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Pappalettera: «Nazismo e Fascismo non muoiono mai»

Nazismo e Olocausto, un libro scritto nel cinquantenario della liberazione dei lager

Nell'annuale ricorrenza del giorno della memoria, è giusto ricordare le vittime dell'olocausto ma anche chi, per un verso o un altro riuscì ad evitare le camere a gas e i forni crematori nei campi di sterminio nazisti. Tra questi Vincenzo Pappalettera, origini tranesi, partigiano durante l'ultimo conflitto mondiale, deportato nel campo di sterminio di Mauthausen, e anche lui destinato a "passare per il camino". Ma il fato gli fu benevolo: riuscì per una serie di circostanze quasi miracolose, ad evitare in quella "fabbrica di morte" la camera a gas e il forno crematorio (A Mauthausen erano finiti pure 14 pugliesi, tra cui il gravinese Filippo D'Agostino, la cui vicenda a lieto fine è stata ricostruita da Rosanna Lampugnani sul Corriere del Mezzogiorno).

Vent'anni dopo essere scampato alla morte, Vincenzo Pappalettera, prolifico scrittore, nel libro denuncia "Tu passerai per il camino. Vita e morte a Mauthausen" (il titolo fa riferimento alla minaccia che per anni i Kapò e gli aguzzini nazisti ripetevano ai prigionieri in quel campo), che gli valse il premio Bancarella e un milione di copie, descrisse gli orrori, le atrocità, le ansie e le paure di quei giorni terribili. Dopo aver rischiato di morire nel lager di Mauthausen, Pappalettara fece ritorno in Brianza, a Cesano Maderno dove visse per quarant'anni, fino al 1° dicembre 1998, data della sua morte. L'Amministrazione Comunale di quella città, nel 2000 gli ha intitolato la Biblioteca Comunale. A Trani, invece, nonostante ripetute sollecitazioni per ricordarlo nel giorno della memoria, lo si continua puntualmente ad ignorare.

Vincenzo Pappalettera, era nato a Milano il 28 novembre 1919 da genitori tranesi trasferitisi da poco nel capoluogo lombardo. Entrato giovanissimo nella Resistenza, durante l'occupazione tedesca del nord Italia, poco più che ragazzo, esile e pallido, sposato con un figlio di pochi anni, venne arrestato nel 1943 per reati politici e deportato nel campo di concentramento e sterminio di Mauthausen dove rimase fino all'arrivo degli americani che descrisse così nei primi righi del suo libro: «America, americani! E' l'esclamazione urlata, gridata, è il gemito, il lamento di migliaia di deportati: ciò che le residue forze di ognuno, chiamate a raccolta dalla gioia della libertà, riescono ad emettere». A quel volume, la cui lettura andrebbe proposta nelle scuole perché "Nazismo e Fascismo non muoiono mai", ne seguirono altri: "Nel lager c'ero anch'io", "La parola agli aguzzini" del 1969 scritto a quattro mani con il figlio Luigi, "Ritorno alla vita. I sopravvissuti dei lager nel dopoguerra italiano" del 1976 che raccoglie le testimonianze di chi come lui era sopravvissuto ai campi di sterminio, e "Nazismo e Olocausto" del 1996, inserito nella Collana di Mursia "Dalla Democrazia alla Dittatura" e di grande attualità per l'allora contemporaneità con il processo Priebke.
Vincenzo Pappalettera - Nazismo e olocausto
Nel 1991 Pappalettera, invece, aveva pubblicato "Il Trani di Via Lambro", romanzo autobiografico in "omaggio alla città di origine dei miei genitori" nella quale egli amava ritornare ogni qual volta se ne presentava l'occasione, come quando negli anni ottanta fu ospite del Lion Club. Confessò di aver trascorso ore indimenticabili e non mancò di visitare la Biblioteca "Bovio" che definì "favolosa" nella dedica che volle farmi sul volume. Prima di scrivere "Nazismo e Olocausto" (anche questo libro volle regalarmelo con dedica), Pappalettera aveva per anni consultato documenti, visitato archivi per «arrivare a dare una risposta soprattutto a me stesso prima che agli altri» come precisò egli stesso. Nel libro l'ex partigiano ripercorre gli anni drammatici, dalla repubblica di Weimar alla dittatura, che videro l'Europa rimanere impotente di fronte all'ascesa del Fascismo. E ritornò a rivivere gli incubi, gli orrori nei lager che lo videro prigioniero e sopravvissuto. Riaffiorarono nel suo racconto compagni di sventura, kapò, gerarchi nazisti, ma soprattutto l'odissea di una umanità annullata fisicamente dal punto di vista psicologico. «Quanto colpevoli e sino a che punto innocenti furono i nazisti? – si chiese Pappalettera - Ogni SS è colpevole delle azioni che ha commesso e la giustificazione dell'obbedienza agli ordini non è valida. Non si può sostenere che Hitler, Goering, Himmler, Gebles e qualche altro siano i soli responsabili dell'Olocausto e che tutti gli altri dovettero obbedire. E' vero, invece, che Hitler indicò un programma criminoso che ebbe oltre cinquecentomila aderenti che parteciparono volontariamente e attivamente alla sua realizzazione. Perlomeno tutti i gerarchi del partito e della Gestapo e tutti gli appartenenti alle SS».

Pappalettera sostenne anche che «non si può dimenticare che le prime vittime del Nazismo furono mezzo milione di tedeschi, non allineati con l'ideologia del Mein Kampf. E questa è la prova che non tutti furono conniventi e che qualcosa, forse, si sarebbe potuta fare. Oltre novemila SS chiesero di essere trasferiti dai reparti, segno che non volevano sottostare a quella obbedienza». Pappalettera nel suo lavoro non accusava nessuno, ma non voleva neanche dimenticare. A distanza di tanti anni provava ancora rabbia e incredulità a scrivere ciò che i nazisti dissero e fecero, e a dover constatare che dei fanatici e inumani razzisti fossero riusciti a impossessarsi del potere e a creare uno stato poliziesco, amorale e disumano. Lo scampato di Mauthausen, nel 1996, con "Nazismo e Olocausto" volle anche inviare un chiaro messaggio alle nuove generazioni. Scrisse testualmente: «Può accadere ancora? Sta accadendo. Nazismo e Fascismo non muoiono mai, si ripresentano sotto nuove forme e di aspiranti dittatori ce ne sono sempre, i genocidi si susseguono e i motivi di fondo sono sempre gli stessi: l'intolleranza, gli odi razziali e i nazionalismi arroganti. I rimedi, non certo miracolosi, sono quelli di sempre: non abbassare mai la guardia, lottare per la democrazia, nonostante i suoi difetti, per la giustizia sociale…».

Bertrand Russel aveva scritto: «Nulla al mondo, e nulla nella coscienza stessa dell'uomo potrà essere uguale a prima, dopo Aushwitz».
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