La NarraVita
In nome del Figlio
Oggi la narravita racconta la storia dei sogni di un figlio e della sua famiglia
domenica 1 febbraio 2015
7.24
Non posso fare il nome di questo bambino perché è un minore e soprattutto per difenderlo dagli attacchi e dalle critiche che regnano sovrane. A. è un bambino di nove anni figlio di una famiglia immigrata che vive a Trani da undici anni e che da grande vuole diventare dottore per curare i bambini, pediatra dunque, anche se ancora non conosce questa parola.
Suo padre, ogni mattina, alle 4.00 in punto si sveglia e quasi come tutti i cittadini immigrati va a lavorare in una cava per la lavorazione del marmo a realizzare, per almeno dieci ore al giorno, quelle che tutti i tranesi sanno chiamarsi "chiangarelle", ossia bancali di marmo. A "nero" ovviamente. Sua madre, avvocato nel suo paese, ogni mattina alle 3.30 si sveglia per preparare il pranzo a suo marito. Poi sbriga le faccende domestiche, come ogni mamma, e alle 7.00 in punto sveglia A. e lo accompagna a scuola, a piedi perché il bus è una spesa cui rinunicare. Il quadro è finito quando vedi lei, la piccolina, di soli due anni che corre, mangia, ride e ti guarda fissa fissa e ti dice ciao.
Come questa, di famiglie a Trani ce ne sono tante, ne ho stretta conoscenza, per inclinazione morale e soprattutto per sete di conoscenza di culture diverse dalla mia eppure questa famiglia mi ha colpito immensamente. Mi ha colpita l'umanità, mi ha colpita la dignità con cui, nonostante le infinite difficoltà vanno avanti senza chiedere nulla, alla gente, ai servizi della nostra città.
È un bambino che promette bene A., soddisfatto ti guarda e ti mostra i suoi dieci su tutti i quaderni di scuola. Le maestre ne sono orgogliosissime, il papà e la mamma allo stesso modo. Parla perfettamente l'italiano e l'arabo, studia con ottimi risultati l'italiano e l'arabo. Come tutti i bambini della sua età gioca a calcio. Se gli chiedi la nazionalità ti risponde che è un pochino tranese, non italiano e un pochino arabo. Gli piace Trani, ha paura del mare, gli piace la villa comunale e le piazze dove gioca con gli altri bambini, perfettamente integrato nella comunità. Disegna alla perfezione, colora e guarda i cartoni animati. Desidera le scarpe "firmate" come tutti i suoi amichetti ma non le chiede, perché sa che è un lusso che al momento non può permettersi. Ha la responsabilità tipica degli adulti, il piglio deciso dei bambini dei nostri giorni. Conosce la differenza tra bene e male, tra bianco e nero e quando qualche bambino lo chiama "muso nero" lui non risponde e non si offende. Dice che è normale perché davvero è un "po' nero".
Sono entrata in questa famiglia otto anni fa in punta di piedi, troppo occidentale io e troppo musulmani loro. Eppure di fronte a chi dice che esiste l'estremismo, per chi ha ancora paura delle distinzioni sociali esistono famiglie come questa. Famiglie a cui non interessa se ti metti una gonna troppo corta. Famiglie che rispettano la tua religione e la tua cultura perché tu rispetti loro.
Dovremmo imparare da A. a non vivere con pena, pietà e compassione la loro condizione di stranieri, ma rispettarli come si fa con gli amici più cari, imparando che esiste il melting pot e che da questo possiamo imparare mille cose. Sono sicura che A. diventarà un pediatra. Coltiva il sogno con calma e pazienza, ma soprattutto con grande grande impegno. E Trani allora potrà essere orgogliosa di lui. Io lo sono da sempre.
Suo padre, ogni mattina, alle 4.00 in punto si sveglia e quasi come tutti i cittadini immigrati va a lavorare in una cava per la lavorazione del marmo a realizzare, per almeno dieci ore al giorno, quelle che tutti i tranesi sanno chiamarsi "chiangarelle", ossia bancali di marmo. A "nero" ovviamente. Sua madre, avvocato nel suo paese, ogni mattina alle 3.30 si sveglia per preparare il pranzo a suo marito. Poi sbriga le faccende domestiche, come ogni mamma, e alle 7.00 in punto sveglia A. e lo accompagna a scuola, a piedi perché il bus è una spesa cui rinunicare. Il quadro è finito quando vedi lei, la piccolina, di soli due anni che corre, mangia, ride e ti guarda fissa fissa e ti dice ciao.
Come questa, di famiglie a Trani ce ne sono tante, ne ho stretta conoscenza, per inclinazione morale e soprattutto per sete di conoscenza di culture diverse dalla mia eppure questa famiglia mi ha colpito immensamente. Mi ha colpita l'umanità, mi ha colpita la dignità con cui, nonostante le infinite difficoltà vanno avanti senza chiedere nulla, alla gente, ai servizi della nostra città.
È un bambino che promette bene A., soddisfatto ti guarda e ti mostra i suoi dieci su tutti i quaderni di scuola. Le maestre ne sono orgogliosissime, il papà e la mamma allo stesso modo. Parla perfettamente l'italiano e l'arabo, studia con ottimi risultati l'italiano e l'arabo. Come tutti i bambini della sua età gioca a calcio. Se gli chiedi la nazionalità ti risponde che è un pochino tranese, non italiano e un pochino arabo. Gli piace Trani, ha paura del mare, gli piace la villa comunale e le piazze dove gioca con gli altri bambini, perfettamente integrato nella comunità. Disegna alla perfezione, colora e guarda i cartoni animati. Desidera le scarpe "firmate" come tutti i suoi amichetti ma non le chiede, perché sa che è un lusso che al momento non può permettersi. Ha la responsabilità tipica degli adulti, il piglio deciso dei bambini dei nostri giorni. Conosce la differenza tra bene e male, tra bianco e nero e quando qualche bambino lo chiama "muso nero" lui non risponde e non si offende. Dice che è normale perché davvero è un "po' nero".
Sono entrata in questa famiglia otto anni fa in punta di piedi, troppo occidentale io e troppo musulmani loro. Eppure di fronte a chi dice che esiste l'estremismo, per chi ha ancora paura delle distinzioni sociali esistono famiglie come questa. Famiglie a cui non interessa se ti metti una gonna troppo corta. Famiglie che rispettano la tua religione e la tua cultura perché tu rispetti loro.
Dovremmo imparare da A. a non vivere con pena, pietà e compassione la loro condizione di stranieri, ma rispettarli come si fa con gli amici più cari, imparando che esiste il melting pot e che da questo possiamo imparare mille cose. Sono sicura che A. diventarà un pediatra. Coltiva il sogno con calma e pazienza, ma soprattutto con grande grande impegno. E Trani allora potrà essere orgogliosa di lui. Io lo sono da sempre.