Storie di città
Un minuto per entrare, una vita per uscire: chi è Antonio
Rosa Barca e le nostre storie di città
martedì 5 maggio 2009
«La mia anima era perduta nel mio passato, ma oggi è tornata qui. La sento di nuovo nel corpo, colma di entusiasmo. Non so cosa farò: so solo che ci son voluti anni per capire che la vita mi spingeva verso un cammino diverso, ma che io non volevo muovermi». "Veronika decide di morire" è il suo libro preferito. Lui ne ha letti tanti di libri, almeno un migliaio. Quando gli chiediamo di raccontarci la sua storia, lui si siede vicino ed inizia a sudare. Vi presentiamo Antonio, figlio della provincia di Taranto. Antonio, oggi, è un uomo di quarant'anni e vive in un appartamento in semiautonomia con Nicola, un ex alcolista.
Antonio è un ex tossicodipendente che ha vissuto l´esperienza comunitaria presso l'Oasi 2 per circa due anni. Dopo varie ricadute è riuscito, finalmente, a dire no alla droga, a quella siringa che gli ha bucato non solo un braccio ma l'intera vita. Antonio è riuscito a dire no a quella chimera che si è portata via tutto, compreso il sorriso di un ragazzo dark-punk, figlio degli anni '80, che inizia a "farsi" per insoddisfazione profonda, per ribellione al rapporto simbiotico con una madre forte ed autoritaria, anor più dopo la morte del padre. La vita di Antonio è scandita da profondi drammi come la morte del fratello più piccolo, vittima di un'overdose. Non avevano iniziato insieme ma, ogni tanto, si bucavano insieme. Il senso di colpa per quel lutto così intimo ed il sempre più critico rapporto con la madre, scandiscono le tappe del suo continuo entrare-uscire dalla comunità. «Ci vuole un minuto per entrare ed una vita per uscirne» dice, ripensando a tutte le volte che ha abbandonato il centro di Taranto convinto di essersi messo tutto alle spalle. Balle. La debolezza, il suo grande male, ricominciava, puntuale, a chiedere compagnia all'eroina e alla cocaina. Più volte gli è capitato di andare in overdose, di risvegliarsi su di un letto di ospedale. «Si vive una totale assenza di percezioni. Non senti più nulla. Nessun rumore. E' come addormentarsi».
Nel giro di poco tempo, Antonio perde anche la madre, stroncata da un tumore al pancreas. Altro senso di colpa, altra rabbia. Vuoto profondo. La sua identità sempre più simile ad un bicchiere di cristallo andato in frantumi. Antonio non mangia quasi più, sta male, la gente lo scansa. Viene arrestato per estorsione, si ritrova senza soldi dopo aver sperperato gran parte dei soldi ereditati dalla madre. L´intossicazione letale lo ha portato nell´anticamera della morte. Antonio aveva paura ma non aveva più niente e nessuno. Era un uomo arrabbiato con la vita. La gente del suo paese l'aveva ormai condannato. Il giudizio era insopportabile al punto da indurlo a scappare. Antonio getta nel bidone dell´immondizia le chiavi di una casa ormai vuota, prende il treno per Bologna con dieci grammi di cocaina in corpo. Ascoltiamo in silenzio il suo racconto: da Bologna a Milano, poi l'incontro con una donna tossicodipendente a cui aveva promesso amore eterno, il mare, la Puglia. Una promessa che non ha mai potuto mantenere. Il soggiorno milanese è, a tratti, immaginario. L'abuso di cocaina, insieme agli eventi luttuosi traumatici, alle tante difficoltà incontrate nel suo percorso, hanno determinato in lui il manifestarsi di un disturbo schizoaffettivo con deliri ipomaniacali con funzione antidepressiva e individuante. Antonio si lascia accompagnare nei viaggi della sua mente, straziata dall'eroina e dalla cocaina. Nella provincia di Taranto non vuol più stare, è ormai completamente solo. Trova il conforto di una sociologa del ser.T, diventata, nel tempo, amica. Su suo consiglio, decide di iniziare una nuova esperienza comunitaria all´Oasi 2, lontano dalla sua terra natia in cui nessuno si risparmiava di puntargli il dito contro e in cui troppi erano i ricordi disturbanti.
Il percorso comunitario di Antonio è lungo e difficile, gradualmente consapevolizzato. Accetta i sintomi psicotici, impara a conviverci con l'aiuto della farmacoterapia, tenendo a debita distanza le sostanze stupefacenti. Il cambiamento funziona: Antonio riacquista una migliore stima di sè e, soprattutto, la voglia di vivere, facendo leva su nuove risorse, personali e sociali. Ieri era un ragazzo prigioniero della droga, oggi un uomo "quasi libero", come lui stesso si definisce.«Dico quasi perché mi lascio ancora trascinare. Vorrei trovare un lavoretto. Mi piacerebbe lavorare in un vivaio e farmi una famiglia». Antonio sa che il suo reinserimento sociale non sarà semplice. Lo sta vivendo sulla sua pelle, gestendo la sua vita, con il sostegno di chi lo ha seguito nei due anni di programma terapeutico residenziale, fuori da un contesto protetto, scontrandosi con i suoi limiti e con i pregiudizi della gente. "The show must go on". Antonio questo lo sa. "Lo spettacolo deve andare avanti in qualsiasi modo" dice. Il ritornello dell´intramontabile successo dei Queen diventa la colonna sonora di un uomo che si è vestito di coraggio. "The show must go on" è il ritornello dell´esigenza di lasciare alle spalle il passato, di scrivere un nuovo presente.Il 26 luglio scorso, Antonio ha organizzato la sua festa di compleanno. Ha compiuto quarant'anni. E' stata la sua prima vera festa. E non era non più solo.
Antonio è un ex tossicodipendente che ha vissuto l´esperienza comunitaria presso l'Oasi 2 per circa due anni. Dopo varie ricadute è riuscito, finalmente, a dire no alla droga, a quella siringa che gli ha bucato non solo un braccio ma l'intera vita. Antonio è riuscito a dire no a quella chimera che si è portata via tutto, compreso il sorriso di un ragazzo dark-punk, figlio degli anni '80, che inizia a "farsi" per insoddisfazione profonda, per ribellione al rapporto simbiotico con una madre forte ed autoritaria, anor più dopo la morte del padre. La vita di Antonio è scandita da profondi drammi come la morte del fratello più piccolo, vittima di un'overdose. Non avevano iniziato insieme ma, ogni tanto, si bucavano insieme. Il senso di colpa per quel lutto così intimo ed il sempre più critico rapporto con la madre, scandiscono le tappe del suo continuo entrare-uscire dalla comunità. «Ci vuole un minuto per entrare ed una vita per uscirne» dice, ripensando a tutte le volte che ha abbandonato il centro di Taranto convinto di essersi messo tutto alle spalle. Balle. La debolezza, il suo grande male, ricominciava, puntuale, a chiedere compagnia all'eroina e alla cocaina. Più volte gli è capitato di andare in overdose, di risvegliarsi su di un letto di ospedale. «Si vive una totale assenza di percezioni. Non senti più nulla. Nessun rumore. E' come addormentarsi».
Nel giro di poco tempo, Antonio perde anche la madre, stroncata da un tumore al pancreas. Altro senso di colpa, altra rabbia. Vuoto profondo. La sua identità sempre più simile ad un bicchiere di cristallo andato in frantumi. Antonio non mangia quasi più, sta male, la gente lo scansa. Viene arrestato per estorsione, si ritrova senza soldi dopo aver sperperato gran parte dei soldi ereditati dalla madre. L´intossicazione letale lo ha portato nell´anticamera della morte. Antonio aveva paura ma non aveva più niente e nessuno. Era un uomo arrabbiato con la vita. La gente del suo paese l'aveva ormai condannato. Il giudizio era insopportabile al punto da indurlo a scappare. Antonio getta nel bidone dell´immondizia le chiavi di una casa ormai vuota, prende il treno per Bologna con dieci grammi di cocaina in corpo. Ascoltiamo in silenzio il suo racconto: da Bologna a Milano, poi l'incontro con una donna tossicodipendente a cui aveva promesso amore eterno, il mare, la Puglia. Una promessa che non ha mai potuto mantenere. Il soggiorno milanese è, a tratti, immaginario. L'abuso di cocaina, insieme agli eventi luttuosi traumatici, alle tante difficoltà incontrate nel suo percorso, hanno determinato in lui il manifestarsi di un disturbo schizoaffettivo con deliri ipomaniacali con funzione antidepressiva e individuante. Antonio si lascia accompagnare nei viaggi della sua mente, straziata dall'eroina e dalla cocaina. Nella provincia di Taranto non vuol più stare, è ormai completamente solo. Trova il conforto di una sociologa del ser.T, diventata, nel tempo, amica. Su suo consiglio, decide di iniziare una nuova esperienza comunitaria all´Oasi 2, lontano dalla sua terra natia in cui nessuno si risparmiava di puntargli il dito contro e in cui troppi erano i ricordi disturbanti.
Il percorso comunitario di Antonio è lungo e difficile, gradualmente consapevolizzato. Accetta i sintomi psicotici, impara a conviverci con l'aiuto della farmacoterapia, tenendo a debita distanza le sostanze stupefacenti. Il cambiamento funziona: Antonio riacquista una migliore stima di sè e, soprattutto, la voglia di vivere, facendo leva su nuove risorse, personali e sociali. Ieri era un ragazzo prigioniero della droga, oggi un uomo "quasi libero", come lui stesso si definisce.«Dico quasi perché mi lascio ancora trascinare. Vorrei trovare un lavoretto. Mi piacerebbe lavorare in un vivaio e farmi una famiglia». Antonio sa che il suo reinserimento sociale non sarà semplice. Lo sta vivendo sulla sua pelle, gestendo la sua vita, con il sostegno di chi lo ha seguito nei due anni di programma terapeutico residenziale, fuori da un contesto protetto, scontrandosi con i suoi limiti e con i pregiudizi della gente. "The show must go on". Antonio questo lo sa. "Lo spettacolo deve andare avanti in qualsiasi modo" dice. Il ritornello dell´intramontabile successo dei Queen diventa la colonna sonora di un uomo che si è vestito di coraggio. "The show must go on" è il ritornello dell´esigenza di lasciare alle spalle il passato, di scrivere un nuovo presente.Il 26 luglio scorso, Antonio ha organizzato la sua festa di compleanno. Ha compiuto quarant'anni. E' stata la sua prima vera festa. E non era non più solo.