Standing Ovation
Domenico Scaringi, magnifica inquietudine
Giovanni Ronco recensisce il pittore tranese
domenica 6 novembre 2016
Ho conosciuto artisticamente Domenico Scaringi l'estate di due anni fa, in occasione di una delle rarissime iniziative culturali degne di nota di quella magrissima stagione. I governo Bottaro era stato da poco eletto e si "piangevano" le casse comunali svuotate, ergo, quell'estate, a livello culturale ebbe l'effetto della pasta in bianco che mia madre mi cucinava quando ero ammalato. Rimembranze proustiane a parte, fui subito colpito da quella mostra intitolata "Magnifica Presenza", con tre artisti capaci di regalare immagini non banali ed immediate, capaci di strabiliare l'osservatore esigente, quello che non si accontenta della solita arte da mostra estiva nello chalet, per intenderci.
Giuseppe Amendolara, Gianluca De Cosmo e, appunto, il nostro Domenico Scaringi furono i protagonisti di quello scorcio finale d'estate opaca, che però proprio in quel passaggio, ci regalò un'emozione forte, finalmente. E di Domenico subito mi colpì la pittura non scontata e brillante, genio puro al servizio di una realtà che solo l'artista vero, come i colleghi al suo fianco, riesce a trasfigurare in un lampo d'esaltazione. Ci presi e vidi giusto anche quella volta: come avete avuto modo di leggere nelle notizie di Traniviva dei giorni scorsi, uno dei tre, proprio Domenico Scaringi, ha meritato il terzo premio per la sezione pittura figurativa nella Mostra d'arte della Biennale di Salerno, con l'opera "L'allegoria della superbia".
I soggetti di Scaringi non hanno alcuna intenzione di ammaliarci. Si mostrano senza ipocrisie nel loro reale sentimento, che l'artista rende solenne, pur in un contesto quotidiano, anche dimesso, in cui possono essere calati. La donna che presta il volto all'allegoria della superbia, così come la bambina imbronciata, altra opera di grande effetto, non leccano i piedi di chi guarda, non vogliono trasmettere buonismo o bontà, bellezza facile in cui perdersi: ci sfidano a guardarle a lungo, pur provando astio nei loro confronti. Le detestiamo ma le guardiamo per intravvedere nelle pieghe delle loro espressioni, lodevolmente rese da Scaringi, qualcosa che ci catturi ugualmente, qualcosa che ci incolli ai loro volti. Il nostro Domenico Scaringi è capace di cogliere quell'attimo decisivo in grado di trasmettere un atteggiamento reale, non costruito, non posticcio. Scaringi non vuole rendere l'arte splendente o immaginifica; vuole sbatterla in faccia con tutta l'antipatia che l'umanità è in grado di sprigionare. Ad ogni modo: urge una "Magnifica Presenza, atto II" (avviso al curatore di allora, Mario Serino).
Giuseppe Amendolara, Gianluca De Cosmo e, appunto, il nostro Domenico Scaringi furono i protagonisti di quello scorcio finale d'estate opaca, che però proprio in quel passaggio, ci regalò un'emozione forte, finalmente. E di Domenico subito mi colpì la pittura non scontata e brillante, genio puro al servizio di una realtà che solo l'artista vero, come i colleghi al suo fianco, riesce a trasfigurare in un lampo d'esaltazione. Ci presi e vidi giusto anche quella volta: come avete avuto modo di leggere nelle notizie di Traniviva dei giorni scorsi, uno dei tre, proprio Domenico Scaringi, ha meritato il terzo premio per la sezione pittura figurativa nella Mostra d'arte della Biennale di Salerno, con l'opera "L'allegoria della superbia".
I soggetti di Scaringi non hanno alcuna intenzione di ammaliarci. Si mostrano senza ipocrisie nel loro reale sentimento, che l'artista rende solenne, pur in un contesto quotidiano, anche dimesso, in cui possono essere calati. La donna che presta il volto all'allegoria della superbia, così come la bambina imbronciata, altra opera di grande effetto, non leccano i piedi di chi guarda, non vogliono trasmettere buonismo o bontà, bellezza facile in cui perdersi: ci sfidano a guardarle a lungo, pur provando astio nei loro confronti. Le detestiamo ma le guardiamo per intravvedere nelle pieghe delle loro espressioni, lodevolmente rese da Scaringi, qualcosa che ci catturi ugualmente, qualcosa che ci incolli ai loro volti. Il nostro Domenico Scaringi è capace di cogliere quell'attimo decisivo in grado di trasmettere un atteggiamento reale, non costruito, non posticcio. Scaringi non vuole rendere l'arte splendente o immaginifica; vuole sbatterla in faccia con tutta l'antipatia che l'umanità è in grado di sprigionare. Ad ogni modo: urge una "Magnifica Presenza, atto II" (avviso al curatore di allora, Mario Serino).