Standing Ovation
La cultura dell'integrazione parte dalla lotta agli sfaccendati
STANDING OVATION - Recensioni ed elzeviri di Giovanni Ronco
domenica 20 agosto 2017
Sono ormai diversi mesi che la scena si ripete: gruppi piccoli o grandi di ragazzi e ragazze di colore, molti dei quali ospitati in strutture religiose, che vagano per la città.
Prima scena, lungomare Cristoforo Colombo; seconda scena: via Sant'Annibale; terza scena: porto; quarta scena in corso Imbriani. Il copione è sempre lo stesso: ragazzi che ciondolano per la città con cuffiette collegate allo smartphone, ragazzi in bicicletta, sempre con cuffiette, ragazzi che vagano senza una meta precisa. Qualcuno dice: "Ok, ma non fanno male a nessuno". Ok, ma perché tenerli così come larve umane? Quando arrivò il primo gruppetto, fu sollevato un breve e fugace dibattito, poi spentosi dopo qualche settimana; si parlò d'una sistemazione temporanea, d'un modo per tamponare un momento di emergenza; sono passati i mesi; abbiamo perso il conto di quanti ne siano scivolati via.
Passando da via Dalmazia, durante più mattinate, è stato possibile vedere alcune di queste ragazze, che non facevano altro che guardare una piccola squadra di operai impegnati in lavori di rifacimento, alle spalle della chiesa del Sacro Cuore, nella cui struttura adiacente, sono state ospitate. Passando da via Mario Pagano, a pochi isolati dalla casa di Giovanni Bovio occupata: altri ragazzi seduti sul marciapiede guardano e compulsano i propri telefonini. Il caldo dev'essere opprimente pure per loro che vengono dall'Africa centro – meridionale: uno è disteso a ridosso del balconcino della struttura che ospita il folto gruppo, si vedono materassi per terra.
Quella che avrebbe dovuto essere una temporanea ospitalità è divenuta una residenza vera e propria e bisogna cominciare a parlare in termini diversi, riguardo al loro rapporto con quella che è ormai la loro nuova città: integrazione è concetto di vita pratica, non buono per dotte dissertazioni, convegni o pensosi articoli. La sporcizia in città è ovunque. Le erbacce affiorano, se non nelle vie principali, almeno quando va bene, si fa per dire, in vie secondarie. Perché, di concerto con i vertici governativi non si avviano attività, con le quali tenere impegnati questi ragazzi che volendo o no, costituiscono una risorsa di forze e gioventù presente sul nostro territorio?
Nella vicina Bisceglie la musica non cambia: ad ogni ora del giorno, gruppi di ragazzi di colore passeggiano sfaccendati e stazionano giocando a calcio nel piazzale prospiciente il centro che li ospita. Perché non avviarli a centri di formazione professionale, insieme ai tanti ragazzi disoccupati che già frequentano i nostri enti (a loro volta, questi nostri giovani, abbandonati a se stessi dalle istituzioni). Il lavoro e l'impegno, un minimo di approccio alla nostra cultura, alla nostra lingua, sarebbero il primo passo per l'integrazione, termine col quale molti professori e intellettuali, nonché politici, specie di centro – sinistra, si sciacquano quotidianamente la bocca. Perché tra una riunione e l'altra in cui si scornano per le nuove assegnazioni d'incarichi e poltrone, nessuno tira fuori uno straccio di progetto? Meno Cencelli, ogni tanto, ed un minimo di progettualità per le tante risorse lasciate a languire sul nostro territorio, tra giovani locali ed extra comunitari.
Prima scena, lungomare Cristoforo Colombo; seconda scena: via Sant'Annibale; terza scena: porto; quarta scena in corso Imbriani. Il copione è sempre lo stesso: ragazzi che ciondolano per la città con cuffiette collegate allo smartphone, ragazzi in bicicletta, sempre con cuffiette, ragazzi che vagano senza una meta precisa. Qualcuno dice: "Ok, ma non fanno male a nessuno". Ok, ma perché tenerli così come larve umane? Quando arrivò il primo gruppetto, fu sollevato un breve e fugace dibattito, poi spentosi dopo qualche settimana; si parlò d'una sistemazione temporanea, d'un modo per tamponare un momento di emergenza; sono passati i mesi; abbiamo perso il conto di quanti ne siano scivolati via.
Passando da via Dalmazia, durante più mattinate, è stato possibile vedere alcune di queste ragazze, che non facevano altro che guardare una piccola squadra di operai impegnati in lavori di rifacimento, alle spalle della chiesa del Sacro Cuore, nella cui struttura adiacente, sono state ospitate. Passando da via Mario Pagano, a pochi isolati dalla casa di Giovanni Bovio occupata: altri ragazzi seduti sul marciapiede guardano e compulsano i propri telefonini. Il caldo dev'essere opprimente pure per loro che vengono dall'Africa centro – meridionale: uno è disteso a ridosso del balconcino della struttura che ospita il folto gruppo, si vedono materassi per terra.
Quella che avrebbe dovuto essere una temporanea ospitalità è divenuta una residenza vera e propria e bisogna cominciare a parlare in termini diversi, riguardo al loro rapporto con quella che è ormai la loro nuova città: integrazione è concetto di vita pratica, non buono per dotte dissertazioni, convegni o pensosi articoli. La sporcizia in città è ovunque. Le erbacce affiorano, se non nelle vie principali, almeno quando va bene, si fa per dire, in vie secondarie. Perché, di concerto con i vertici governativi non si avviano attività, con le quali tenere impegnati questi ragazzi che volendo o no, costituiscono una risorsa di forze e gioventù presente sul nostro territorio?
Nella vicina Bisceglie la musica non cambia: ad ogni ora del giorno, gruppi di ragazzi di colore passeggiano sfaccendati e stazionano giocando a calcio nel piazzale prospiciente il centro che li ospita. Perché non avviarli a centri di formazione professionale, insieme ai tanti ragazzi disoccupati che già frequentano i nostri enti (a loro volta, questi nostri giovani, abbandonati a se stessi dalle istituzioni). Il lavoro e l'impegno, un minimo di approccio alla nostra cultura, alla nostra lingua, sarebbero il primo passo per l'integrazione, termine col quale molti professori e intellettuali, nonché politici, specie di centro – sinistra, si sciacquano quotidianamente la bocca. Perché tra una riunione e l'altra in cui si scornano per le nuove assegnazioni d'incarichi e poltrone, nessuno tira fuori uno straccio di progetto? Meno Cencelli, ogni tanto, ed un minimo di progettualità per le tante risorse lasciate a languire sul nostro territorio, tra giovani locali ed extra comunitari.