Standing Ovation
Arte, una commedia spiazzante
Il ritorno di Marco Pilone al teatro semiserio - impegnato
venerdì 9 gennaio 2009
Marco Pilone e con lui la plurilodata e pluripremiata compagnia - associazione Mimesis, tornano a cimentarsi col teatro impegnato in tematiche che riguardano l'uomo contemporaneo, le sue nevrosi, le sue passioni, le sue debolezze.
Tutto in un atto tratto da una semisconosciuta novella dal sapore introspettivo e tipicamente novecentesco, con un testo non facilissimo, che Pilone rielabora da par suo, da vecchio (si fa per dire) lupo di palcoscenico e riversa sul pubblico ancora preso dal dolce sapore che ha in bocca delle "cartellate" vernacolari di Guacci e alquanto inacidito dalla inaspettata debacle di Gianfranco D'Angelo in un esordio della stagione teatrale un po' così, con un'opera ed una prestazione del noto attore al di sotto delle attese.
Ma torniamo ai nostri, torniamo alla commedia semiseria in un atto "Arte". Pilone dispone il suo trio di attori protagonisti unici, Cozzoli - Cirillo - Filannino, insieme ad una scenografia ai limiti dell'essenziale, come pedine su di uno scacchiere: quello dell'animo umano ripreso, a seconda dei soggetti, dalle varie angolazioni possibli e immaginabili, quando viene sottoposto al rapporto d'amicizia, al rapporto con le varie forme d'arte, al rapporto col cibo, con l'amore, con la solitudine, con il matrimonio.
Tutta questa serie di moti dell'animo, si riversa in un assurdo dialogo a tre, che dopo un inizio statico incentrato sulla reazione nei confronti di una forma d'arte cosiddetta d'avanguardia, inizia a roteare in modo concentrico su se stesso, toccando periodicamente le corde delle tre diverse sensibilità dei protagonisti, a seconda dei caratteri, delle loro storie, delle sconfitte e delle paure o insicurezze; il tutto intorno alle esistenze di questi tre "vinti" contemporanei, ognuno con le sue fisime, ognuno con le sue contraddizioni, coi rancori e vecchi risentimenti che emergono man mano che le battute circolano sulla platea incerta sul senso della vita, fino a spiazzarla nell'epilogo che improvvismante, nel nome della comprensione e della solidarietà verso le reciproche debolezze, riordina, in consueto schema da risoluzione teatrale, le loro menti e la loro visione della vita, dell'arte e dell'uomo; una risoluzione però solo apparentemente pacificatoria, poichè l'ultima immagine, l'ultimo riferimento, è sempre per un uomo perso nel vuoto e nel nulla, secondo il richiamo simbolico di un'opera d'arte protagonista insieme ai tre per tutto l'arco della vicenda.
Pilone non delude nella sua capacità di gestione scenica che si avvale di un ottimo richiamo di luci e di pianoforte accompagnatore ad hoc, per mano del maestro Roberto Fasciano. Marco continua sulla sua strada che ci mostra tradizione e sperimentazione, in un'alternanza che conferma la sua poliedrica bravura, unitamente alla capacità recitativa, in questo frangente, di attori in grado di fornire la giusta intensità alle tematiche trattate e alla vicenda.
Tutto in un atto tratto da una semisconosciuta novella dal sapore introspettivo e tipicamente novecentesco, con un testo non facilissimo, che Pilone rielabora da par suo, da vecchio (si fa per dire) lupo di palcoscenico e riversa sul pubblico ancora preso dal dolce sapore che ha in bocca delle "cartellate" vernacolari di Guacci e alquanto inacidito dalla inaspettata debacle di Gianfranco D'Angelo in un esordio della stagione teatrale un po' così, con un'opera ed una prestazione del noto attore al di sotto delle attese.
Ma torniamo ai nostri, torniamo alla commedia semiseria in un atto "Arte". Pilone dispone il suo trio di attori protagonisti unici, Cozzoli - Cirillo - Filannino, insieme ad una scenografia ai limiti dell'essenziale, come pedine su di uno scacchiere: quello dell'animo umano ripreso, a seconda dei soggetti, dalle varie angolazioni possibli e immaginabili, quando viene sottoposto al rapporto d'amicizia, al rapporto con le varie forme d'arte, al rapporto col cibo, con l'amore, con la solitudine, con il matrimonio.
Tutta questa serie di moti dell'animo, si riversa in un assurdo dialogo a tre, che dopo un inizio statico incentrato sulla reazione nei confronti di una forma d'arte cosiddetta d'avanguardia, inizia a roteare in modo concentrico su se stesso, toccando periodicamente le corde delle tre diverse sensibilità dei protagonisti, a seconda dei caratteri, delle loro storie, delle sconfitte e delle paure o insicurezze; il tutto intorno alle esistenze di questi tre "vinti" contemporanei, ognuno con le sue fisime, ognuno con le sue contraddizioni, coi rancori e vecchi risentimenti che emergono man mano che le battute circolano sulla platea incerta sul senso della vita, fino a spiazzarla nell'epilogo che improvvismante, nel nome della comprensione e della solidarietà verso le reciproche debolezze, riordina, in consueto schema da risoluzione teatrale, le loro menti e la loro visione della vita, dell'arte e dell'uomo; una risoluzione però solo apparentemente pacificatoria, poichè l'ultima immagine, l'ultimo riferimento, è sempre per un uomo perso nel vuoto e nel nulla, secondo il richiamo simbolico di un'opera d'arte protagonista insieme ai tre per tutto l'arco della vicenda.
Pilone non delude nella sua capacità di gestione scenica che si avvale di un ottimo richiamo di luci e di pianoforte accompagnatore ad hoc, per mano del maestro Roberto Fasciano. Marco continua sulla sua strada che ci mostra tradizione e sperimentazione, in un'alternanza che conferma la sua poliedrica bravura, unitamente alla capacità recitativa, in questo frangente, di attori in grado di fornire la giusta intensità alle tematiche trattate e alla vicenda.