli ed adorabili beni feticcio, fa sentire uniti da un egoismo universale dal quale non conviene affatto uscire. Così ci dispiace degli immigrati morti nel mare ma non di quelli la cui forza lavoro sfruttiamo proprio per realizzare quei beni feticcio medicamentosi della nostra indolore alienazione. Così la ragazza minorenne che vende il suo corpo in cambio di ricariche telefoniche è una ragazza che desiderava stare al passo con i tempi, desiderava avere anche lei l'iPhone come le sue amiche, non sentirsi esclusa dal gruppo e chi usufruisce delle sue prestazioni sessuali è uno che non ha fatto niente di più e niente di meno del politico potente che si porta al letto la minorenne che, a sua volta, desiderava diventare famosa. Un altro ciclo viziato dal quale non veniamo fuori perché siamo incapaci di rilevarne l'orrore nemmeno troppo subdolo ed anche se saltuariamente ce ne preoccupiamo e ci mobilitiamo, lo facciamo senza renderci conto che questi orrori sono sovrastrutturali, eventi prodotti come diretta conseguenza dalla stessa consolidata e ben accettata struttura alla base della società del nostro tempo.
Così come facciamo quando si parla di violenza sulle donne, ci scandalizziamo, ci dibattiamo in cerca di soluzioni, spesso inneggiamo a rimedi drastici e violenti, castrazioni, pena di morte ma, nel contempo, desideriamo diventare e per questo lo votiamo e lo graziamo, come quel politico potente che lecca e si fa leccare da donne che vogliono a loro volta avere tutti quei beni che serviranno a curare la loro smisurata reificazione e, per far questo, non importa squalificare le donne come oggetti ma anche come mamme premurose che per legge divina devono lavorare ma anche stirare lavare, spazzare e crescere i figli, come se i figli nascessero da esseri ermafroditi, nel contempo, restiamo in silenzio, un silenzio complice ed assordante, dinanzi a donne violentate ogni giorno, in ogni parola, in ogni bucato lavato e stirato, ed in ogni canzone d'amore finito salvo restare attoniti quando la violenza, al culmine della sovrastruttura, diviene reale, omicida, solo perché il fuoco del focolare si è improvvisamente spento sfinito.
Ci sarebbe da lavorare parecchio se fosse possibile.
Ma mentre nei secoli passati, per la sofferenza inconscia che procurava l'alienazione non vi erano molti medicamenti se non quelli propinati dalle religioni sempre più propense a promuovere la speranza in una vita migliore dopo la morte e cioè dopo la fine della completa devozione verso il padrone e le sue indagini di mercato, tant'è che di tanto in tanto da qualche parte si assisteva a velleitari tentativi di rivoluzione, oggi esistono tutta una serie di soluzioni accomodanti ed accecanti. Una di queste, che è forse la più pericolosa tanto da costituirne oggi la sovrastruttura determinante, è l'illusione del possesso di quei beni che un tempo potevano possedere solo i ricchi, i padroni. Questo perché tali beni hanno un valore di scambio relativamente basso ed opportunamente dilazionabile in virtù del fatto che lo sfruttamento della forza lavoro viene delocalizzato, allontanato dagli occhi e quindi dal cuore per cui la merce assume ancora di più la connotazione di merce feticcio e, paradossalmente, tanto più vi è reificazione, tanto più la merce è separata e percepita indipendente dal lavoro umano e tanto più diviene medicamento dell'alienazione stessa, obnubilando, in questo ciclo viziato, sempre più la coscienza e la consapevolezza della vera natura della struttura economica post moderna e spingendo anche chi la subisce pesantemente a desiderare questo sistema liberista e pseudo-meritocratico solo perché può possedere quegli stessi feticci dei ricchi, feticci che rendono il sogno di passare dall'altra parte, illusoriamente meno chiuso nel cassetto.
Tutto questo, oltre ad obnubilare le coscienze, porta ad una grave conseguenza che è la normalizzazione dell'illecito, l'accettazione impassibile della giustificazione del fine, l'interpretazione ermeneutica del reato utile che diviene un evento improvviso, occorso a realizzare non più il bisogno necessario ma quel sogno. Mentre la proprietà privata era stata inutilmente smascherata come situazione realizzabile per un soggetto solo perché abolita per altri nove, oggi, la possibilità estesa a tutti del possesso di piccoli ed adorabili beni feticcio, fa sentire uniti da un egoismo universale dal quale non conviene affatto uscire. Così ci dispiace degli immigrati morti nel mare ma non di quelli la cui forza lavoro sfruttiamo proprio per realizzare quei beni feticcio medicamentosi della nostra indolore alienazione. Così la ragazza minorenne che vende il suo corpo in cambio di ricariche telefoniche è una ragazza che desiderava stare al passo con i tempi, desiderava avere anche lei l'iPhone come le sue amiche, non sentirsi esclusa dal gruppo e chi usufruisce delle sue prestazioni sessuali è uno che non ha fatto niente di più e niente di meno del politico potente che si porta al letto la minorenne che, a sua volta, desiderava diventare famosa. Un altro ciclo viziato dal quale non veniamo fuori perché siamo incapaci di rilevarne l'orrore nemmeno troppo subdolo ed anche se saltuariamente ce ne preoccupiamo e ci mobilitiamo, lo facciamo senza renderci conto che questi orrori sono sovrastrutturali, eventi prodotti come diretta conseguenza dalla stessa consolidata e ben accettata struttura alla base della società del nostro tempo.
Così come facciamo quando si parla di violenza sulle donne, ci scandalizziamo, ci dibattiamo in cerca di soluzioni, spesso inneggiamo a rimedi drastici e violenti, castrazioni, pena di morte ma, nel contempo, desideriamo diventare e per questo lo votiamo e lo graziamo, come quel politico potente che lecca e si fa leccare da donne che vogliono a loro volta avere tutti quei beni che serviranno a curare la loro smisurata reificazione e, per far questo, non importa squalificare le donne come oggetti ma anche come mamme premurose che per legge divina devono lavorare ma anche stirare lavare, spazzare e crescere i figli, come se i figli nascessero da esseri ermafroditi, nel contempo, restiamo in silenzio, un silenzio complice ed assordante, dinanzi a donne violentate ogni giorno, in ogni parola, in ogni bucato lavato e stirato, ed in ogni canzone d'amore finito salvo restare attoniti quando la violenza, al culmine della sovrastruttura, diviene reale, omicida, solo perché il fuoco del focolare si è improvvisamente spento sfinito.
Ci sarebbe da lavorare parecchio se fosse possibile.