Storie di città
Shoah. Il dovere del ricordo (h)a lunga conservazione
Rosa Barca e le nostre storie di città
mercoledì 27 gennaio 2010
«Ti lascio un valzer per ricordare». E' uno spartito la preziosa eredità affidata alla giovane memoria e custodita con cura nel tempo da Mariarosa. Aveva solo sette anni ma il dovere del ricordo non conosce età, non ha sesso né colore. Non era troppo piccola per dimenticare quelle note che allietavano le mura di casa Nardone, mentre al di là di quella porta si consumava la tragica realtà di un'Europa inginocchiata dinanzi al Reich.
In occasione della giornata della memoria, Francesco Lotoro (compositore e responsabile della comunità ebraica di Trani) racconta a Traniweb un crimine che ha corroso per sempre le coscienze dell'umanità, partendo da una storia "fortunata", scritta in Puglia, in un clima di antisemitismo sfrenato. Sono, questi, giorni di bombardamenti televisivi e di dialettica spesa senza sosta, come se il ricordo fosse a breve conservazione. Lotoro, invece, si sofferma intensamente sulla portata di questa giornata, istituita dal Parlamento italiano come una sorta di somma riflessione che «serve al non ebreo e non all' ebreo». E, d'altronde, che bisogno aveva l'ebreo di un giorno in più per ricordare su di un calendario tempestato di istantanee di quel progetto orrendo che fu l'Olocausto? Orrendo si, perché la catastrofe della Shoah è stata esito di un piano premeditato e pianificato a tavolino per eliminare completamente la popolazione ebraica d'Europa, un genocidio di fatto e ideologico senza precedenti.
«Il ricordo delle vittime dell'Olocausto – dice Lotoro - è deposto più che mai nelle mani del non ebreo, nella convinzione che la riflessione sui pericoli dell'antisemitismo debba essere combattuta proprio da lui, nei suoi ineluttabili interessi».
Non è casuale, nella storia del popolo ebraico, la scelta di elevare il 27 gennaio a giornata della memoria. Il 27 gennaio del 1945 furono aperti i cancelli del grande campo concentrazionale di Aushwitz. Quella data coincideva con la giornata dello Shabat, il sabato ebraico. Nelle poche sinagoghe ancora in piedi in quell'Europa così dilaniata si leggeva la parashà, ovvero quella parte della Torah che ricorda la liberazione degli ebrei dall'Egitto.
«Il ponte che si crea tra questi due eventi storici – prosegue Lotoro - è fortissimo e non accidentale. La riflessione civile deve essere attuale. Non bisogna limitarsi alla commemorazione, ci si deve soffermare sull'analisi di un generale clima di superficialità e di indifferenza nell'affrontare le problematiche che si sono abbattute sull'Europa di ieri, su quella di oggi e su quella che vivranno i nostri figli. La strategia della memoria, in questo senso, è un impegno senza scadenza, rivolto al presente e al futuro. Il non ebreo ha la responsabilità ed il dovere di ricordare, un esercizio che il popolo ebraico conosce bene, talvolta ostico, ma necessario».
Mariarosa, oggi, ha all'incirca settantanni. Charles Abeles, il pianista Carlo (come lo chiamava lei) andava spesso a suonare a casa sua grazie all' intercessione della sua famiglia. Ebreo, austriaco, straniero sospetto in Italia:troppe parole che significavano necessariamente campo di concentramento. I campi fascisti avevano un regime più morbido e consentivano ai deportati di uscire e di rientrare in orari stabiliti. Di Charles, col tempo, si erano perse le tracce fino a quando, con la registrazione del valzer e con la sua circolazione sul web, il nipote (Peter), dopo lunghe e faticose ricerche, è riuscito a rintracciare la famiglia che aveva dato tanto ospitalità allo zio. I coniugi Nardone sono ormai morti, così come Charles, fuggito felicemente dal campo di Alberobello e morto ad 89 anni di vecchiaia. E' però rimasta quella bambina, ormai diventata una donna, che ha sempre ricordato. Mariarosa ha regalato a Peter quello splendido valzer nella cornice di un incontro emozionante con cui la storia ha tentato di riparare ai suoi errori ed orrori.
In quei campi, la disperazione non ha mai tolto il piatto alla speranza. Si mangiava insieme al kasher e se ne era insaziabilmente affamati. Charles, quando suonava, ne lasciava un pò su quel pianoforte. Quello spartito ne sapeva qualcosa. L'aveva dedicato ai coniugi Nardone, esempio di una nobiltà d'animo senza confine. Gli avevano fatto il regalo più bello che potesse ricevere un musicista costretto alle mansioni di lavanderia. Forse questo era stato un buon motivo per chiamare il valzer "Felicità"?
In occasione della giornata della memoria, Francesco Lotoro (compositore e responsabile della comunità ebraica di Trani) racconta a Traniweb un crimine che ha corroso per sempre le coscienze dell'umanità, partendo da una storia "fortunata", scritta in Puglia, in un clima di antisemitismo sfrenato. Sono, questi, giorni di bombardamenti televisivi e di dialettica spesa senza sosta, come se il ricordo fosse a breve conservazione. Lotoro, invece, si sofferma intensamente sulla portata di questa giornata, istituita dal Parlamento italiano come una sorta di somma riflessione che «serve al non ebreo e non all' ebreo». E, d'altronde, che bisogno aveva l'ebreo di un giorno in più per ricordare su di un calendario tempestato di istantanee di quel progetto orrendo che fu l'Olocausto? Orrendo si, perché la catastrofe della Shoah è stata esito di un piano premeditato e pianificato a tavolino per eliminare completamente la popolazione ebraica d'Europa, un genocidio di fatto e ideologico senza precedenti.
«Il ricordo delle vittime dell'Olocausto – dice Lotoro - è deposto più che mai nelle mani del non ebreo, nella convinzione che la riflessione sui pericoli dell'antisemitismo debba essere combattuta proprio da lui, nei suoi ineluttabili interessi».
Non è casuale, nella storia del popolo ebraico, la scelta di elevare il 27 gennaio a giornata della memoria. Il 27 gennaio del 1945 furono aperti i cancelli del grande campo concentrazionale di Aushwitz. Quella data coincideva con la giornata dello Shabat, il sabato ebraico. Nelle poche sinagoghe ancora in piedi in quell'Europa così dilaniata si leggeva la parashà, ovvero quella parte della Torah che ricorda la liberazione degli ebrei dall'Egitto.
«Il ponte che si crea tra questi due eventi storici – prosegue Lotoro - è fortissimo e non accidentale. La riflessione civile deve essere attuale. Non bisogna limitarsi alla commemorazione, ci si deve soffermare sull'analisi di un generale clima di superficialità e di indifferenza nell'affrontare le problematiche che si sono abbattute sull'Europa di ieri, su quella di oggi e su quella che vivranno i nostri figli. La strategia della memoria, in questo senso, è un impegno senza scadenza, rivolto al presente e al futuro. Il non ebreo ha la responsabilità ed il dovere di ricordare, un esercizio che il popolo ebraico conosce bene, talvolta ostico, ma necessario».
Mariarosa, oggi, ha all'incirca settantanni. Charles Abeles, il pianista Carlo (come lo chiamava lei) andava spesso a suonare a casa sua grazie all' intercessione della sua famiglia. Ebreo, austriaco, straniero sospetto in Italia:troppe parole che significavano necessariamente campo di concentramento. I campi fascisti avevano un regime più morbido e consentivano ai deportati di uscire e di rientrare in orari stabiliti. Di Charles, col tempo, si erano perse le tracce fino a quando, con la registrazione del valzer e con la sua circolazione sul web, il nipote (Peter), dopo lunghe e faticose ricerche, è riuscito a rintracciare la famiglia che aveva dato tanto ospitalità allo zio. I coniugi Nardone sono ormai morti, così come Charles, fuggito felicemente dal campo di Alberobello e morto ad 89 anni di vecchiaia. E' però rimasta quella bambina, ormai diventata una donna, che ha sempre ricordato. Mariarosa ha regalato a Peter quello splendido valzer nella cornice di un incontro emozionante con cui la storia ha tentato di riparare ai suoi errori ed orrori.
In quei campi, la disperazione non ha mai tolto il piatto alla speranza. Si mangiava insieme al kasher e se ne era insaziabilmente affamati. Charles, quando suonava, ne lasciava un pò su quel pianoforte. Quello spartito ne sapeva qualcosa. L'aveva dedicato ai coniugi Nardone, esempio di una nobiltà d'animo senza confine. Gli avevano fatto il regalo più bello che potesse ricevere un musicista costretto alle mansioni di lavanderia. Forse questo era stato un buon motivo per chiamare il valzer "Felicità"?