Standing Ovation
Lello, i serpenti e l’odio figlio della mediocrità
Arena ha aperto la stagione teatrale tranese. Le recensioni di Giovanni Ronco
domenica 22 gennaio 2017
0.41
E' sempre il Lello Arena che abbiamo conosciuto, strabico, un po' claudicante, macchiettistico, ma più pensoso, più maturo, più capace di calarsi in un ruolo che da leggero, come quello del capo della sua disastrata ma apparentemente felice famiglia, diventa tragico nel finale di "Parenti serpenti".
Il rifacimento teatrale del noto e arci-replicato film di Mario Monicelli è spettacolo scabro, secco, diviso a metà come una mela da un colpo secco nella narrazione della spietata vicenda. Commedia a tratti brillante, pur con qualche pausa di troppo nelle scene specie del I atto, con un Arena altrettanto brillante, ma a volte troppo prigioniero del suo antenato personaggio, quello del trio con Troisi e De Caro, troppo istintivo a volte nel fare il verso a quella sagoma degli anni 70-80. Detto questo diciamo che nel II atto Arena è capace di regalare momenti di lirismo teatrale, con singoli monologhi che riflettono il suo pensiero di "personaggio padre vinto" e la sua coscienza immersi nella vicenda fin troppo cruda, ma realistica del suo piccolo inferno famigliare.
In un Natale freddo degli anni 80, una famiglia numerosa si ritrova nella casa dei due anziani genitori: quattro figli, di cui una vedova ed un single (che poi farà outing rivelando la sua omosessualità, con battutacce dimenticabili dei fratelli piccolo borghesi) e due sposati, riversano prima i propri ricordi ed il proprio infantilismo latente sul pubblico e sui genitori stessi, così come i loro malesseri esistenziali, i tic, il perbenismo, le abitudini piccolo borghesi; tutto questo nell' "idillio" del primo atto, col quadretto della famiglia ritrovatasi e con il Lello impegnato nella rappresentazione del vecchio padre ancora ignaro, anche perché già un po' inebetito dall'età, di tutto l'orrore che gli si sta per riversare addosso, un po' come l'Eduardo di Casa Cupiello, cui pure gli piace fare il verso di tanto in tanto.
Il quadro roseo e finto perbene, si tramuta in un museo degli orrori casalingo, orrori morali e relazionali, nel momento in cui i due anziani genitori esprimono il desiderio di passare gli ultimi anni della loro vita a casa di uno dei figli, lasciando loro la decisione su chi dovesse essere il "fortunato", in quanto avrebbe pure ereditato la vecchia e macilenta casa, oltre a metà della povera pensione. A questo punto si scatena una serie di reazioni negative e velenose (ecco l'immagine dei serpenti) che in uno scaricabarile di responsabilità, in base a chi potesse essere il figlio più adatto e "degno" ad accogliere i due anziani, lascia emergere odio sopito, vecchi livori, azioni, anche remote, da rinfacciarsi, frustrazioni fintamente sopite nel tempo, tra i fratelli. Sullo sfondo della vicenda, le abitudini piccolo borghesi odierne ma anche tipiche degli anni 80, periodo in cui è ambientata la vicenda: stare incollati alla tv (oggi sostituita dal web e dallo scivoloso FB) anche e soprattutto durante le festività (proprio la tv rappresenterà il tragico deus ex machina risolutore), i regali natalizi inutili e riciclati, la scappatella tra cognati (nella versione cinematografica molto più divertente nel suo squallore), il lamentarsi circa i malanni cronici.
Il climax d'odio cui si accennava in precedenza, conosce il suo apice nella soluzione finale congegnata dalla prole degenere: fingendo un incidente con una stufa a gas regalata a capodanno, in realtà manomessa appositamente, i figli cani si liberano dell'impiccio facendo fuori i due poveri vecchi. L'ambientazione, fintamente calda e accogliente, come la storia stessa, nascondeva chiaroscuri, come l'animo dei figli, capaci, attraverso la messinscena, di svelare tutto l'odio nascosto in quella dimensione chiamata "famiglia" che, come scriveva l'autore francese Celine, può rivelare senza pietà i suoi "inferni". Crepacci dell'anima ben rappresentati nei vizi capitali e nelle debolezze umane che affiorano di volta in volta, attraverso un'interpretazione discreta, non eccellente (a volte apparsa scolastica), comunque dignitosa ed efficace nel raffigurare avidità, lussuria, vanità, egoismo, infantilismo, frustrazione ed infine malvagità assoluta, proprio quella che devi aspettarti da personaggi mediocri come quelli interpretati nella vicenda.
Il rifacimento teatrale del noto e arci-replicato film di Mario Monicelli è spettacolo scabro, secco, diviso a metà come una mela da un colpo secco nella narrazione della spietata vicenda. Commedia a tratti brillante, pur con qualche pausa di troppo nelle scene specie del I atto, con un Arena altrettanto brillante, ma a volte troppo prigioniero del suo antenato personaggio, quello del trio con Troisi e De Caro, troppo istintivo a volte nel fare il verso a quella sagoma degli anni 70-80. Detto questo diciamo che nel II atto Arena è capace di regalare momenti di lirismo teatrale, con singoli monologhi che riflettono il suo pensiero di "personaggio padre vinto" e la sua coscienza immersi nella vicenda fin troppo cruda, ma realistica del suo piccolo inferno famigliare.
In un Natale freddo degli anni 80, una famiglia numerosa si ritrova nella casa dei due anziani genitori: quattro figli, di cui una vedova ed un single (che poi farà outing rivelando la sua omosessualità, con battutacce dimenticabili dei fratelli piccolo borghesi) e due sposati, riversano prima i propri ricordi ed il proprio infantilismo latente sul pubblico e sui genitori stessi, così come i loro malesseri esistenziali, i tic, il perbenismo, le abitudini piccolo borghesi; tutto questo nell' "idillio" del primo atto, col quadretto della famiglia ritrovatasi e con il Lello impegnato nella rappresentazione del vecchio padre ancora ignaro, anche perché già un po' inebetito dall'età, di tutto l'orrore che gli si sta per riversare addosso, un po' come l'Eduardo di Casa Cupiello, cui pure gli piace fare il verso di tanto in tanto.
Il quadro roseo e finto perbene, si tramuta in un museo degli orrori casalingo, orrori morali e relazionali, nel momento in cui i due anziani genitori esprimono il desiderio di passare gli ultimi anni della loro vita a casa di uno dei figli, lasciando loro la decisione su chi dovesse essere il "fortunato", in quanto avrebbe pure ereditato la vecchia e macilenta casa, oltre a metà della povera pensione. A questo punto si scatena una serie di reazioni negative e velenose (ecco l'immagine dei serpenti) che in uno scaricabarile di responsabilità, in base a chi potesse essere il figlio più adatto e "degno" ad accogliere i due anziani, lascia emergere odio sopito, vecchi livori, azioni, anche remote, da rinfacciarsi, frustrazioni fintamente sopite nel tempo, tra i fratelli. Sullo sfondo della vicenda, le abitudini piccolo borghesi odierne ma anche tipiche degli anni 80, periodo in cui è ambientata la vicenda: stare incollati alla tv (oggi sostituita dal web e dallo scivoloso FB) anche e soprattutto durante le festività (proprio la tv rappresenterà il tragico deus ex machina risolutore), i regali natalizi inutili e riciclati, la scappatella tra cognati (nella versione cinematografica molto più divertente nel suo squallore), il lamentarsi circa i malanni cronici.
Il climax d'odio cui si accennava in precedenza, conosce il suo apice nella soluzione finale congegnata dalla prole degenere: fingendo un incidente con una stufa a gas regalata a capodanno, in realtà manomessa appositamente, i figli cani si liberano dell'impiccio facendo fuori i due poveri vecchi. L'ambientazione, fintamente calda e accogliente, come la storia stessa, nascondeva chiaroscuri, come l'animo dei figli, capaci, attraverso la messinscena, di svelare tutto l'odio nascosto in quella dimensione chiamata "famiglia" che, come scriveva l'autore francese Celine, può rivelare senza pietà i suoi "inferni". Crepacci dell'anima ben rappresentati nei vizi capitali e nelle debolezze umane che affiorano di volta in volta, attraverso un'interpretazione discreta, non eccellente (a volte apparsa scolastica), comunque dignitosa ed efficace nel raffigurare avidità, lussuria, vanità, egoismo, infantilismo, frustrazione ed infine malvagità assoluta, proprio quella che devi aspettarti da personaggi mediocri come quelli interpretati nella vicenda.