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Che cosa ha insegnato la pandemia alla classe politica tranese?
Lettera in redazione di Anna Rossi e Andrea Acquaviva (Comitato Bene Comune)
giovedì 23 aprile 2020
13.44
Nel tempo in cui un'improvvisa variabile impazzita ha causato il crollo di dogmi e certezze determinando un cambiamento profondo nella nostra esistenza, ci si interroga da più parti sul dopo, su come sarà l'agognato ritorno alla normalità.
Ciò che stiamo vivendo rappresenta un profondo trauma collettivo che ci costringe a riflettere, e a prendere coscienza della fragilità di un sistema che, in nome del liberismo, del capitalismo e della corsa sfrenata al profitto, ha trascurato del tutto la tutela degli esseri umani, che si ritrovano così profondamente minacciati: da una pandemia influenzale oggi, ma da ogni altro ipotizzabile cataclisma conseguente allo sfruttamento sconsiderato delle risorse ambientali domani.
È evidente che l'aver privilegiato l'obiettivo del profitto per pochi su ogni forma di investimento in grado di garantire benessere, salute e valore per tutti, ci ha condotti alla estrema vulnerabilità che stiamo, ora, drammaticamente vivendo.
Oggi abbiamo capito che non siamo onnipotenti e immortali ma basta un nulla per distruggerci, per falcidiare vite umane e mettere in crisi le fondamenta su cui poggia il sistema politico, economico e sociale. Occorre quindi ripensare i modelli produttivi, rivedere il nostro rapporto con l'ambiente, capire quali sono i bisogni realmente importanti delle persone e rimetterli al centro.
Ma siamo sicuri che la politica abbia la capacità e la volontà di recepire gli stimoli che premono per un profondo rinnovamento? Guardiamo ad esempio a quello che si sta programmando per il futuro prossimo nella nostra città.
È notizia proprio di questi giorni quella del rilascio della autorizzazione amministrativa alla costruzione di due nuovi palazzi che prenderanno il posto di una storica villa abbattuta tempo addietro, in circostanze poco chiare, nonostante si trattasse di un bene tutelato dal Pug di Trani dell'epoca. Mettendo da parte ogni perplessità sulla correttezza dell'iter della procedura di autorizzazione, ciò che interessa valutare in primo luogo è la visione politica.
Siamo di fronte all'ennesima cementificazione non giustificata, visto e considerato l'eccesso di offerta nel mercato immobiliare. Un atto che prosegue l'opera di irrazionale densificazione edilizia di una zona di pregio paesaggistico, quella del lungomare, che continua a subire una trasfigurazione della sua fisionomia, non per soddisfare un'esigenza popolare ma per rivolgersi solo agli strati più facoltosi della città, gli unici che, soprattutto dopo la crisi attuale, potranno avere accesso a questo genere di mercato.
Autorizzata poi, sempre in questo periodo di apparente immobilità, e con una concessione della durata di 10 anni, l'installazione di strutture destinate alla realizzazione di spettacoli di fontane danzanti sul tratto di spiaggia della baia di Colonna.
Ci si dovrebbe domandare quale tipo di turismo può attrarre questo genere di offerta. Probabilmente non quello da città slow, quale millantiamo di essere. E, forse poi, una città che ambisce ad ottenere il titolo di capitale della cultura dovrebbe provare a mettere in campo idee più consone a ciò che la cultura rappresenta. Senza considerare inoltre che, ancora colpevolmente assente un piano delle coste che dovrebbe regolamentare la quota di fruibilità da garantire al pubblico e quella cedibile al privato, ci troviamo di fronte ad una sostanziale ulteriore privatizzazione del litorale.
E, infine, per non farci mancare nulla, apprendiamo, ancora in questi giorni, che è prossima la realizzazione di un nuovo centro commerciale. Ed anche in questo caso non possiamo non interrogarci: è questo ciò di cui abbiamo davvero bisogno per il futuro?
Si tratta dell'ennesimo tempio del superfluo e dell'effimero, che crea falsi bisogni per indurre al consumo compulsivo; che distrugge l'economia di prossimità, quella dei piccoli negozi e botteghe dove si privilegiano la qualità, la fiducia, la relazione; che, in mancanza di veri spazi di aggregazione, attrae i giovani che vi trovano un divertimento falso e vuoto.
È davvero quanto di meglio possiamo sperare per il tempo in cui riemergeremo dalla terribile esperienza che stiamo attraversando?
Questa pandemia che ha cambiato le nostre abitudini, che ha modificato le modalità lavorative, che ha rallentato i ritmi produttivi, che ha liberato città, mari e fiumi da buona parte dell'inquinamento prodotto da industrie e traffico, dovrebbe averci fatto comprendere che cambiare direzione per andare finalmente verso una società più sana si può e si deve. Una società dove ci sia meno cemento e più aree verdi, meno consumo di suolo e più rispetto dell'ecosistema, meno centri commerciali e più centri sportivi, meno palazzi e più teatri e contenitori culturali, meno traffico urbano e più mobilità sostenibile, meno privato e più pubblico, meno interesse particolare e più cura del collettivo, meno disuguaglianza e più equità e giustizia sociale.
La sfida per il futuro è dunque estremamente importante. E se non saremo capaci di coglierla oggi, niente potrà più salvarci domani
Anna Rossi – Andrea Acquaviva
Comitato Bene Comune
Ciò che stiamo vivendo rappresenta un profondo trauma collettivo che ci costringe a riflettere, e a prendere coscienza della fragilità di un sistema che, in nome del liberismo, del capitalismo e della corsa sfrenata al profitto, ha trascurato del tutto la tutela degli esseri umani, che si ritrovano così profondamente minacciati: da una pandemia influenzale oggi, ma da ogni altro ipotizzabile cataclisma conseguente allo sfruttamento sconsiderato delle risorse ambientali domani.
È evidente che l'aver privilegiato l'obiettivo del profitto per pochi su ogni forma di investimento in grado di garantire benessere, salute e valore per tutti, ci ha condotti alla estrema vulnerabilità che stiamo, ora, drammaticamente vivendo.
Oggi abbiamo capito che non siamo onnipotenti e immortali ma basta un nulla per distruggerci, per falcidiare vite umane e mettere in crisi le fondamenta su cui poggia il sistema politico, economico e sociale. Occorre quindi ripensare i modelli produttivi, rivedere il nostro rapporto con l'ambiente, capire quali sono i bisogni realmente importanti delle persone e rimetterli al centro.
Ma siamo sicuri che la politica abbia la capacità e la volontà di recepire gli stimoli che premono per un profondo rinnovamento? Guardiamo ad esempio a quello che si sta programmando per il futuro prossimo nella nostra città.
È notizia proprio di questi giorni quella del rilascio della autorizzazione amministrativa alla costruzione di due nuovi palazzi che prenderanno il posto di una storica villa abbattuta tempo addietro, in circostanze poco chiare, nonostante si trattasse di un bene tutelato dal Pug di Trani dell'epoca. Mettendo da parte ogni perplessità sulla correttezza dell'iter della procedura di autorizzazione, ciò che interessa valutare in primo luogo è la visione politica.
Siamo di fronte all'ennesima cementificazione non giustificata, visto e considerato l'eccesso di offerta nel mercato immobiliare. Un atto che prosegue l'opera di irrazionale densificazione edilizia di una zona di pregio paesaggistico, quella del lungomare, che continua a subire una trasfigurazione della sua fisionomia, non per soddisfare un'esigenza popolare ma per rivolgersi solo agli strati più facoltosi della città, gli unici che, soprattutto dopo la crisi attuale, potranno avere accesso a questo genere di mercato.
Autorizzata poi, sempre in questo periodo di apparente immobilità, e con una concessione della durata di 10 anni, l'installazione di strutture destinate alla realizzazione di spettacoli di fontane danzanti sul tratto di spiaggia della baia di Colonna.
Ci si dovrebbe domandare quale tipo di turismo può attrarre questo genere di offerta. Probabilmente non quello da città slow, quale millantiamo di essere. E, forse poi, una città che ambisce ad ottenere il titolo di capitale della cultura dovrebbe provare a mettere in campo idee più consone a ciò che la cultura rappresenta. Senza considerare inoltre che, ancora colpevolmente assente un piano delle coste che dovrebbe regolamentare la quota di fruibilità da garantire al pubblico e quella cedibile al privato, ci troviamo di fronte ad una sostanziale ulteriore privatizzazione del litorale.
E, infine, per non farci mancare nulla, apprendiamo, ancora in questi giorni, che è prossima la realizzazione di un nuovo centro commerciale. Ed anche in questo caso non possiamo non interrogarci: è questo ciò di cui abbiamo davvero bisogno per il futuro?
Si tratta dell'ennesimo tempio del superfluo e dell'effimero, che crea falsi bisogni per indurre al consumo compulsivo; che distrugge l'economia di prossimità, quella dei piccoli negozi e botteghe dove si privilegiano la qualità, la fiducia, la relazione; che, in mancanza di veri spazi di aggregazione, attrae i giovani che vi trovano un divertimento falso e vuoto.
È davvero quanto di meglio possiamo sperare per il tempo in cui riemergeremo dalla terribile esperienza che stiamo attraversando?
Questa pandemia che ha cambiato le nostre abitudini, che ha modificato le modalità lavorative, che ha rallentato i ritmi produttivi, che ha liberato città, mari e fiumi da buona parte dell'inquinamento prodotto da industrie e traffico, dovrebbe averci fatto comprendere che cambiare direzione per andare finalmente verso una società più sana si può e si deve. Una società dove ci sia meno cemento e più aree verdi, meno consumo di suolo e più rispetto dell'ecosistema, meno centri commerciali e più centri sportivi, meno palazzi e più teatri e contenitori culturali, meno traffico urbano e più mobilità sostenibile, meno privato e più pubblico, meno interesse particolare e più cura del collettivo, meno disuguaglianza e più equità e giustizia sociale.
La sfida per il futuro è dunque estremamente importante. E se non saremo capaci di coglierla oggi, niente potrà più salvarci domani
Anna Rossi – Andrea Acquaviva
Comitato Bene Comune