Apatheia
Piangono tutti tranne i salici
Preferivo il secolo passato fatto di uomini forti
martedì 14 agosto 2012
Preferivo il secolo passato fatto di uomini forti, virili, tutti d'un pezzo. Sarà che non c'era tutta questa televisione emetica, sarà che si poteva tacciar d'essere, a chi non fosse virile e tutto d'un pezzo, mezza femmina senza venir degradati ad omofobi, sarà quel che sarà ma gli uomini del secolo passato non piangevano o, perlomeno, non pubblicamente. Ora si piange. Si piange ininterrottamente e senza pudore, si piange davanti a tutti. Molti piangono per la gioia, qualcuno per il dolore, per la fame, per il lavoro che non c'è, molti perché si perde la partita ai rigori, perché devi aumentare le tasse. Ma il pianto più in voga di questi tempi è il pianto, con potere salvifico di fronte alla morale di massa, di chi vuole farsi perdonare dopo essere stato smascherato, di chi vorrebbe, se potesse, non averlo fatto, non essere lì per forza, per dogma ma perché doveva per il bene di tutti.
È il pianto stridulo e desolato del nostro sistema morente, di un sistema, quello capitalistico, che ha spogliato tutto e tutti da ogni valore ed ha coperto ognuno di una coltre sempre più spessa ed impenetrabile che acceca e spinge a sacrificare tutto, anche la propria vita se non quella dell'altro, al dio denaro. L'atleta, infatti, che piange perché beccato sotto l'effetto del doping e che se non fosse stato beccato avrebbe probabilmente vinto una medaglia, ha sacrificato al sistema la sua salute ingerendo sostanze dannose, il calciatore che piange perché ha perso hai rigori e soprattutto gli sponsor sacrifica la sua squadra alle scommesse, la ragazzina emancipata che piange perché ha vinto miss Italia e il successo senza gavetta sacrifica i suoi lunghi studi universitari (quella che arriva seconda è contenta per lei), gli amici di Maria De Filippi che piangono per la loro fatica simile a quella dei minatori di Monongah sacrificano la loro faccia, la Elsa che piange per noi e perché il lavoro non è un diritto, sempre e solo per noi non per i suoi parenti non sacrifica niente. Sono l'emblema di questa era post capitalistica-forneriana-dopata. Se continuano a piangere è finita già, altro che Maya.
Piangono tutti tranne i salici, gli affamati senza cibo, i disoccupati senza diritti, i malati senza ospedali, i vecchi senza speranza perché loro non hanno più lacrime, si sono prosciugate da tempo e per loro piangono quelli che hanno una telecamera pronta ad abbeverarsi alle loro lacrime spettacolari e salvifiche. Così l'atleta, un tempo simbolo della forza e della lealtà, anziché scomparire in silenzio e per sempre dopo aver sporcato quest'immagine sacra, si mette davanti alle telecamere e piange, si dice pentito, si confessa. Troppo facile pentirsi dopo che ti beccano. Devi scomparire nel nulla e nessuno piangerà.
E la Elsa, anche lei neo salice piangente di quest'era post arraffona dove ormai restano solo le pensioni maturate dall'arraffo, piange con le telecamere accese chiedendo un perdono implicito, confessando una colpa inderogabile e cercando una commozione salva coscienza, ormai, palinsesto di una nuova morale di un mondo morente.
Piangono tutti tranne i salici e Silvio, per ora.
È il pianto stridulo e desolato del nostro sistema morente, di un sistema, quello capitalistico, che ha spogliato tutto e tutti da ogni valore ed ha coperto ognuno di una coltre sempre più spessa ed impenetrabile che acceca e spinge a sacrificare tutto, anche la propria vita se non quella dell'altro, al dio denaro. L'atleta, infatti, che piange perché beccato sotto l'effetto del doping e che se non fosse stato beccato avrebbe probabilmente vinto una medaglia, ha sacrificato al sistema la sua salute ingerendo sostanze dannose, il calciatore che piange perché ha perso hai rigori e soprattutto gli sponsor sacrifica la sua squadra alle scommesse, la ragazzina emancipata che piange perché ha vinto miss Italia e il successo senza gavetta sacrifica i suoi lunghi studi universitari (quella che arriva seconda è contenta per lei), gli amici di Maria De Filippi che piangono per la loro fatica simile a quella dei minatori di Monongah sacrificano la loro faccia, la Elsa che piange per noi e perché il lavoro non è un diritto, sempre e solo per noi non per i suoi parenti non sacrifica niente. Sono l'emblema di questa era post capitalistica-forneriana-dopata. Se continuano a piangere è finita già, altro che Maya.
Piangono tutti tranne i salici, gli affamati senza cibo, i disoccupati senza diritti, i malati senza ospedali, i vecchi senza speranza perché loro non hanno più lacrime, si sono prosciugate da tempo e per loro piangono quelli che hanno una telecamera pronta ad abbeverarsi alle loro lacrime spettacolari e salvifiche. Così l'atleta, un tempo simbolo della forza e della lealtà, anziché scomparire in silenzio e per sempre dopo aver sporcato quest'immagine sacra, si mette davanti alle telecamere e piange, si dice pentito, si confessa. Troppo facile pentirsi dopo che ti beccano. Devi scomparire nel nulla e nessuno piangerà.
E la Elsa, anche lei neo salice piangente di quest'era post arraffona dove ormai restano solo le pensioni maturate dall'arraffo, piange con le telecamere accese chiedendo un perdono implicito, confessando una colpa inderogabile e cercando una commozione salva coscienza, ormai, palinsesto di una nuova morale di un mondo morente.
Piangono tutti tranne i salici e Silvio, per ora.