Standing Ovation
"L’imbecillità è una cosa seria": Maurizio Ferraris recensito da Giovanni Ronco
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domenica 26 febbraio 2017
Maurizio Ferraris ha scritto un pamphlet edito da "il Mulino", 129 pagg, 12 euro, "L'imbecillità è una cosa seria", che sta ottenendo un gran successo di pubblico e critica e racconta in modo scientifico come l'umanità, anche quella più intelligente ed attrezzata, possa andare inevitabilmente incontro ai danni dovuti alla propria imbecillità. Il testo si compone di un' imbarazzante panoramica storica di grandi esempi di imbecillità deleteria per se stessi e per chi ci viveva intorno, da parte di grandi personaggi; prende man mano le fattezze di un piccolo manuale per consigliere i lettori sui modi migliori per evitare di cadere nei gorghi dell'imbecillità che secondo l'autore è latente in ogni essere umano; ed è sempre pronta, a seconda delle circostanze, a manifestarsi, scatenando i propri effetti devastanti.
Fra i tanti esempi illustri ne voglio ricordare uno che credo renda l'idea ai lettori, del tipo di testo che affronteranno: sia Tolstoj che Gadda ritennero che un essere umano che "abbia la pretesa di essere tutto" possa essere considerato un imbecille: basti pensare a Napoleone: "chi, se non un imbecille"- sostengono- sarebbe andato in Russia giocandosi casa, impero e patrimonio?". Non manca una sorta di glossario interno, con termini specificati nelle loro differenti sfumature, tipo "coglioneria, idiozia, imbecillità". Insomma secondo Ferraris non c'è grandezza umana che non sia oscurata dall'imbecillità, che anzi, rappresentando la parte reale dell'essere, non quella mascherata dalle convenzioni, è la condizione che favorisce le grandi illuminazioni. Un libro che nel suo spirito paradossale ci spiega come l'umanità debba sempre confrontarsi con questa parte del suo essere. La parte "scema" che può far perdere tutto quando si sta vincendo e si tenta di stravincere, o la parte illuminante che, nella sua incoscienza, può portare a grandi scoperte, intuizioni o addirittura elevazioni dello spirito, non gravato da sovrastrutture e vincoli, ma libero di farci sbagliare, quindi di diventare veri uomini.
L'autore si "diverte" e diverte i lettori distinguendo un'imbecillità di massa ed un d'elite, una consapevole e una inconsapevole; l'imbecillità dell'uomo che nasce sottomesso, solo, indifeso (atavica) e quella dell'uomo che crede essere "dritto" sottomettendo gli altri per il raggiungimento dei propri scopi, poi puntualmente punito, nella sua tracotanza (ubris di classica memoria) con l'inevitabile caduta (tisis). Si va dall'imbecillità degli umili, come quella mirabilmente raccontata dal Manzoni (gli umili sono i buoni, certo, ma non si astengono dal manifestare la propria imbecillità – vedi Renzo a Milano, durante l'assalto ai forni) a quella dei cosiddetti "Venerati Maestri", filosofi ed intellettuali non esenti da comportamenti e pensieri malsani, fino (e faccio un salto per motivi di sintesi – c'è molto altro argomentare sull'argomento-) all'imbecillità dilagante e non più arginabile che molti sfoggiano sui social network, un vero concentrato di sadismo, masochismo, egocentrismo, piccineria, banalità, tutte sfumature diverse, di un'unica matrice.
Fra i tanti esempi illustri ne voglio ricordare uno che credo renda l'idea ai lettori, del tipo di testo che affronteranno: sia Tolstoj che Gadda ritennero che un essere umano che "abbia la pretesa di essere tutto" possa essere considerato un imbecille: basti pensare a Napoleone: "chi, se non un imbecille"- sostengono- sarebbe andato in Russia giocandosi casa, impero e patrimonio?". Non manca una sorta di glossario interno, con termini specificati nelle loro differenti sfumature, tipo "coglioneria, idiozia, imbecillità". Insomma secondo Ferraris non c'è grandezza umana che non sia oscurata dall'imbecillità, che anzi, rappresentando la parte reale dell'essere, non quella mascherata dalle convenzioni, è la condizione che favorisce le grandi illuminazioni. Un libro che nel suo spirito paradossale ci spiega come l'umanità debba sempre confrontarsi con questa parte del suo essere. La parte "scema" che può far perdere tutto quando si sta vincendo e si tenta di stravincere, o la parte illuminante che, nella sua incoscienza, può portare a grandi scoperte, intuizioni o addirittura elevazioni dello spirito, non gravato da sovrastrutture e vincoli, ma libero di farci sbagliare, quindi di diventare veri uomini.
L'autore si "diverte" e diverte i lettori distinguendo un'imbecillità di massa ed un d'elite, una consapevole e una inconsapevole; l'imbecillità dell'uomo che nasce sottomesso, solo, indifeso (atavica) e quella dell'uomo che crede essere "dritto" sottomettendo gli altri per il raggiungimento dei propri scopi, poi puntualmente punito, nella sua tracotanza (ubris di classica memoria) con l'inevitabile caduta (tisis). Si va dall'imbecillità degli umili, come quella mirabilmente raccontata dal Manzoni (gli umili sono i buoni, certo, ma non si astengono dal manifestare la propria imbecillità – vedi Renzo a Milano, durante l'assalto ai forni) a quella dei cosiddetti "Venerati Maestri", filosofi ed intellettuali non esenti da comportamenti e pensieri malsani, fino (e faccio un salto per motivi di sintesi – c'è molto altro argomentare sull'argomento-) all'imbecillità dilagante e non più arginabile che molti sfoggiano sui social network, un vero concentrato di sadismo, masochismo, egocentrismo, piccineria, banalità, tutte sfumature diverse, di un'unica matrice.