Avviso di chiamata
Dalla poesia alla tragicommedia, dalla tavola al tavolino
Avviso di chiamata per Nichi Vendola e per i candidati tranesi
giovedì 19 aprile 2012
La campagna elettorale ormai impazza. C'è una fastidiosa sensazione che la percorre. Sembra che la stragrande maggioranza dei candidati, compresi quelli per la poltrona di sindaco, abbiano imparato a memoria una bella poesia da ripetere in ogni circostanza, in ogni occasione, in ogni incontro. Come i bambini che salgono sulla sedia del salotto di casa e a Natale e Pasqua, recitano i versi faticosamente imparati durante le precedenti settimane di scuola, così molti dei nostri candidati, messo il vestito buono della festa, si alzano virtualmente su quella seggiola (che sia un comizio o la presentazione di un comitato elettorale) per enunciare la poesia. I nonni, alla fine di quella rappresentazione domestica, puntualmente sganciavano mille lire o dieci, venti mila lire; oggi chi cinque, chi dieci, chi venti euro, per far felice il bambino. Noi cittadini dovremmo sganciare un voto… Le poesie, però, si sa, in politica non è che portino molto bene. Il cittadino ora tende a bersi di tutto, dalla gazzosa alla ciofeca assoluta, dal prosecchino, all'acqua minerale. Messa la bibita in versi poetici da recitare ad ogni piè sospinto, tutto va bene. Vedo le facce di certi partecipanti a inaugurazioni di comitati elettorali: non sembrano capire gran che di quello che il candidato dice, ma fanno sì con la testa trionfanti.
Ma anche Nichi Vendola, ad esempio, partito con poesie e narrazioni, si è presto ritrovato, suo malgrado, attorcigliato dalla prosa della politicaccia quotidiana, e dello spietato giudizio dei cittadini (tra non molto anche dei giudici, a quanto si legge dalle ultime cronache). Con una sanità, tanto per spiegarci, che avrebbe dovuto essere il suo cavallo di battaglia politico, con un rilancio vero della stessa (lo avevano votato per questo anche i moderati) e che invece ora, tra le pieghe di indagini e orizzonti nebbiosi (uso per l'occasione un linguaggio vendoliano) vede il Nichi ripetere ogni giorno: «Cado dalle nubi» o «Non so nulla di queste faccende». Dalla poesia alla tragicommedia il passo è breve.
Anche a Trani dovrebbero eliminare i discorsi arzigogolati e poetici, zeppi di figure retoriche e voli pindarici, se no lo stacco dall'irrealtà della campagna elettorale, alla cruda realtà dei problemi cittadini sempre più scottanti, che saranno affrontati nei fatidici primi cento giorni, equivarrà ad un ruzzolone. Pure Pinuccio T. partì con un elevato riferimento poetico – letterario (Re Artù, la tavola rotonda, i Cavalieri) che fece presa nel nulla politico degli avversari di quell'anno. Ora finisce, come state vedendo, con sguardo malinconico e languido, ai tavolini dei comitati elettorali, ad ascoltare la solita vecchia poesia del «faremo, non deluderemo, spaccheremo», pronunciata dai vari aspiranti che se lo portano accanto forse più come portafortuna, per chi ci crede, visti gli esiti delle ultime elezioni, che per effettiva rappresentanza. Dalla tavola di Re Artù, al tavolino di plastica o fòrmica di questi giorni di fine mandato, il passo è molto lungo e svogliato e nostalgico.
Sempre Pinuccio T. ha spesso affermato che per la questione lavoro il Comune non poteva trasformarsi in un novello Ufficio di collocamento. Giusto. Ma riagganciandomi ai contenuti dell'ultimo Avviso di chiamata, chiedo al futuro sindaco: «E se si cominciasse a distribuire le nomine dei consigli di amministrazione delle municipalizzate, non più agli sfigati non eletti, baciati dal premio di consolazione, ma a giovani laureati, capaci (in quanto esaminati da apposite commissioni), con adeguato curriculum vitae, poltrone di presidente compresa?» Non è molto ma sarebbe già un modo, per la politica accusata di essere sempre insensibile alla disoccupazione giovanile, per dimostrare un cenno d'intesa con la società reale. Poi si potrebbe passare alle rinunce dei compensi. Prima sarebbero più utili questo tipo d'impegni. Pro giovani. Con i fatti.
Ma anche Nichi Vendola, ad esempio, partito con poesie e narrazioni, si è presto ritrovato, suo malgrado, attorcigliato dalla prosa della politicaccia quotidiana, e dello spietato giudizio dei cittadini (tra non molto anche dei giudici, a quanto si legge dalle ultime cronache). Con una sanità, tanto per spiegarci, che avrebbe dovuto essere il suo cavallo di battaglia politico, con un rilancio vero della stessa (lo avevano votato per questo anche i moderati) e che invece ora, tra le pieghe di indagini e orizzonti nebbiosi (uso per l'occasione un linguaggio vendoliano) vede il Nichi ripetere ogni giorno: «Cado dalle nubi» o «Non so nulla di queste faccende». Dalla poesia alla tragicommedia il passo è breve.
Anche a Trani dovrebbero eliminare i discorsi arzigogolati e poetici, zeppi di figure retoriche e voli pindarici, se no lo stacco dall'irrealtà della campagna elettorale, alla cruda realtà dei problemi cittadini sempre più scottanti, che saranno affrontati nei fatidici primi cento giorni, equivarrà ad un ruzzolone. Pure Pinuccio T. partì con un elevato riferimento poetico – letterario (Re Artù, la tavola rotonda, i Cavalieri) che fece presa nel nulla politico degli avversari di quell'anno. Ora finisce, come state vedendo, con sguardo malinconico e languido, ai tavolini dei comitati elettorali, ad ascoltare la solita vecchia poesia del «faremo, non deluderemo, spaccheremo», pronunciata dai vari aspiranti che se lo portano accanto forse più come portafortuna, per chi ci crede, visti gli esiti delle ultime elezioni, che per effettiva rappresentanza. Dalla tavola di Re Artù, al tavolino di plastica o fòrmica di questi giorni di fine mandato, il passo è molto lungo e svogliato e nostalgico.
Sempre Pinuccio T. ha spesso affermato che per la questione lavoro il Comune non poteva trasformarsi in un novello Ufficio di collocamento. Giusto. Ma riagganciandomi ai contenuti dell'ultimo Avviso di chiamata, chiedo al futuro sindaco: «E se si cominciasse a distribuire le nomine dei consigli di amministrazione delle municipalizzate, non più agli sfigati non eletti, baciati dal premio di consolazione, ma a giovani laureati, capaci (in quanto esaminati da apposite commissioni), con adeguato curriculum vitae, poltrone di presidente compresa?» Non è molto ma sarebbe già un modo, per la politica accusata di essere sempre insensibile alla disoccupazione giovanile, per dimostrare un cenno d'intesa con la società reale. Poi si potrebbe passare alle rinunce dei compensi. Prima sarebbero più utili questo tipo d'impegni. Pro giovani. Con i fatti.