Apatheia
Mi sento come impiccato
Provo rabbia, per me e per mio figlio
venerdì 23 novembre 2012
11.50
Un ragazzo di 15 anni, Davide, si è impiccato a Roma perché vittima di continui attacchi di bullismo, insultato perché gay.
Ora mi sento come impiccato, impiccato nella ragione, nel cuore, appeso, senza la possibilità di camminare, andare in una direzione. Dondolo senza vita, senza respiro, gli occhi sbarrati, il collo spezzato. Mi restano i pensieri, quelli sicuramente restano per un istante e se è l'ultimo, un istante è eterno. Che differenza c'è tra l'Iran che impicca quelli che si amano troppo e noi che li lasciamo soli, ad impiccarsi? Ma fate bene quando manifestate vestiti troppo da donna o vestiti troppo da uomini, fate bene quando fischiate, cantate, gridate i vostri slogan, fate bene quando sculettate, vi baciate a dispetto, tirate fuori le lingue. Ridete di chi dice che vi rispetta ma che non dovete essere così appariscenti. Apparite anzi siate folgoranti e a chi resta disgustato mostrate il vostro amore. Ma non lasciate mai solo nessuno. Fate attenzione, qualcuno potrebbe sentirsi solo perché nella sua sacra famiglia gli han detto che chi non è uguale è solo. Questa è la mia paura. Per me e per mio figlio. Per questo e per Davide, per i suoi quindici anni, oggi sono come impiccato.
Ma voi l'avete mai visto uno impiccato? Io sì purtroppo e ne ho visto più di uno. Sono tristi perché hanno dovuto preparare la loro morte per filo e per segno, hanno dovuto pensare mille cose per non pensare a niente, hanno dovuto rivedere i volti dei loro amori, hanno dovuto improvvisamente distrarsi per non vederli da dove sono ora. Non c'è peggior modo per togliersi la vita, è una condanna con tutti i suoi riti, compresa la deposizione e, spesso, il pianto della madre che si riprende in grembo la sua creatura. Quando arrivi vicino ai loro corpi appesi, ti guardano dall'alto, ti raccontano la loro storia, la loro morte e basta poco, un refolo e loro si muovono, ruotano come in una lenta e inesorabile danza.
Per questo provo rabbia. Per me e per mio figlio. Per i suoi quindici anni rubati dall'egoismo, dall'ignoranza, dal silenzio, dalla paura.
Ora mi sento come impiccato, impiccato nella ragione, nel cuore, appeso, senza la possibilità di camminare, andare in una direzione. Dondolo senza vita, senza respiro, gli occhi sbarrati, il collo spezzato. Mi restano i pensieri, quelli sicuramente restano per un istante e se è l'ultimo, un istante è eterno. Che differenza c'è tra l'Iran che impicca quelli che si amano troppo e noi che li lasciamo soli, ad impiccarsi? Ma fate bene quando manifestate vestiti troppo da donna o vestiti troppo da uomini, fate bene quando fischiate, cantate, gridate i vostri slogan, fate bene quando sculettate, vi baciate a dispetto, tirate fuori le lingue. Ridete di chi dice che vi rispetta ma che non dovete essere così appariscenti. Apparite anzi siate folgoranti e a chi resta disgustato mostrate il vostro amore. Ma non lasciate mai solo nessuno. Fate attenzione, qualcuno potrebbe sentirsi solo perché nella sua sacra famiglia gli han detto che chi non è uguale è solo. Questa è la mia paura. Per me e per mio figlio. Per questo e per Davide, per i suoi quindici anni, oggi sono come impiccato.
Ma voi l'avete mai visto uno impiccato? Io sì purtroppo e ne ho visto più di uno. Sono tristi perché hanno dovuto preparare la loro morte per filo e per segno, hanno dovuto pensare mille cose per non pensare a niente, hanno dovuto rivedere i volti dei loro amori, hanno dovuto improvvisamente distrarsi per non vederli da dove sono ora. Non c'è peggior modo per togliersi la vita, è una condanna con tutti i suoi riti, compresa la deposizione e, spesso, il pianto della madre che si riprende in grembo la sua creatura. Quando arrivi vicino ai loro corpi appesi, ti guardano dall'alto, ti raccontano la loro storia, la loro morte e basta poco, un refolo e loro si muovono, ruotano come in una lenta e inesorabile danza.
Per questo provo rabbia. Per me e per mio figlio. Per i suoi quindici anni rubati dall'egoismo, dall'ignoranza, dal silenzio, dalla paura.