Avviso di chiamata
Gli spallati
E Ferrante prepara il vestito buono...
giovedì 15 novembre 2012
Se Daniela Santanchè fosse chiamata ad esprimere un giudizio sulla maggioranza tranese credo che se ne uscirebbe con un suo celebre intercalare: «Sono dei senza palle». Sì, perché in un momento così delicato per la città, ci vorrebbero proprio grandi attributi per sottrarsi ai giochetti che si stanno vedendo per l'elezione (mancata) del presidente del consiglio e convergere coraggiosamente e dignitosamente su di un nome. Ma questo avverrà a breve. Solo che gli "spallati" non avranno il coraggio di far prevalere uno di loro, un nemico interno, ma regaleranno, al 99%, con la scusa che non si riesce a fare sintesi, la nomina a Fabrizio Ferrante, come da tempo già stabilito dalle dichiarazioni nemmeno troppo velate di Fitto.
Ora Fabrizio ha in mano il match point. Ma forse lui lo ha sempre saputo. Guarda forse addirittura anche con un certo disprezzo quella manica di ignari pretendenti, che per tre mesi e passa ha litigato per raggiungere il traguardo. Li guarda con disprezzo forse per la sua vicinanza a Renzi, che lo fa sentire ammantato di nuovo, col vestito nuovo della politica rampante, mentre beneficerà, con l'altra mano, di un vecchio giochetto da Prima Repubblica certificato anche dallo stesso Fitto («riconosciamogli il non allineamento ad Operamolla») e mentre, ancor più, raccoglierà i frutti di una latente incapacità della parte di governo a decidere, a quagliare, a valorizzare i suoi uomini. Ora Ferrante è il "contro cavallo" di Troia. Prima ha favorito la destra alle elezioni, sparigliando le carte con le primarie a tre, hard fino in fondo, e con la complicità di una sinistra perennemente spaccata e incapace, buona solo a fare poesia da blog o alla Vendola; ora, involontariamente mette a nudo, con la sua probabile nomina a presidente del C. le incapacità stesse della destra. Un capolavoro involontario. Un rovescio alla Agassi. Un'arma a doppio taglio però per lui e per la maggioranza. Il rischio per qualche mese, per lui, come accadde a Caffarella vicepresidente del C di sinistra coi voti della destra, di sentirsi dare del "venduto" e per la maggioranza il doppio senso: uno positivo (una rogna in meno e il lancio del cerino lontano dalla benzina), uno negativo (lo scontento interno che potrebbe montare col tempo e l'alto rischio di risorse bruciate in seno alla compagine governativa. Tutto questo con buona pace dei supporters di Ferrante, che fanno la morale a destra e manca, ma non si accorgono che il loro capo è diventato uno scafato politico degno d'un Pomicino d'annata.
Una destra tranese che ora, in un colpo solo, rischia di "bruciare" diverse sue risorse, come si diceva, anche promettenti: prima l'esilio più o meno volontario di Tarantini, per giunta con quel calcione estivo rifilatogli fuori tempo massimo da Cozzoli; poi la sempre più progressiva emarginazione di un'altra giovane risorsa come Beppe Corrado, che sembra scalciare sul muro di gomma che Di Marzio sta costruendo contro i nemici interni; poi la non volontà di coltivare qualche giovane virgulto come ad esempio Toni Franzese, che da un momento all'altro verrà riposto come un manichino, dopo aver reso servizio alla causa e coperto il sederino d'una maggioranza già in subbuglio dalle prime settimane; poi l'indifferenza verso il dolore diffuso di Pasquale De Toma, sagrestano spogliato, che ora dovrà necessariamente trovare conforto tra le braccia della consorte: un dolore derivante dal fatto di non vedere riconosciuti anni di "signor sì", con quelle spalle sempre pronte a curvarsi nell'inchino compiacente verso qualsiasi porcata i suoi superiori facessero. Ha ingoiato di tutto e ora potrebbe espettorare. Poi la non curanza verso il dolore muto di Stefano Di Modugno, ma lui è di poche parole di suo, dopo la messe di voti puntualmente portata. Niente da fare. I croupier Riserbato e Di Marzio esclamano all'unisono l'agghiacciante "Rien va plus", che lascerà sul tavolo verde poca roba, si fa per dire: poltrona di presidenza Amet e briciole annesse da consiglio d'amministrazione, da riservare a chi farà il bravo, ma con nella mente quella minaccia che anche i nostri padri una volta ci facevano: «E che se ti comporti male non hai nemmeno quello!». «Cavolo - penseranno quelli del centro destra, richiamandosi ad una frase tipica romanesca- Aridatece er puzzone, a questo punto».
Ora Fabrizio ha in mano il match point. Ma forse lui lo ha sempre saputo. Guarda forse addirittura anche con un certo disprezzo quella manica di ignari pretendenti, che per tre mesi e passa ha litigato per raggiungere il traguardo. Li guarda con disprezzo forse per la sua vicinanza a Renzi, che lo fa sentire ammantato di nuovo, col vestito nuovo della politica rampante, mentre beneficerà, con l'altra mano, di un vecchio giochetto da Prima Repubblica certificato anche dallo stesso Fitto («riconosciamogli il non allineamento ad Operamolla») e mentre, ancor più, raccoglierà i frutti di una latente incapacità della parte di governo a decidere, a quagliare, a valorizzare i suoi uomini. Ora Ferrante è il "contro cavallo" di Troia. Prima ha favorito la destra alle elezioni, sparigliando le carte con le primarie a tre, hard fino in fondo, e con la complicità di una sinistra perennemente spaccata e incapace, buona solo a fare poesia da blog o alla Vendola; ora, involontariamente mette a nudo, con la sua probabile nomina a presidente del C. le incapacità stesse della destra. Un capolavoro involontario. Un rovescio alla Agassi. Un'arma a doppio taglio però per lui e per la maggioranza. Il rischio per qualche mese, per lui, come accadde a Caffarella vicepresidente del C di sinistra coi voti della destra, di sentirsi dare del "venduto" e per la maggioranza il doppio senso: uno positivo (una rogna in meno e il lancio del cerino lontano dalla benzina), uno negativo (lo scontento interno che potrebbe montare col tempo e l'alto rischio di risorse bruciate in seno alla compagine governativa. Tutto questo con buona pace dei supporters di Ferrante, che fanno la morale a destra e manca, ma non si accorgono che il loro capo è diventato uno scafato politico degno d'un Pomicino d'annata.
Una destra tranese che ora, in un colpo solo, rischia di "bruciare" diverse sue risorse, come si diceva, anche promettenti: prima l'esilio più o meno volontario di Tarantini, per giunta con quel calcione estivo rifilatogli fuori tempo massimo da Cozzoli; poi la sempre più progressiva emarginazione di un'altra giovane risorsa come Beppe Corrado, che sembra scalciare sul muro di gomma che Di Marzio sta costruendo contro i nemici interni; poi la non volontà di coltivare qualche giovane virgulto come ad esempio Toni Franzese, che da un momento all'altro verrà riposto come un manichino, dopo aver reso servizio alla causa e coperto il sederino d'una maggioranza già in subbuglio dalle prime settimane; poi l'indifferenza verso il dolore diffuso di Pasquale De Toma, sagrestano spogliato, che ora dovrà necessariamente trovare conforto tra le braccia della consorte: un dolore derivante dal fatto di non vedere riconosciuti anni di "signor sì", con quelle spalle sempre pronte a curvarsi nell'inchino compiacente verso qualsiasi porcata i suoi superiori facessero. Ha ingoiato di tutto e ora potrebbe espettorare. Poi la non curanza verso il dolore muto di Stefano Di Modugno, ma lui è di poche parole di suo, dopo la messe di voti puntualmente portata. Niente da fare. I croupier Riserbato e Di Marzio esclamano all'unisono l'agghiacciante "Rien va plus", che lascerà sul tavolo verde poca roba, si fa per dire: poltrona di presidenza Amet e briciole annesse da consiglio d'amministrazione, da riservare a chi farà il bravo, ma con nella mente quella minaccia che anche i nostri padri una volta ci facevano: «E che se ti comporti male non hai nemmeno quello!». «Cavolo - penseranno quelli del centro destra, richiamandosi ad una frase tipica romanesca- Aridatece er puzzone, a questo punto».