Storie di città

L’amore per il cinema abita al Settimo piano e mezzo

Rosa Barca e le nostre storie di città

Una formula giovanissima e destinata a fare tutt'altro che flop. Muove i suoi primi passi in una veste timida e frizzante allo stesso tempo la scommessa di sette ragazzi nella nostra città. Il collante: l'amore verso il cinema. Settimo piano e mezzo è un'associazione culturale in cui la sfrenata passione per l'arte cinematografica è protagonista indiscussa e aspira a fondersi e a collaborare ambiziosamente con le altri arti. «L'idea - spiega Paola di Gravina - è nata dal film Essere John Malcovich di Spike Jonez, che non solo ha ispirato il nome dell'associazione, ma è anche diventato metafora dell'associazione stessa. Per noi rappresentava l'idea di un non spazio che può essere un non-luogo. Settimo piano e mezzo nel film è sia la testa di John Malcovich attraverso cui il protagonista riesce a manovrare il corpo dell'attore e sia un luogo cinematografico e meta cinematografico».

Il piano surreale del film diventa uno spazio reale di incontro e di confronto e il "mezzo" diventa un parametro di valutazione di questa realtà semi-immaginaria. Tra un numero e un altro, tra una realtà e l'altra, tra una persona e un'altra c'è uno spazio, una distanza che apparentemente piccola può contenere una moltitudine di mondi. «Settimo piano e mezzo - racconta Antonella Morense, altro membro dell'associazione – nasce dalla voglia di incontrarsi in pochissimi. Tutto ha avuto inizio con delle proiezioni casalinghe tra pochi amici, poi da lì sono diventate occasioni per mescolare il cinema con altre attività come ad esempio l'arte culinaria con il coinvolgimento a tutto tondo dei partecipanti. La partecipazione sempre più numerosa alle proiezioni dei film e il desiderio di volersi cimentare attivamente con le attività che affiancavamo alla visione ci hanno spinto a maturare l'idea di divenire un'associazione».

Le idee non mancano. «Ne abbiamo di svariate – spiega Paola Di Gravina – e tutte sono mosse dalla voglia di creare qualcosa di diverso ma che abbia sempre un riscontro nelle esigenze del territorio. A parte nuove future rassegne, Settimo piano e mezzo ha pensato a successivi incontri vincenti tra cinema e altre arti, quali un concorso per band emergenti che potessero interpretare delle colonne sonore di film sulla falsa riga di un festival francese delle colonne sonore, facendo così capolino nel campo musicale, oppure a concorsi per sceneggiature, senza farsi mancare progetti a lungo termine di una portata maggiore come un festival di cortometraggi. Il problema che abbiamo affrontato è economico, poichè tutto è a nostro carico. Ci auguriamo però che ai nostri progetti si possa interessare qualche sponsor così da aiutarci a realizzare con successo qualcosa di più grande».

Tutto, ovviamente è in divenire. Spiega Antonella Morense: «Prendiamo le idee, cerchiamo di metterle in ordine e portarle avanti. Il primo tentativo di unire il cinema alle altre arti è stato varato con un concorso fotografico che mira ad unire il mondo dell'arte cinematografica con quello della fotografia. L'idea è quella di riscattare in maniera originale o attenendosi in maniera fedele alla scena del film un fotogramma di un film, tra i dieci da noi selezionati più o meno noti per la fotografia. I partecipanti sono liberi sia nell'interpretazione, sia nell'esecuzione, in quanto potranno scegliere la tecnica, il colore e la stampa che preferiscono».



Il concorso, aperto a tutti, consta di due sezioni. Si può partecipare sia ad una competizione su Facebook (vince chi avrà il più alto gradimento dagli utenti del social network) e sia sottoponendosi al giudizio di un'attenta giuria composta, fra gli altri, da un critico cinematografico, un rappresentante dell'associazione ed un fotografo. In palio, per i due vincitori, buoni acquisto spendibili in materiale fotografico. Al termine del concorso, le opere realizzate da tutti i partecipanti saranno esposte in una mostra. Si può partecipare fino al 28 febbraio, inviando foto sia via mail che in formato cartaceo.

«Il cinema – racconta Marianna Di Leo - rappresenta il motivo per creare occasioni di incontro e confronto. Interesse per il film a parte, la formula che noi proponevamo con una proiezione casalinga portava le persone a sentirsi a proprio agio. Non ci limitavamo ad offrire solo un film, ma l'occasione di incontrarsi e di discuterne in una dimensione privata e informale. Il set ha giocato un ruolo importante, la situazione intima ha portato all'apprezzamento di un film magari lontano dai propri gusti. In un momento in cui il cinema sente il peso dei tagli e dei costi il nostro è un modo per fare cultura, poiché è proprio l'incontro il primo momento in cui si fa e nasce la cultura». Come non essere d'accordo?
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