Talking

Il fascino indiscreto della lamentela

Di Eleonora Russo

Il nostro dialetto mediterraneo è piacevolmente caratterizzato da una violenta inflessione che trasforma qualsiasi tipologia di lettura, dall'elenco telefonico all'infinito di Leopardi, in un'irritante cantilena. La lamentela appartiene, quindi, geneticamente al nostro DNA, ma esiste una sottile differenza, una particolare categoria che esula dai rapporti di parentela, d'amicizia o professionali: l'attacco rottweiler dello sconosciuto/pseudo conoscente che si "attacca e non si stacca" (come una cozza del mediterraneo appunto). Per strada, al supermercato, in palestra, sono ovunque, cerchiamo di sfuggirgli, ma i cultori di questa antichissima arte dialettica sono onnipresenti. Al minimo passo falso ci inseguono, ci braccano, ci assalgono nel reparto frigo, dal parrucchiere o peggio ancora in ascensore, dove le vie di scampo sono minime.

I "lamentosi" sono persone perfettamente sconosciute, o al limite lontanamente conoscenti, che come Zombie non cercano carne o sangue, ma un succulento orecchio umano sui cui sfogare un'irritante inutilità di lamenti (attenzione, un orecchio umano che non appartenga ad una categoria medica o paramedica, ovviamente). Il problema è che il lamentoso si sfoga e si calma, ma colui che ascolta si innervosisce e assorbe tutto il malumore di una persona che non conosce (a meno che non si tratti di un professionista nel settore). La confidenza dello sconosciuto potrebbe trarre in inganno all'inizio: se ha scelto noi significa che siamo empatici e tendiamo a dargli conforto. Ma se analizziamo gli eventi da un altro punto di vista, possiamo notare che il vicino di casa si lamenta, col passar negli anni (con poche sfumature), sempre della stessa cosa, la cassiera ci fossi tu o un carciofo ad ascoltarla, userebbe la stessa enfasi per descrivere problemi che, rammentiamo, ha solo lei.

La domanda nasce spontanea: ma perché una persona si rivolge ad un perfetto sconosciuto per cose così intime? Proprio per evitare l'intimità. La lamentela altro non è che un sistema che si auto alimenta per sfuggire al cambiamento, in un perfetto sistema omeostatico che rifugge da qualsiasi perturbazione esterna che possa realmente portare delle migliorie, per cui, in parole povere, "sfogarsi" con uno sconosciuto anziché con persone più vicine (ad es. persone oggetto di lamentela o professionisti del settore) evita un confronto diretto, una valutazione approfondita, una discussione feconda, che appunto porterebbe ad un cambiamento.

Lamentoso ha una sua categoria ben precisa che possiamo ritrovare nell'indispensabile libro "A che gioco giochiamo" (1964) di Eric Berne. L'autore definisce giochi (non necessariamente nell'accezione corrente di divertimento) una serie di transazioni in un sistema di due o più persone, possiamo ritrovare il tema della lamentela come passatempo in "Tutta colpa tua", "L'Occupatissima","Oggigiorno", "Perchè non...sì, ma". In "Tutta colpa tua" Berne riporta come esempio la classica moglie a cui vengono tarpate le ali per colpa del marito e il vittimismo diventa puro passatempo."Oggigiorno" è la lamentela generica, il pettegolezzo, il cui fine è dare una spiegazione ad ogni cosa. Ad es."Non ci si può lamentare se oggigiorno non ci si può fidare di nessuno...", è tipico dei salottini e Berne lo definisce vizioso, punitivo e ipocrita. A livello psicologico il lamentoso tende alla generalizzazione per evitare di parlare di sé. Il lamento che contraddistingue "L'Occupatissima" è "Non ne posso più". La donna gioca alla "Casalinga-Che-Ha-Tanto-Da-Fare" (il corrispettivo maschile è l'uomo-manager), che si occupa di molteplici attività diverse e faticose contrassegnate anche da ruoli contraddittori, in un circolo vizioso di insoddisfazioni e critiche.

Il gioco che trovo personalmente più interessante e stressante è il "Perchè non... sì ma":

X: "Non trovo un lavoro"
Y: "Perchè non fai un corso di..."
X: "Non ho soldi"
Y: "Perchè non fai uno stage in..."
X: "Non potrei mai perchè..."
Y: "Perchè non fai volontariato in..."
X: "Non mi piace"

Questo gioco è letteralmente infinito: tutte le soluzioni (eccetto rare eccezioni) vengono immancabilmente respinte. Il giocatore (chi si lamenta ovviamente) tiene a bada gli avversari, cioè gli ignari ascoltatori per un tempo illimitato, finché sono costretti ad arrendersi. Il giocatore ha vinto: chi gioca, secondo Berne, non cerca rassicurazioni o soluzioni,ma sfida gli altri e inoltre si diverte nel bocciare qualsiasi consiglio. In conclusione come salvarsi da un gioco? Berne ritiene che non bisogna parteciparvi, ma spegnerlo sul nascere, "non abboccare all'amo" e che basti svelare la dinamica del gioco al giocatore perchè finisca. Laddove l'impresa risulti ardua, ritengo che, se non si ha alcuna voglia di ascoltare o trovare una soluzione alle problematiche di uno sconosciuto durante una fila in posta, bastano felicissime frasi fatte come "Del resto è così"o "Fa' quello che ti senti di fare...".

"L'angoscia del tempo che passa ci fa parlare del tempo che fa" - Hipolito (tratto da "Il favoloso mondo di Amélie" di Jean-Pierre Jeunet)
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