Storie di città
Iniziò da grillo, poi l'America e Gian Burrasca: ecco Mauro Simone
Rosa Barca e le nostre storie di città
lunedì 3 gennaio 2011
E' tornato sulla scena con Gian Burrasca a metà dicembre a Milano al parco divertimenti Fun&Fun e gli sguardi entusiasti dei più piccoli nel giorno della prima confermano il suo ennesimo trionfo. Il 9 gennaio lo rivedremo sul palcoscenico del teatro Studio Foce a Lugano nei panni del piccolo bambino filosofo in attesa di ritornare a fare regia in grande. Segni particolari: performer. Mauro Simone racconta a Traniweb come la sua vita sia cambiata. A diciotto anni e nel giro di due settimane. «Fin da piccolo - racconta - mi dilettavo per gioco e per passione a far l'attore, mai avrei immaginato che questa sarebbe divenuta la mia professione».
C'era una volta un grillo parlante. E' proprio con la fiaba di Pinocchio che si inaugura la sua esperienza teatrale. «Avevo solo sette anni quando ho messo piede per la prima volta su un palco. La comunità Oasi 2 con Felice di Lernia stava preparando a San Giuseppe l'opera di Collodi con le musiche di Bennato. Erano tutti grandi ed io, piccolino, mi intrufolavo di nascosto nel teatro della parrocchia per spiare le prove. Ricordo che avevo imparato a memoria tutte le battute e quando il caso ha voluto che l'attore nei panni del grillo se ne andasse, con grande faccia tosta mi proposi».
Simone frequentava il liceo artistico e sognava di fare il pittore e il restauratore. Per diletto collaborava con Marco Pilone (con l'associazione teatrale Teatro Mimesis) agli spettacoli nella parrocchia di San Giuseppe (grazie a Don Raffaele Sarno) e frequentava il meeting dance di Katia Sallustio e Nico Carlucci. «Nico mi appoggiava tantissimo. Diceva che sapevo anche ballare, mentre nelle attività sportive a scuola ero davvero una schiappa». A diciotto anni, poi, arriva l'audizione per Grease. «Pensavo cercassero solo delle comparse – racconta - ed invece ai provini cercavano un sostituto di Pietro Pignatelli per il ruolo di Roger. C'erano duecento persone in fila. Fui preso io. In due settimane ho lasciato il camice bianco di restauratore ed i mille impegni qui a Trani e mi sono gettato a capofitto in una cosa più grande di me . E' stato meraviglioso. Mi sono ritrovato a lavorare fianco a fianco a Lorella Cuccarini, Mal e Giampiero Ingrassia». Dopo il successo della fortunata tournée, per Mauro è stato un susseguirsi sfrenato di spettacoli e occasioni. Tra questi, Beatrice e Isidoro con Gianfranco d' Angelo e A qualcuno piace caldo con Gassman e Tognazzi con il mattatore in prima fila al debutto.
Nel 2003 arriva la svolta con Pinocchio, il musical che lo porterà in America nel regno del teatro di Broadway. «Partecipai all'audizione senza dubbi: volevo essere Lucignolo a tutti i costi». Mauro ce la fa anche stavolta: il ruolo è il suo. Da allora ha girato per ben due anni in tutta Italia con ottimi successi di pubblico. Dopo duecentocinquanta repliche gli venne offerta la grande opportunità di confrontarsi con il ruolo di regista. La prima volta, a Milano, al teatro Nazionale con lo spettacolo Toc Toc a time for musical, con Manuel Frattini. «C'è una bella differenza tra l'attore e il regista. L'attore si propone, si fa gestire. Il suo è un ruolo da figlio. Il regista è invece l'accompagnatore, colui che accoglie l'attore e lo indirizza. Quando sei regista pensi al gruppo, pensi all'insieme, diversamente dalla figura dell'attore che è prevalentemente egoista e pensa essenzialmente a se stesso sul palco. Con la regia, inoltre, sono anche riuscito a mettere insieme la passione per la pittura nata sui banchi di scuola, avendo la possibilità di disegnare i bozzetti delle scenografie».
Il mestiere di regista sembra stargli a pennello e la stessa produzione lo conferma proponendogli la regia di un nuovo spettacolo ispirato a Tre metri sopra il cielo, il libro di Federico Moccia. La critica ha accolto positivamente la rielaborazione teatrale e lo stesso pubblico gli ha assicurato il successo: in tutta Italia platee piene. Fortunata anche la scelta di ambientare le vicende nei coloratissimi anni '80, così come prevedeva la prima versione del libro. «Ho anche coinvolto mia madre, sarta, nella realizzazione dei costumi». Mauro Simone si è dedicato anche all'insegnamento nelle accademie di spettacolo per la formazione di ragazzi che vogliano far musical. Attualmente si divide tra Milano e Torino, ma tiene abitualmente seminari in tutta Italia. «Diversamente da quando ho iniziato io, oggi ci sono tantissime accademie. I ragazzi devono fare attenzione nella scelta di quella a loro più affine anche se, per i performer, è necessario saper fare tutto e bene». Un vero artista deve tenersi sempre aggiornato. «A teatro vado almeno una volta a settimana per confrontarmi con le scelte dei registi, per tenermi sempre allenato. L'errore più grande che un ragazzo possa compiere uscendo dall'accademia è quello di interrompere gli studi per lavoro o per pigrizia. L'allenamento è necessario, ti abitua ad entrare con immediatezza in un altro ruolo».
Una delle esperienze più belle è stata certamente lo sbarco di Pinocchio sul pianeta Broadway. «Gli americani spendono un sacco di soldi per gli allestimenti. Qui in Italia non avviene perché lo Stato non offre molto appoggio economico. Un privato fa fatica a mettere in piedi la grande macchina scenica. Gli allestimenti, inoltre, sono fissi diversamente dall'Italia dove si ha una cultura del teatro itinerante». Tra gli spettacoli realizzati di cui è ancora innamorato, ricorda Avenue Q, via della sfiga. «In Italia, purtroppo, si conosce molto poco, sebbene si tratti di un'opera esilarante». E' la storia di una strada sfigata, in cui tutti i residenti soccombono alla sfortuna, nel lavoro e nell'amore. Il tutto è raccontato con i pupazzi. «Non si tratta di uno spettacolo per bambini perché i pupazzi sono irriverenti».
L'ultima fatica, come detto, è Gian Burrasca. «In scena siamo in tre: io, Elena Nieri e Marco Massari. E' uno spettacolo a misura di bambino, un susseguirsi coloratissimo e divertente di canzoni, balletti, musiche e filastrocche con la partecipazione attiva dei piccoli spettatori, invitati ad interagire con gli attori durante la messa in scena. L'esperienza del teatro-animazione mi mancava. Poi è meraviglioso vedere come i bambini si identifichino in Gian Burrasca. Non è cattivo, non fa monellerie. Le sue marachelle si basano sul fatto che vuole raccontare la verità, ma non sempre la verità fa bene, soprattutto quando risulta scomoda ai più grandi».
Quando gli chiediamo se tornerebbe volentieri a lavorare a Trani tentenna. «Non saprei. Purtroppo da noi ci sono molti problemi logistici e di organizzazione. Tornerei se ci fosse un grande sostegno alle spalle». Tra i sogni di Mauro c'è anche quello di interpretare sul palco il ruolo di un cattivo: «Mi hanno fatto fare sempre il comico, il buffone o il ragazzino. Vorrei confrontarmi con un personaggio malvagio come Iago o uno folle come Mercuzio».
Oggi Mauro è fiero di se stesso perché è riuscito a far tutto da solo con le sue sole mani, contando sull'appoggio dei sempre presenti genitori. «Fare teatro è talvolta faticoso. L'attore deve fare un grande lavoro su di sé. La prima cosa che ti insegnano è il metodo Stanislavskij che, basandosi sulla esternazione delle emozioni interiori, ti insegna a superare le paure, a capire perché siamo sovrastrutturati e ad analizzarsi attentamente. Non è così facile. Il teatro non è una terapia, ma di certo è terapeutico. Sarebbe bello se si insegnasse a scuola. I bambini imparerebbero a relazionarsi, a capire come superare le paure e ad avere fiducia in se stessi. E vivrebbero certamente molto meglio».
C'era una volta un grillo parlante. E' proprio con la fiaba di Pinocchio che si inaugura la sua esperienza teatrale. «Avevo solo sette anni quando ho messo piede per la prima volta su un palco. La comunità Oasi 2 con Felice di Lernia stava preparando a San Giuseppe l'opera di Collodi con le musiche di Bennato. Erano tutti grandi ed io, piccolino, mi intrufolavo di nascosto nel teatro della parrocchia per spiare le prove. Ricordo che avevo imparato a memoria tutte le battute e quando il caso ha voluto che l'attore nei panni del grillo se ne andasse, con grande faccia tosta mi proposi».
Simone frequentava il liceo artistico e sognava di fare il pittore e il restauratore. Per diletto collaborava con Marco Pilone (con l'associazione teatrale Teatro Mimesis) agli spettacoli nella parrocchia di San Giuseppe (grazie a Don Raffaele Sarno) e frequentava il meeting dance di Katia Sallustio e Nico Carlucci. «Nico mi appoggiava tantissimo. Diceva che sapevo anche ballare, mentre nelle attività sportive a scuola ero davvero una schiappa». A diciotto anni, poi, arriva l'audizione per Grease. «Pensavo cercassero solo delle comparse – racconta - ed invece ai provini cercavano un sostituto di Pietro Pignatelli per il ruolo di Roger. C'erano duecento persone in fila. Fui preso io. In due settimane ho lasciato il camice bianco di restauratore ed i mille impegni qui a Trani e mi sono gettato a capofitto in una cosa più grande di me . E' stato meraviglioso. Mi sono ritrovato a lavorare fianco a fianco a Lorella Cuccarini, Mal e Giampiero Ingrassia». Dopo il successo della fortunata tournée, per Mauro è stato un susseguirsi sfrenato di spettacoli e occasioni. Tra questi, Beatrice e Isidoro con Gianfranco d' Angelo e A qualcuno piace caldo con Gassman e Tognazzi con il mattatore in prima fila al debutto.
Nel 2003 arriva la svolta con Pinocchio, il musical che lo porterà in America nel regno del teatro di Broadway. «Partecipai all'audizione senza dubbi: volevo essere Lucignolo a tutti i costi». Mauro ce la fa anche stavolta: il ruolo è il suo. Da allora ha girato per ben due anni in tutta Italia con ottimi successi di pubblico. Dopo duecentocinquanta repliche gli venne offerta la grande opportunità di confrontarsi con il ruolo di regista. La prima volta, a Milano, al teatro Nazionale con lo spettacolo Toc Toc a time for musical, con Manuel Frattini. «C'è una bella differenza tra l'attore e il regista. L'attore si propone, si fa gestire. Il suo è un ruolo da figlio. Il regista è invece l'accompagnatore, colui che accoglie l'attore e lo indirizza. Quando sei regista pensi al gruppo, pensi all'insieme, diversamente dalla figura dell'attore che è prevalentemente egoista e pensa essenzialmente a se stesso sul palco. Con la regia, inoltre, sono anche riuscito a mettere insieme la passione per la pittura nata sui banchi di scuola, avendo la possibilità di disegnare i bozzetti delle scenografie».
Il mestiere di regista sembra stargli a pennello e la stessa produzione lo conferma proponendogli la regia di un nuovo spettacolo ispirato a Tre metri sopra il cielo, il libro di Federico Moccia. La critica ha accolto positivamente la rielaborazione teatrale e lo stesso pubblico gli ha assicurato il successo: in tutta Italia platee piene. Fortunata anche la scelta di ambientare le vicende nei coloratissimi anni '80, così come prevedeva la prima versione del libro. «Ho anche coinvolto mia madre, sarta, nella realizzazione dei costumi». Mauro Simone si è dedicato anche all'insegnamento nelle accademie di spettacolo per la formazione di ragazzi che vogliano far musical. Attualmente si divide tra Milano e Torino, ma tiene abitualmente seminari in tutta Italia. «Diversamente da quando ho iniziato io, oggi ci sono tantissime accademie. I ragazzi devono fare attenzione nella scelta di quella a loro più affine anche se, per i performer, è necessario saper fare tutto e bene». Un vero artista deve tenersi sempre aggiornato. «A teatro vado almeno una volta a settimana per confrontarmi con le scelte dei registi, per tenermi sempre allenato. L'errore più grande che un ragazzo possa compiere uscendo dall'accademia è quello di interrompere gli studi per lavoro o per pigrizia. L'allenamento è necessario, ti abitua ad entrare con immediatezza in un altro ruolo».
Una delle esperienze più belle è stata certamente lo sbarco di Pinocchio sul pianeta Broadway. «Gli americani spendono un sacco di soldi per gli allestimenti. Qui in Italia non avviene perché lo Stato non offre molto appoggio economico. Un privato fa fatica a mettere in piedi la grande macchina scenica. Gli allestimenti, inoltre, sono fissi diversamente dall'Italia dove si ha una cultura del teatro itinerante». Tra gli spettacoli realizzati di cui è ancora innamorato, ricorda Avenue Q, via della sfiga. «In Italia, purtroppo, si conosce molto poco, sebbene si tratti di un'opera esilarante». E' la storia di una strada sfigata, in cui tutti i residenti soccombono alla sfortuna, nel lavoro e nell'amore. Il tutto è raccontato con i pupazzi. «Non si tratta di uno spettacolo per bambini perché i pupazzi sono irriverenti».
L'ultima fatica, come detto, è Gian Burrasca. «In scena siamo in tre: io, Elena Nieri e Marco Massari. E' uno spettacolo a misura di bambino, un susseguirsi coloratissimo e divertente di canzoni, balletti, musiche e filastrocche con la partecipazione attiva dei piccoli spettatori, invitati ad interagire con gli attori durante la messa in scena. L'esperienza del teatro-animazione mi mancava. Poi è meraviglioso vedere come i bambini si identifichino in Gian Burrasca. Non è cattivo, non fa monellerie. Le sue marachelle si basano sul fatto che vuole raccontare la verità, ma non sempre la verità fa bene, soprattutto quando risulta scomoda ai più grandi».
Quando gli chiediamo se tornerebbe volentieri a lavorare a Trani tentenna. «Non saprei. Purtroppo da noi ci sono molti problemi logistici e di organizzazione. Tornerei se ci fosse un grande sostegno alle spalle». Tra i sogni di Mauro c'è anche quello di interpretare sul palco il ruolo di un cattivo: «Mi hanno fatto fare sempre il comico, il buffone o il ragazzino. Vorrei confrontarmi con un personaggio malvagio come Iago o uno folle come Mercuzio».
Oggi Mauro è fiero di se stesso perché è riuscito a far tutto da solo con le sue sole mani, contando sull'appoggio dei sempre presenti genitori. «Fare teatro è talvolta faticoso. L'attore deve fare un grande lavoro su di sé. La prima cosa che ti insegnano è il metodo Stanislavskij che, basandosi sulla esternazione delle emozioni interiori, ti insegna a superare le paure, a capire perché siamo sovrastrutturati e ad analizzarsi attentamente. Non è così facile. Il teatro non è una terapia, ma di certo è terapeutico. Sarebbe bello se si insegnasse a scuola. I bambini imparerebbero a relazionarsi, a capire come superare le paure e ad avere fiducia in se stessi. E vivrebbero certamente molto meglio».